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Commento di FDP

su Trump e l'America fondamentalista


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FDP 24 novembre 2016 11:27

Copio e incollo quello che le fu risposto. Lo condivido parola per parola.

<< Se Israele si definisce stato "ebraico" significa che si dà come fondamento la cultura, la lingua, la religione, le caratteristiche proprie del popolo ebraico e della sua tradizione. Già questo è vero solo parzialmente [...]>>

Secondo me non è vero affatto, almeno secondo la mia concezione laica dello Stato. La definizione di Stato ebraico, come di qualunque Stato che sia comunque aggettivato, è una evidente forzatura di tipo ideologico voluta dalla leadership sionista. Per quanto mi riguarda vedo Israele come lo Stato degli israeliani, i quali ovviamente e naturalmente imprimono allo Stato le caratteristiche culturali proprie della maggioranza di essi.
Tuttavia, il mio parere e quello di altri non può ignorare l’aggettivazione che la leadership sionista impone ad Israele, che esprime una volontà sicuramente influente nei rapporti tra i cittadini e nelle relazioni con altre entità culturali, religiose, statuali.

Secondo la sua concezione laica dello Stato. La definizione di Stato etnicamente o religiosamente definito è ampiamente diffusa nel mondo ed è una delle forme istituzionali che i popoli si sono dati. Posso condividere l’idea che uno stato non etnicamente o religiosamente definito sia migliore (almeno in via teorica), ma questo  non riguarda me, in questo caso riguarda gli ebrei. I quali approvano o non approvano quella forma di stato. La storia però non si può cambiare; piaccia o non piaccia Israele nasce come stato ebraico in seguito e come conseguenza della particolare storia degli ebrei europei dell’ultimo secolo e mezzo.

Se la si prende in parola, ed è difficile che non la prendano in parola quelli che in un modo o nell’altro soffrono per le azioni di Israele, allora quello che fa lo Stato ebraico è ebraico, e ogni ebreo ne è corresponsabile.

Questo è il fondamento di ogni comportamento razzista. Quelli che soffrono delle azioni di Israele sono legittimati a prendersela con Israele (in ogni sua espressione). Se ritengono ogni ebreo corresponsabile adottano una mentalità razzista e chi ne condivide le azioni adotta anche lui una logica razzista.

<< Sicuramente Israele non è lo "stato degli ebrei" per il semplice fatto che, pur proponendosi di accettare come cittadini tutti coloro che sarebbero ebrei secondo la legge (figli di madre ebrea, convertiti), non può imporre a tutti gli ebrei di diventare israeliani né di essere rappresentati da Israele. >>

Sono d’accordo. Ma come la mettiamo se Israele, cioé la leadership sionista che egemonizza ideologicamente la sua vita pubblica, si arroga il diritto di rappresentare tutti gli ebrei, e lo afferma pubblicamente?
Io e lei possiamo vederla in modo diverso perché, per nostra fortuna, non siamo palestinesi, né siamo parenti o amici di chi vive a Gaza o nei Territori. Dagli altri è difficile pretendere che difendano Israele da se stesso.

Israele e i suoi politici possono dire quello che vogliono, ma se dicono che Israele rappresenta tutti gli ebrei semplicemente sbagliano. Non capisco cosa significhi “difendere Israele da se stesso”: ogni stato è responsabile di quello che fa o non fa. E in uno stato democratico (dove il popolo si esprime con le elezioni, quindi anche in Israele) i cittadini esprimono la loro volontà.

<< Quindi, dal momento che un 50% della popolazione ebraica mondiale non è israeliana, Israele non può dirsi "stato degli ebrei"; e infatti si definisce stato "ebraico", non "degli ebrei". >>

Una distinzione sottile e piuttosto forzata. Se è "ebraico" è accomunato a tutti gli ebrei.

Nemmeno per idea. Con la stessa logica se islamico accomuna tutti gli islamici diventa legittimo ritenere anche il pizzaiolo tunisino responsabile di quello che fa uno stato teocratico come l’Arabia Saudita o l’Iran. Uno stato “arabo” che lapida una adultera è responsabile per quello che fa, ma la sua azione non può coinvolgere tutti gli “arabi”. Questi sono discorsi molto pericolosi.

<< Le comunità ebraiche, che sono articolazioni diverse dalla sinagoga, non possono esprimere la voce di tutti gli aderenti circa le politiche dello Stato di Israele, ma solo i sensi di una comprensibile "vicinanza" più o meno entusiasta o più o meno sofferta, alla quale i singoli aderenti alla comunità possono aderire o non aderire.>>

Le motivazioni della vicinanza delle comunità ebraiche a Israele sono piuttosto facilmente comprensibili da tutti. Quello che invece è difficilmente comprensibile è la solidarietà espressa dalle comunità ebraiche al governo di Israele.
Un forte legame con Israele non implica affatto un forte legame con chi lo governa. Al contrario: chi avverte un forte legame con Israele dovrebbe essere portato a giudicare con severità le azioni dei sui governi, se ritiene che lo danneggiano.
Ma allora come si spiega che quei pochi ebrei che esprimono pubblicamente il proprio dissenso a proposito delle scelte dei governanti israeliani vengono generalmente emarginati nelle comunità ebraiche?

Ovviamente la vicinanza a un paese non implica la vicinanza a chi lo governa. Ma non può pretendere che chiunque interpreti le vicissitudini storiche esattamente come lei. Evidentemente ritengono che l’interpretazione maggioritaria dei fatti che contrappongono Israele alle formazioni palestinesi sono più convincenti di altre che sono minoritarie. Nelle comunità ebraiche come in Israele. Dal momento che la leadership israeliana è una formazione politica, il dibattito interno alle comunità ebraiche riflette le posizioni politiche esistenti in Israele, per via del particolare legame che quelle comunità (che NON rappresentano, nemmeno loro, tutti gli ebrei) hanno con Israele e con la sua storia. Quindi si spiega con la diatriba politica che è legittima fino a prova contraria, fino a che non assume forme illegali di violenza personale. Sono affari interni alle comunità, esattamente come nel caso di politici non coerenti con la maggioranza di un partito che vengono emarginati (o espulsi, pensi al gruppo del Manifesto ad esempio) all’interno di esso.

Recentemente l’associazione Adei-Wizo-Donne ebree d’Italia, parte di quella superlobby che è il WZO, ha annullato il concerto della cantante Noa: ebrea e israeliana, per le sue dichiarazioni contro Netanyahu e a favore di Abu Mazen.
Mi dica: come si fa a dire che quell’associazione distingue tra Israele e governo di Israele e tra ebrei e Israele? E come fare per distinguere quell’associazione dalle azioni del governo israeliano in modo che chi è contro le azioni di questo non consideri corresponsabile anche quella?

L’Associazione fa quello che ritiene giusto nell’interesse dei suoi aderenti, con scelte a maggioranza, essendo una associazione privata. Esattamente come una qualsiasi associazione islamica probabilmente impedirebbe a Magdi Allam di tenere una conferenza nella sua sede. Di nuovo: sono scelte politiche, opinabili o meno, ma legittime in uno stato democratico. Resta il fatto le persone che fanno quelle scelte sono “ebree”, non “israeliane”. Con ogni probabilità ogni islamico che vive in Italia è filopalestinese. Molti sicuramente supportano Hamas. Quindi, con la sua logica, gli ebrei sarebbero legittimati a ritenerli tutti terroristi e nemici pericolosi. Forse solo Borghezio ragiona così.

<< Quindi qualsiasi manifestazione rivolta contro le strutture dell’ebraismo (sinagoghe, scuole talmudiche, musei etc.) sono manifestazioni di razzismo antisemita senza alcun dubbio e senza alcuna possibile giustificazione. >>

No, non è così. L’antisemitismo è altra cosa.

Secondo la Working Definition of Antisemitism dell’Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali "l’antisemitismo è quella certa percezione descrivibile come odio verso gli ebrei. Le manifestazioni retoriche e fisiche dell’antisemitismo sono dirette contro singoli ebrei o non ebrei, e/o contro la loro proprietà, contro le istituzioni comunitarie e contro le strutture religiose ebraiche”. Veda lei.


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