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E-stituzione 2.0

Ho sempre pensato che qui in Italia la comunicazione negli ambienti del web 2.0 fosse appannaggio di sole poche realtà innovative e all’avanguardia in fatto di comunicazione.

Effettivamente, che in Italia non sia ancora così pienamente diffusa e radicata la cultura alla comunicazione di tipo bidirezionale è risaputo, così come è ancora ampiamente diffusa l’immagine che vede protagoniste della “comunicazione che conta” solo grandi aziende e super-istituzioni, vissute e percepite come pesanti, burocratiche, lente e lontane anni miglia dalla realtà, soprattuto dei giovani.

Le logiche con le quali continuiamo a confrontarci in materia di comunicazione sono quelle legate ai media tradizionali, che appaiono sempre necessarie e impossibili da abbandonare. 

E forse proprio per questo motivo, quando mi si presentano sotto gli occhi azioni di comunicazione che finalmente cercano di abbandonare i vecchi paradigmi per adottarne di freschi e di nuovi, i miei occhi, davvero, si riempiono di speranza.

Ma facciamo un po’ di ordine...

Come è ben evidente e sotto gli occhi di tutti, Facebook è diventato una “condicio sine qua non” per chi intende pensare ad una comunicazione che tenga realmente conto del suo destinatario. Altrettanto evidente, però, è che pochissimi sanno (e vogliono) sfruttarne le potenzialità. Le aziende si affannano a creare avamposti che rimangono spesso e volentieri statici, vuoti di contenuti, vuoti di dialogo con gli utenti e quindi a mio avviso inutili.

La forza di Facebook (ma così in generale dei social network) è quella di poter creare un proprio network, una comunità di gente che condividendo comuni interessi, passioni o semplici idee, si aggregano (spesso spontaneamente) intorno a quel preciso interesse, creando dei gruppi o pagine ufficiali.

L’imperativo categorico per gli strumenti social è produrre, diffondere e condividere contenuti che siano di interesse per la specifica comunità, la quale a sua volta fruisce, commenta e remixa appropriandosene definitivamente.

Questo, ormai, il mio paramentro di valutazione di ciò che mi viene proposto e che mi fa dire: “bello! partecipo!”

E qui arriva con sorpresa un progetto promosso proprio da chi non te lo aspetteresti, ovvero un’istituzione pubblica.

Cosa c’è di più lontano, lento, burocratico, farraginoso, appesantito ai nostri occhi, se non un’istituzione pubblica?

Bene, mi son dovuta ricredere quando, ricevendo l’invito su Facebook, la Regione Emilia Romagna mi chiedeva di diventare fan della pagina delle Aree protette, pensata per promuovere la Settimana Europea dei Parchi.

Non parliamo poi dello stupore quando ho scoperto il profilo in Twitter!

Del resto, chi meglio di un archivio pieno zeppo di iniziative, attività, foto e quant’ altro, che riguarda una bella regione come quella dell’Emilia Romagna, poteva cogliere l’opportunità di crearsi il proprio network di fan e di followers, col quale interagire e condividere contenuti?

Ora sono costantemente aggiornata sulle diverse iniziative ed attività che coinvolgono parchi naturali, riserve e posti fantastici. E cosa c’è di più bello, mentre sei china sulla scrivania a studiare o a lavorare (con queste temperature poi) che evadere un po’ e immaginare di essere nella natura incontaminata (Twitpic non fa che rafforzare il sogno ad occhi aperti), magari al silenzio e con l’arietta fresca fresca?

Divagazioni a parte, seguo con piacere questa attività “finalmente social” di un’istituzione pubblica, la seguo divertita e sicuramente incuriosita, pur non essendo questa la mia regione, mi piace scoprirla in questo modo, sicuramente più vicino al mio mondo e soprattutto al mio modo di comunicare e di acquisire nuova conoscenza.

La seguo sperando che questo esperimento in comunicazione rappresenti la possibilità di cambiare le logiche di rapporto che le istituzioni hanno con il loro referente primario, le persone.

Sarebbe un buon approccio e un buon modo di iniziare un nuovo e reale dialogo soprattutto con noi giovani (ormai saturi di postmoderna sfiducia), che il futuro lo rappresentiamo.

Incrociamo le dita.

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