Concordo col suo articolo. La governabilità è solo un pretesto per limitare la democrazia.
E’ questa la tesi che ho sostenuto nella lettera che ho inviato al direttore dell’Unità quattro giorni fa e che copio di seguito. Lettera alla quale, ovviamente, non ho ricevuto risposta, perché qualunque risposta sarebbe compromettente per il direttore dell’organo del PD.
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Caro direttore, con la discussione sulla legge elettorale la solità
esisgenza di governabilità, tra liste "limitate", sbarramenti e premi di
maggioranza, sta facendo emergere preoccupanti deragliamenti
costituzionali. E spiego perché a mio avviso sta avvenendo questo.
In democrazia la pluralità delle opinioni è un valore imprescindibile
perché è solo da questa, dalla possibilità di confrontare idee diverse,
che si può ottenere la migliore capacità di elaborare le decisioni più
adeguate.
Per questo le minoranze devono essere tutelate e
garantite e a nessuno deve essere impedito o limitato il diritto ad
accedere all’Agorà e ad esprimervi le sue idee.
Qualunque mezzo che limiti questo diritto sia adottato, per qualunque motivo, limita la democrazia.
Nell’organo legislativo dovrebbe quindi essere rappresentata il più possibile la varietà di opinioni esistenti nel popolo: il sovrano democratico che decide a maggioranza.
Secondo me, e secondo il Costituente, il miglior metodo per la
formazione della rappresentanza in Italia sarebbe dunque il
proporzionale puro, senza soglia minima, senza limitazioni di collegio,
senza ballottaggi e premi di maggioranza.
La stabilità del
governo non dovrebbe essere garantità attraverso la semplificazione
forzata della composizione parlamentare, dovrebbe essere garantita in
altro modo. Innanzitutto riportando alla sua funzione originaria
l’organo esecutivo.
Il Governo non può e non deve sostituirsi
al Parlamento, salvo nel caso in cui si verifichino eventi eccezionali
che richiedono e giustificano l’emanazione di leggi nel più breve tempo
possibile. Nella gestione ordinaria il Governo deve limitarsi ad attuare
le leggi emanate dal Parlamento ed eventualmente a proporne di proprie
sottoponendole al giudizio ultimativo dell’organo sovrano per
eccellenza.
Di fatto invece nell’ordinamento materiale del
nostro Paese il Governo si è gradualmente sostituito al Parlamento, che è
ridotto ormai a notaio dei suoi provvedimenti legislativi.
Per
questo motivo è anche comprensibile che il Governo diventi instabile
quando l’azione legislativa che pone in essere non è condivisa da chi
sarebbe propriamente designato ad esercitarla in qualità di
rappresentante dei cittadini. Se il Governo si limitasse ad attuare le
leggi nell’amministrare lo Stato o se si limitasse a proporre al
Parlamento provvedimenti legislativi rimettendosi, come dovrebbe, al suo
giudizio e uniformando la sua azione di conseguenza, non vi sarebbe
motivo di considerare ogni modifica o rifiuto come una sfiducia.
Eppure questo è ciò che avviene, e così avviene perché nella
Costituzione materiale è stato di fatto istituito una sorta di regime
presidenziale in cui al Governo è riconosciuto un ruolo preminente
rispetto al Parlamento anche in materia legislativa.
Se non vi
fosse conflitto di poteri legislativi, e il Governo si limitasse alla
sua funzione esecutiva, non vi sarebbe motivo di mantenere per tutta la
legislatura la possibilità per il Parlamento di togliere la fiducia al
Governo.
Del resto non è scritto da nessuna parte che il
Governo debba avere *in ogni istante* della sua permanenza in carica la
fiducia del Parlamento, questo è, anzi, espliticitamente escluso dalla
Carta Costituzionale:
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Costituzione, Parte seconda, Titolo III, art. 94
Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere.
Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale.
Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia.
Il voto contrario di una o d’entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni.
La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei
componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di
tre giorni dalla sua presentazione.
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L’esigenza di garantire la cosiddetta "governabilità" al Paese appare
dunque come un mero pretesto per mantenere in vigore gli effetti di una
Costituzione materiale che ha istituito abusivamente un regime di
primato del Governo sul Parlamento.
Se si volesse garantire
maggiore stabilità al Governo senza per questo ricorrere ad
antidemocratiche (e incostituzionali) limitazioni nella libera
espressione del voto da parte dei cittadini introducendo sbarramenti e
artifici che lascerebbero senza rappresentanza milioni di cittadini
mettendo nelle mani dei partiti maggiori il potere di interdizione della
minoranze, si dovrebbe semmai rafforzare quello che già l’articolo 94
della Costituzione stabilisce.
Salvo casi eccezionali il
Parlamento dovrebbe votare la fiducia al Governo una sola volta:
all’atto del suo insediamento. E al Governo dovrebbe poter essere tolta
la fiducia solo con un voto motivato e a maggioranza assoluta.
Tutto questo con il Presidente della Repubblica che è garante della corretta dialettica tra Parlamento e Governo.
Quella che oggi viene spacciata come esigenza di assicurare stabilità e
governabilità al Paese è invece il tentativo di rendere istituzionale
uno stato di fatto in cui l’ordinamento è stravolto da una prassi che
vede il Governo accentrare poteri legislativo ed esecutivo insieme ed
essere sempre più espressione non della volontà popolare bensì
espressione dei partiti politici.
E questo puzza di P2 lontano un miglio.
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