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 Home page > Tribuna Libera > Trump e l’America fondamentalista

Trump e l’America fondamentalista

Di tutti i discorsi fatti su e intorno all’America che verrà - quella di Donald Trump e della sua parrocchia - pochi hanno voluto evidenziare i connotati religiosi che daranno l’impronta probabilmente più marcata al suo mandato.

Qualche cenno ne ha fatto Raffaele Carcano, coordinatore culturale dell’UAAR, su left di questa settimana, mettendo in risalto le due sigle che contraddistinguono, secondo lui, il populismo trumpiano.

Da una parte il classicissimo WASP che denota l’america Bianca (White) Inglese (Anglo=A, Saxon=S), Protestante (P). In italiano suonerebbe come un irrispettoso "BIP".

Dall’altra parte un ancora più sintetico (e irridente) WC che indica semplicemente gli White Cristians come generica classe di orientamento nazionalista, quando non suprematista, dei bianchi, unitamente al loro tradizionale credo religioso interpretato nel senso più ampio e onnicomprensivo dal momento che, oltre alle grandi correnti in cui il cristianesimo si è storicamente diviso - cattolici, protestanti (luterani, calvinisti, anglicani) e ortodossi - è impossibile addentrarsi nella miriade di sette in cui si è suddiviso in particolare il mondo protestante.

Nato dalla fuga dei Padri Pellegrini puritani dalle angherie degli anglicani in madre patria, il mondo religioso americano si è fondato sulla libertà individuale di darsi da sé i propri dogmi e la propria fede, rifiutando da subito una qualsiasi delle imposizioni statuali che imperavano in Europa fin dai tempi del cuius regio eius religio che pose fine - almeno per un po’ - alle cruente guerre di religione sul Vecchio Continente.

L’individualismo religioso americano ha dato origine così a una miriade di sette e congregazioni (chiese - rigorosamente divise fra 'bianche' e 'nere' - i cui pastori sono in contatto diretto con i fedeli locali e rispondono solo al direttorio della loro chiesa, non a una qualsiasi scala gerarchica imposta dall’alto), cioè ad una specie di anarchia dottrinale che non si basa solo sulle Scritture tradizionali, ma anche su un ventaglio di interpretazioni e testi e "illuminazioni" varie che hanno riferimenti a volte piuttosto vaghi con la tradizione cristiana (già di per sé un’interpretazione sui generis degli antichi libri giudaici).

C’è stato chi ha seguito le orme di uno psichiatra freudiano che, sentendo un paziente in trance affermare di essere uno spirito, decise che non aveva problemi psichici, ma che quel che diceva era proprio vero; ovviamente poi fondò una specie di corrente religiosa tutta sua. E ci sono stati i seguaci della Chiesa Universale e Trionfante, che negli anni ’80 si aspettavano la fine del mondo in un conflitto nucleare e si rintanarono in Montana (ma furono processati per possesso illegale di armi). 

Ci sono state sette in cui la promiscuità sessuale, comprensiva di deviazioni pedofile e incestuose, ha significato anche schiavizzazione di bambini e giovani donne ed altre, più tradizionali, in cui ci si è accontentati di una poligamia praticata, come stabilito nel Libro di Mormon su cui si fonda l’omonima setta (fondata peraltro da un massone), e accettata fino alla fine dell’Ottocento quando uno dei loro profeti, in quel momento leader del movimento, ebbe una "rivelazione" che lo indusse ad abolirla. Caso volle che proprio l’abolizione della poligamia era stata la condizione posta dagli Stati Uniti per l’adesione alla confederazione dello Stato dell’Utah, base storica dei Mormoni. Rivelazione divina o opportunismo politico? Difficile a dirsi?

Altri ancora avevano stabilito la data della parusìa (la seconda discesa di Cristo sulla terra) e che, per il mancato avvenimento, si frammentarono poi di scissione in scissione in mille sottosette, a seconda di come questo o quel capo carismatico pensava di rimediare alla catastrofica disillusione.

Infine ci sono tuttora decine di telepredicatori ossessivi e ossessionanti alcuni dei quali hanno un tale successo di pubblico da influenzare pesantemente le elezioni statali (con ovvie conseguenze su quelle presidenziali).

Oggi le varie diramazioni protestanti costituiscono la maggioranza (circa il 53%) degli americani religiosi, contro un 25% di cattolici. A molta distanza ebrei, musulmani, induisti, buddisti e altro tutti sotto la soglia del 2%. Gli atei dichiarati non arrivano al 20%.

Un’America storicamente religiosa quindi, anche se sarebbe interessante ricordare che nel 1797, il Trattato di Tripoli sottoscritto dal Presidente Adams con i Bey degli stati barbareschi, sancì esplicitamente che "il Governo degli Stati Uniti non è fondato, in alcun modo, sulla religione cristiana" e che, perciò, non aveva alcun motivo di ostilità verso il mondo musulmano. Passato remoto.

La particolarità di Trump è di aver dato voce a quell’individualismo esasperato che sta alle radici della fondazione stessa della Nazione. Ben piantato nelle sue velleità indipendentiste fin dai tempi della presidenza di George Washington, quando i fautori di uno stato federale ma forte dovettero scontrarsi con i Jeffersoniani, sostenitori del potere decentrato e locale contro quello centralizzato.

Insomma per l’America profonda che ha fatto sentire la sua voce grossa «l’origine dei mali - lo scrive Nadia Urbinati, ancora su left - sta essenzialmente nel governo e nella politica, non nella società civile e nell’economia». Su questa proposta antisistema - con non poche sfumature di anticapitalismo "rurale" - su cui si è giocata la fortuna dei Tea Party negli anni scorsi (a danno dei repubblicani più tradizionali) si sono giocate anche le elezioni del 2016.

Con l'appoggio esplicito della alt-right (la destra alternativa) i cui temi comprendono un esplicito e sbandierato filonazismo.

E Trump ha vinto raccogliendo, fra l'altro, i voti del popolo emarginato e impoverito grazie alla crisi e alla globalizzazione (anche se non fa male ricordarsi ogni tanto che la disoccupazione USA è al 5%). Cioè a quegli interventi della politica che hanno dato il via alla più sfrenata e irrefrenabile caccia al profitto su scala mondiale a partire dall’abbattimento del muro divisorio fra banche commerciali e banche d’affari con l'abolizione dello Glass-Steagall Act, la legge introdotta nel 1933 per impedire che si ripetesse una crisi come quella del '29, abolizione firmata dal democratico Bill Clinton nel 1999.

Curiosamente la destra bianca e nazionalista, ha vinto con temi che, a rigor di logica, apparterrebbero al programma di ogni sinistra anticapitalista e antiglobalizzazione.

La differenza, più che in quelli economici (ammesso e non concesso che la nuova politica presidenziale risponda poi davvero alle richieste protezionistiche della sua base elettorale), si rivela quindi nei temi sociali: immigrazione, accoglienza, diversità, diritti civili.

Questo è insopportabile per l’America di Trump, che rivela qui la sua vera essenza: suprematismo celodurista e razzismo, antifemminismo e xenofobia, omofobia e autoritarismo, morale cristiana antiabortista e misogina.

Anche se The Donald non dispiace in certi ambiti dell'ambiguo populismo nostrano "né di destra né di sinistra" (Trump è "meno peggio della Clinton", ha affermato Beppe Grillo) è l'estrema destra europea che esulta intravedendo la possibilità di re-importare nel Vecchio Continente quelle "radici bianche e cristiane" fuse ad un accentuato nazionalismo che qui sono piuttosto arruginite.

Sullo sfondo sembra confermata quell'ipotesi, un po' azzardata e un po' fantapolitica, che vede l'Occidente spaccarsi proprio sulle vecchie linee di faglia delle differenze religiose. L'America ritrova le sue radici anarco-congregazioniste, la Gran Bretagna riconferma con la Brexit la sua particolarità anglicana, l'Europa luterana afferma se stessa come di classe A e guarda con sufficienza all'Europa di impronta cattolica relegata a classe B, mentre la Russia ortodossa attrae sempre più nella sua orbita i paesi dell'Europa orientale che ne condividono le radici, Grecia compresa.

E specularmente l'Islàm si divide (e si massacra) proprio sugli antichi confini fra sciiti e sunniti.

L'appartenenza religiosa sembra dunque andare in perfetto accordo con le istanze nazionalistiche più aggressive. E forse la sinistra perde perché - nonostante i suoi balbettamenti, le sue incertezze, le sue connivenze - nel suo DNA c'è l'idea portante che l'umanità è una sola.

Se sapesse motivare con più forza l'idea egualitarista forse la sua battaglia culturale avrebbe qualche chance in più di convincere i popoli che di razze ce n'è una sola, quella umana.

 

 

Commenti all'articolo

  • Di Persio Flacco (---.---.---.195) 21 novembre 2016 23:35

    Vedo che tra le varie regressioni alla religione ha dimenticato di citare il giudaismo in salsa nazionalista. Eppure ha avuto un ruolo di primo piano nel determinare la situazione attuale.

    Quanto alla sinistra che fa il suo mestiere, che non ha dimenticato che di razze ce n’è una sola, bisogna dire che diventa estremamente impopolare quando ricorda i 50 anni di apartheid in Cisgiordania e i 10 anni di blocco a Gaza.
    Sarà per questo che le razze stanno tornando in auge?
    • Di Claudio (---.---.---.86) 22 novembre 2016 07:02

      ma perché ogni volta viene fuori qualcuno che tira fuori il complotto giudaico? non le pare un po’, ma solo un po’ eccessivo, fare un collegamento tra una critica alla sinistra e il blocco di Gaza? ma per favore...

    • Di Persio Flacco (---.---.---.195) 22 novembre 2016 18:20

      Complotto giudaico sta scritto nel tuo post, non nel mio.

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.128) 22 novembre 2016 23:58
      Fabio Della Pergola

      Il "giudaismo in salsa nazionalista" non rimanda ad una dimensione culturale della tradizione ebraica, ma appunto ad una delle diverse tendenze (di destra, di centro o anche di sinistra) del nazionalismo ebraico (sionismo). Questo è un discorso diverso, esclusivamente politico, da quello che ho tentato di analizzare in questo articolo, dove le proposte politiche dell’attualità americana si innestano perfettamente nei solchi delle tradizioni valoriali religiose.

    • Di io (---.---.---.128) 23 novembre 2016 23:47

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    • Di evvai (---.---.---.128) 24 novembre 2016 00:47

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    • Di zzzzzzz (---.---.---.128) 24 novembre 2016 08:39

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    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.128) 24 novembre 2016 22:22
      Fabio Della Pergola

      In ogni caso, i dati degli exit poll danno una preferenza dell’elettorato ebraico al 71% per Clinton e al 24% per Trump. In linea con il passato: 80 e 78% ha scelto Clinton nel 1992 e 1996, 79% Gore nel 2000, 76% Kerry nel 2004, 74-78% Obama nel 2008 e 69% ancora Obama quattro anni più tardi. Il massimo di voto ebraico a favore dei repubblicani fu raggiunto da Reagan con il 40% e Romney il 30%. Il minimo da George W. Bush con l’11. Tutto questo per un gruppo etnico che vale meno del 4% dell’elettorato.

      Questi sono i dati complessivi. Che la destra filo Netanyahu abbia tifato per Trump è noto, che la maggioranza dell’elettorato abbia votato Clinton è indiscutibile. Sia Trump che Clinton hanno generi di origine ebraica, ma è ormai arcinoto che l’Anti Defamation League ha evidenziato l’antisemitismo di frange consistenti dell’alt-right a cui il sito di Steve Bannon dà visibilità. Al contrario la "lobby sionista" a cui il commentatore allude sempre e ovunque dimostrando una inquietante instabilità interpretativa (l’ultima volta ha tirato in ballo la "lobby sionista" anche a proposito del divieto di burkini sulle spiagge francesi!) si è espressa a favore di Trump.

      Tutto questo ha un senso politico e strategico, finalizzato agli interessi di parte dei partiti israeliani, ma difficilmente se ne può dedurre una convergenza della cultura tradizionale e religiosa ebraica verso il nuovo presidente, mentre sono proprio i movimenti culturali a costituire l’interesse essenziale del mio articolo (che il commentatore evidentemente non è riuscito a capire).

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.128) 24 novembre 2016 23:19
      Fabio Della Pergola

      Questo furbacchione che accusa tutto e tutti senza peraltro mai scrivere un articolo suo - essendo un vero troll - a proposito della politica americana si è espresso così "E ora cosa farà Trump? E’ un imprenditore, dunque un pragmatico, un organizzatore pignolo, alieno alle ideologie, un uomo positivo". Capito che cosa lo irrita? Lo indispettisce il fatto che qualcuno gli critichi il suo personale "uomo della provvidenza". Gratta gratta dietro a ogni antisemita c’è un vecchio fascista...

  • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.128) 22 novembre 2016 00:58
    Fabio Della Pergola

    Lei è sempre quel commentatore che ritiene legittime le aggressioni islamiche di civili ebrei e gli atti di terrorismo verso le loro istituzioni culturali o religiose in ogni parte del mondo perché "presumibilmente" favorevoli a Israele, vero? E anche che riteneva "plausibile" che il capo dell’Isis, al-Baghdadi, fosse un agente del Mossad che manovrava per fare la "Grande Israele" su tutta la Mesopotamia, no? Mi ricordo di lei e della sua fissazione antisemita. Saluti. 

    P.s. è noto che gli ebrei americani sono in maggioranza democratici da sempre. Tranne Bernie Sanders e Jill Stein che sono oltre, a sinistra.

    • Di Persio Flacco (---.---.---.195) 22 novembre 2016 18:26

      Antisemita lo dice a qualcun altro, non a me. E’ proprio perché amo l’ebraismo che detesto il sionismo. Ma evidentemente lei non capisce, o non vuole capire, la differenza.

      Rimane comunque il fatto che nel suo elenco di tendenze regressive alla religione ha volutamente omesso quella istanza del giudaismo nazionalista che ha indubbiamente una grande influenza nel determinare la politica estera degli USA.

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.128) 22 novembre 2016 19:12
      Fabio Della Pergola

      No, definisco lei antisemita. E lo faccio a ragion veduta.

      A commento di un articolo pubblicato su Agoravox (ma non mio) nell’agosto del 2014 e titolato "Ora anche Dio ha paura di Israele" un commentatore anonimo scrisse:

      «Qualsiasi manifestazione rivolta contro le strutture dell’ebraismo (sinagoghe, scuole talmudiche, musei etc.) sono manifestazioni di razzismo antisemita senza alcun dubbio e senza alcuna possibile giustificazione».

      Lei (Persio Flacco) rispose: «No, non è così. L’antisemitismo è altra cosa».

      La frase è chiarissima; lei ritiene che qualsiasi atto terroristico contro istituzioni ebraiche ovunque nel mondo (ivi compresi gli ebrei che ci stanno dentro, ovviamente) non sia antisemitismo.

      Devo davvero aggiungere altro?

    • Di Persio Flacco (---.---.---.195) 22 novembre 2016 20:23
      Ripeto la risposta che diedi.
      "Non lo è [antisemitismo] se la sinagoga è stata trasformata in ambasciata israeliana o in circolo sionista. "

      Riguardo al-Baghdadi, si informi meglio su questo straordinario Napoleone arabo che dal nulla conquista mezzo Iraq e quasi l’intera Siria.
      Riguardo alla Grande Israele, si ripassi le dichiarazioni del primo ministro Ehud Olmert. Soprattutto osservi con gli occhi aperti le politiche di lungo periodo del regime sionista israeliano.
      Il fatto che gli ebrei americani siano tradizionalmente in maggioranza democratici non riguarda la lobby, che per i suoi fini sostiene e finanzia indifferentemente democratici e repubblicani, purché sostengano le politiche israeliane.

      Non so cosa è lei ma fosse un non ebreo direi che la sua mentalità è marcatamente antisemita. Lei infatti concepisce gli ebrei come una unità indifferenziata, tale che avversando alcuni di essi li avversa tutti. Non è così: esistono ebrei suprematisti, fascisti, fanatici messianisti, ultra nazionalisti, sciovinisti, revanscisti oltre ogni decenza. Ma lei non vuole vederli e non sopporta che si indichino i loro vizi e le loro cattive azioni.

      Dunque continui pure a darmi dell’antisemita: non fa che denunciare la sua miopia o la sua malafede.

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.128) 22 novembre 2016 23:25
      Fabio Della Pergola

      Lei un antisemita perché ritiene che qualsiasi ebreo a prescindere dalle sue idee, dalle sue preferenze politiche, dalle sue azioni, può essere colpito senza che questo possa essere considerato antisemitismo. Se, e questo è palesemente ridicolo, se una sinagoga è stata trasformata in "circolo sionista"; da cosa lo potrebbe dedurre se non generalizzando che tutti gli ebrei colà riuniti sarebbero coinvolti in quella che a suo dire sarebbe la loro "colpa".
      Se avessi fatto un discorso speculare per cui qualsiasi islamico, in quanto nemico di Israele, potrebbe essere considerato legittimo nemico di tutti gli ebrei, allora chiunque si professi israelita sarebbe legittimato a colpire un qualsiasi islamico, anche il più pacifico degli individui, pretendendo di non essere definito islamofobo. La cosa incredibile è che insiste e persiste e non si rende nemmeno conto del suo delirio. Gliel’ho già detto anni fa, lei non sta bene. Cerchi un bravo medico, ne ha davvero bisogno.
      E nel frattempo vada a commentare qualcun altro e si levi dalle palle una volta per tutte.

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.128) 22 novembre 2016 23:31
      Fabio Della Pergola

      P.s. le politiche di lungo corso di Israele sono sempre le stesse da quarant’anni; una situazione di conflittualità perenne all’interno del territorio della West Bank che i leader palestinesi non hanno voluto far diventare stato nei precedenti vent’anni quando Israele era confinato al di là della linea verde. Ma non c’è mai stato alcun tentativo di sconfinamento oltre la linea armistiziale del ’73. Tutta questa fregola sulla Grande Israele, oltre il Giordano, io non la vedo proprio.

    • Di Persio Flacco (---.---.---.195) 23 novembre 2016 22:27

      << Lei un antisemita perché ritiene che qualsiasi ebreo a prescindere dalle sue idee, dalle sue preferenze politiche, dalle sue azioni, può essere colpito senza che questo possa essere considerato antisemitismo. Se, e questo è palesemente ridicolo, se una sinagoga è stata trasformata in "circolo sionista"; da cosa lo potrebbe dedurre se non generalizzando che tutti gli ebrei colà riuniti sarebbero coinvolti in quella che a suo dire sarebbe la loro "colpa". >>

      Lei ha qualche problema cognitivo e/o non ricorda che attorno alla sinagoga minacciata c’era uno sventolio di bandiere israeliane. Non generalizzo affatto, prendo atto della realtà.
      Così come prendo atto della sua urgenza di catalogarmi come antisemita avendo io osato citare alcuni fatti.
      1. La lobby israeliana (o sionista, o nazional giudaica) ha grande influenza sulla politica statunitense, e non solo su quella statunitense. Una lobby orientata su base confessionale, dunque pertinente al suo discorso
      2. da 50 anni circa 2,5 milioni di arabi palestinesi vivono in Cisgiordania privi di diritti civili e umani, dunque in regime di apartheid, soggetti ad arresti amministrativi e a continue espropriazioni
      3. da 10 anni circa 2 milioni di arabi sono bloccati a Gaza, senza possibilità di resa e senza un termine definito
      4. la colonizzazione ebraica della Cisgiordania va avanti ininterrottamente da mezzo secolo, sotto governi nominalmente di diverso orientamento politico.

      E lei si permette anche di esortare la sinistra a promuovere con più efficacia il principio che l’umanità appartiene ad una sola "razza"... Purché non si considerino umani anche gli arabi palestinesi, è ovvio. Altrimenti scatta l’accusa di antisemitismo.
      Beh, sa dove può mettersela la sua accusa di antisemitismo? Devo specificarlo?
    • Di FDP (---.---.---.128) 24 novembre 2016 10:44

      Lei è anche un bugiardo, non parlava affatto di bandiere sventolanti. Il riferimento era generico a qualsiasi attacco a istituzioni ebraiche. Il terrorismo verso il museo ebraico di Bruxelles, alla scuola ebraica di Tolosa, all’Hyperchacher di Parigi e altri ancora sono tutti atti di antisemitismo razzista. Lei non li considera tali, quindi è connivente con i terroristi antisemiti.

    • Di FDP (---.---.---.128) 24 novembre 2016 11:27

      Copio e incollo quello che le fu risposto. Lo condivido parola per parola.

      << Se Israele si definisce stato "ebraico" significa che si dà come fondamento la cultura, la lingua, la religione, le caratteristiche proprie del popolo ebraico e della sua tradizione. Già questo è vero solo parzialmente [...]>>

      Secondo me non è vero affatto, almeno secondo la mia concezione laica dello Stato. La definizione di Stato ebraico, come di qualunque Stato che sia comunque aggettivato, è una evidente forzatura di tipo ideologico voluta dalla leadership sionista. Per quanto mi riguarda vedo Israele come lo Stato degli israeliani, i quali ovviamente e naturalmente imprimono allo Stato le caratteristiche culturali proprie della maggioranza di essi.
      Tuttavia, il mio parere e quello di altri non può ignorare l’aggettivazione che la leadership sionista impone ad Israele, che esprime una volontà sicuramente influente nei rapporti tra i cittadini e nelle relazioni con altre entità culturali, religiose, statuali.

      Secondo la sua concezione laica dello Stato. La definizione di Stato etnicamente o religiosamente definito è ampiamente diffusa nel mondo ed è una delle forme istituzionali che i popoli si sono dati. Posso condividere l’idea che uno stato non etnicamente o religiosamente definito sia migliore (almeno in via teorica), ma questo  non riguarda me, in questo caso riguarda gli ebrei. I quali approvano o non approvano quella forma di stato. La storia però non si può cambiare; piaccia o non piaccia Israele nasce come stato ebraico in seguito e come conseguenza della particolare storia degli ebrei europei dell’ultimo secolo e mezzo.

      Se la si prende in parola, ed è difficile che non la prendano in parola quelli che in un modo o nell’altro soffrono per le azioni di Israele, allora quello che fa lo Stato ebraico è ebraico, e ogni ebreo ne è corresponsabile.

      Questo è il fondamento di ogni comportamento razzista. Quelli che soffrono delle azioni di Israele sono legittimati a prendersela con Israele (in ogni sua espressione). Se ritengono ogni ebreo corresponsabile adottano una mentalità razzista e chi ne condivide le azioni adotta anche lui una logica razzista.

      << Sicuramente Israele non è lo "stato degli ebrei" per il semplice fatto che, pur proponendosi di accettare come cittadini tutti coloro che sarebbero ebrei secondo la legge (figli di madre ebrea, convertiti), non può imporre a tutti gli ebrei di diventare israeliani né di essere rappresentati da Israele. >>

      Sono d’accordo. Ma come la mettiamo se Israele, cioé la leadership sionista che egemonizza ideologicamente la sua vita pubblica, si arroga il diritto di rappresentare tutti gli ebrei, e lo afferma pubblicamente?
      Io e lei possiamo vederla in modo diverso perché, per nostra fortuna, non siamo palestinesi, né siamo parenti o amici di chi vive a Gaza o nei Territori. Dagli altri è difficile pretendere che difendano Israele da se stesso.

      Israele e i suoi politici possono dire quello che vogliono, ma se dicono che Israele rappresenta tutti gli ebrei semplicemente sbagliano. Non capisco cosa significhi “difendere Israele da se stesso”: ogni stato è responsabile di quello che fa o non fa. E in uno stato democratico (dove il popolo si esprime con le elezioni, quindi anche in Israele) i cittadini esprimono la loro volontà.

      << Quindi, dal momento che un 50% della popolazione ebraica mondiale non è israeliana, Israele non può dirsi "stato degli ebrei"; e infatti si definisce stato "ebraico", non "degli ebrei". >>

      Una distinzione sottile e piuttosto forzata. Se è "ebraico" è accomunato a tutti gli ebrei.

      Nemmeno per idea. Con la stessa logica se islamico accomuna tutti gli islamici diventa legittimo ritenere anche il pizzaiolo tunisino responsabile di quello che fa uno stato teocratico come l’Arabia Saudita o l’Iran. Uno stato “arabo” che lapida una adultera è responsabile per quello che fa, ma la sua azione non può coinvolgere tutti gli “arabi”. Questi sono discorsi molto pericolosi.

      << Le comunità ebraiche, che sono articolazioni diverse dalla sinagoga, non possono esprimere la voce di tutti gli aderenti circa le politiche dello Stato di Israele, ma solo i sensi di una comprensibile "vicinanza" più o meno entusiasta o più o meno sofferta, alla quale i singoli aderenti alla comunità possono aderire o non aderire.>>

      Le motivazioni della vicinanza delle comunità ebraiche a Israele sono piuttosto facilmente comprensibili da tutti. Quello che invece è difficilmente comprensibile è la solidarietà espressa dalle comunità ebraiche al governo di Israele.
      Un forte legame con Israele non implica affatto un forte legame con chi lo governa. Al contrario: chi avverte un forte legame con Israele dovrebbe essere portato a giudicare con severità le azioni dei sui governi, se ritiene che lo danneggiano.
      Ma allora come si spiega che quei pochi ebrei che esprimono pubblicamente il proprio dissenso a proposito delle scelte dei governanti israeliani vengono generalmente emarginati nelle comunità ebraiche?

      Ovviamente la vicinanza a un paese non implica la vicinanza a chi lo governa. Ma non può pretendere che chiunque interpreti le vicissitudini storiche esattamente come lei. Evidentemente ritengono che l’interpretazione maggioritaria dei fatti che contrappongono Israele alle formazioni palestinesi sono più convincenti di altre che sono minoritarie. Nelle comunità ebraiche come in Israele. Dal momento che la leadership israeliana è una formazione politica, il dibattito interno alle comunità ebraiche riflette le posizioni politiche esistenti in Israele, per via del particolare legame che quelle comunità (che NON rappresentano, nemmeno loro, tutti gli ebrei) hanno con Israele e con la sua storia. Quindi si spiega con la diatriba politica che è legittima fino a prova contraria, fino a che non assume forme illegali di violenza personale. Sono affari interni alle comunità, esattamente come nel caso di politici non coerenti con la maggioranza di un partito che vengono emarginati (o espulsi, pensi al gruppo del Manifesto ad esempio) all’interno di esso.

      Recentemente l’associazione Adei-Wizo-Donne ebree d’Italia, parte di quella superlobby che è il WZO, ha annullato il concerto della cantante Noa: ebrea e israeliana, per le sue dichiarazioni contro Netanyahu e a favore di Abu Mazen.
      Mi dica: come si fa a dire che quell’associazione distingue tra Israele e governo di Israele e tra ebrei e Israele? E come fare per distinguere quell’associazione dalle azioni del governo israeliano in modo che chi è contro le azioni di questo non consideri corresponsabile anche quella?

      L’Associazione fa quello che ritiene giusto nell’interesse dei suoi aderenti, con scelte a maggioranza, essendo una associazione privata. Esattamente come una qualsiasi associazione islamica probabilmente impedirebbe a Magdi Allam di tenere una conferenza nella sua sede. Di nuovo: sono scelte politiche, opinabili o meno, ma legittime in uno stato democratico. Resta il fatto le persone che fanno quelle scelte sono “ebree”, non “israeliane”. Con ogni probabilità ogni islamico che vive in Italia è filopalestinese. Molti sicuramente supportano Hamas. Quindi, con la sua logica, gli ebrei sarebbero legittimati a ritenerli tutti terroristi e nemici pericolosi. Forse solo Borghezio ragiona così.

      << Quindi qualsiasi manifestazione rivolta contro le strutture dell’ebraismo (sinagoghe, scuole talmudiche, musei etc.) sono manifestazioni di razzismo antisemita senza alcun dubbio e senza alcuna possibile giustificazione. >>

      No, non è così. L’antisemitismo è altra cosa.

      Secondo la Working Definition of Antisemitism dell’Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali "l’antisemitismo è quella certa percezione descrivibile come odio verso gli ebrei. Le manifestazioni retoriche e fisiche dell’antisemitismo sono dirette contro singoli ebrei o non ebrei, e/o contro la loro proprietà, contro le istituzioni comunitarie e contro le strutture religiose ebraiche”. Veda lei.

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.128) 24 novembre 2016 14:27
      Fabio Della Pergola

      Copio e incollo quello che le fu risposto. Lo condivido parola per parola.

      << Se Israele si definisce stato "ebraico" significa che si dà come fondamento la cultura, la lingua, la religione, le caratteristiche proprie del popolo ebraico e della sua tradizione. Già questo è vero solo parzialmente [...]>>

      Secondo me non è vero affatto, almeno secondo la mia concezione laica dello Stato. La definizione di Stato ebraico, come di qualunque Stato che sia comunque aggettivato, è una evidente forzatura di tipo ideologico voluta dalla leadership sionista. Per quanto mi riguarda vedo Israele come lo Stato degli israeliani, i quali ovviamente e naturalmente imprimono allo Stato le caratteristiche culturali proprie della maggioranza di essi.
      Tuttavia, il mio parere e quello di altri non può ignorare l’aggettivazione che la leadership sionista impone ad Israele, che esprime una volontà sicuramente influente nei rapporti tra i cittadini e nelle relazioni con altre entità culturali, religiose, statuali.

      Secondo la sua concezione laica dello Stato. La definizione di Stato etnicamente o religiosamente definito è ampiamente diffusa nel mondo ed è una delle forme istituzionali che i popoli si sono dati. Posso condividere l’idea che uno stato non etnicamente o religiosamente definito sia migliore (almeno in via teorica), ma questo  non riguarda me, in questo caso riguarda gli ebrei. I quali approvano o non approvano quella forma di stato. La storia però non si può cambiare; piaccia o non piaccia Israele nasce come stato ebraico in seguito e come conseguenza della particolare storia degli ebrei europei dell’ultimo secolo e mezzo.

      Se la si prende in parola, ed è difficile che non la prendano in parola quelli che in un modo o nell’altro soffrono per le azioni di Israele, allora quello che fa lo Stato ebraico è ebraico, e ogni ebreo ne è corresponsabile.

      Questo è il fondamento di ogni comportamento razzista. Quelli che soffrono delle azioni di Israele sono legittimati a prendersela con Israele (in ogni sua espressione). Se ritengono ogni ebreo corresponsabile adottano una mentalità razzista e chi ne condivide le azioni adotta anche lui una logica razzista.

      << Sicuramente Israele non è lo "stato degli ebrei" per il semplice fatto che, pur proponendosi di accettare come cittadini tutti coloro che sarebbero ebrei secondo la legge (figli di madre ebrea, convertiti), non può imporre a tutti gli ebrei di diventare israeliani né di essere rappresentati da Israele. >>

      Sono d’accordo. Ma come la mettiamo se Israele, cioé la leadership sionista che egemonizza ideologicamente la sua vita pubblica, si arroga il diritto di rappresentare tutti gli ebrei, e lo afferma pubblicamente?
      Io e lei possiamo vederla in modo diverso perché, per nostra fortuna, non siamo palestinesi, né siamo parenti o amici di chi vive a Gaza o nei Territori. Dagli altri è difficile pretendere che difendano Israele da se stesso.

      Israele e i suoi politici possono dire quello che vogliono, ma se dicono che Israele rappresenta tutti gli ebrei semplicemente sbagliano. Non capisco cosa significhi “difendere Israele da se stesso”: ogni stato è responsabile di quello che fa o non fa. E in uno stato democratico (dove il popolo si esprime con le elezioni, quindi anche in Israele) i cittadini esprimono la loro volontà.

      << Quindi, dal momento che un 50% della popolazione ebraica mondiale non è israeliana, Israele non può dirsi "stato degli ebrei"; e infatti si definisce stato "ebraico", non "degli ebrei". >>

      Una distinzione sottile e piuttosto forzata. Se è "ebraico" è accomunato a tutti gli ebrei.

      Nemmeno per idea. Con la stessa logica se islamico accomuna tutti gli islamici diventa legittimo ritenere anche il pizzaiolo tunisino responsabile di quello che fa uno stato teocratico come l’Arabia Saudita o l’Iran. Uno stato “arabo” che lapida una adultera è responsabile per quello che fa, ma la sua azione non può coinvolgere tutti gli “arabi”. Questi sono discorsi molto pericolosi.

      << Le comunità ebraiche, che sono articolazioni diverse dalla sinagoga, non possono esprimere la voce di tutti gli aderenti circa le politiche dello Stato di Israele, ma solo i sensi di una comprensibile "vicinanza" più o meno entusiasta o più o meno sofferta, alla quale i singoli aderenti alla comunità possono aderire o non aderire.>>

      Le motivazioni della vicinanza delle comunità ebraiche a Israele sono piuttosto facilmente comprensibili da tutti. Quello che invece è difficilmente comprensibile è la solidarietà espressa dalle comunità ebraiche al governo di Israele.
      Un forte legame con Israele non implica affatto un forte legame con chi lo governa. Al contrario: chi avverte un forte legame con Israele dovrebbe essere portato a giudicare con severità le azioni dei sui governi, se ritiene che lo danneggiano.
      Ma allora come si spiega che quei pochi ebrei che esprimono pubblicamente il proprio dissenso a proposito delle scelte dei governanti israeliani vengono generalmente emarginati nelle comunità ebraiche?

      Ovviamente la vicinanza a un paese non implica la vicinanza a chi lo governa. Ma non può pretendere che chiunque interpreti le vicissitudini storiche esattamente come lei. Evidentemente ritengono che l’interpretazione maggioritaria dei fatti che contrappongono Israele alle formazioni palestinesi sono più convincenti di altre che sono minoritarie. Nelle comunità ebraiche come in Israele. Dal momento che la leadership israeliana è una formazione politica, il dibattito interno alle comunità ebraiche riflette le posizioni politiche esistenti in Israele, per via del particolare legame che quelle comunità (che NON rappresentano, nemmeno loro, tutti gli ebrei) hanno con Israele e con la sua storia. Quindi si spiega con la diatriba politica che è legittima fino a prova contraria, fino a che non assume forme illegali di violenza personale. Sono affari interni alle comunità, esattamente come nel caso di politici non coerenti con la maggioranza di un partito che vengono emarginati (o espulsi, pensi al gruppo del Manifesto ad esempio) all’interno di esso.

      Recentemente l’associazione Adei-Wizo-Donne ebree d’Italia, parte di quella superlobby che è il WZO, ha annullato il concerto della cantante Noa: ebrea e israeliana, per le sue dichiarazioni contro Netanyahu e a favore di Abu Mazen.
      Mi dica: come si fa a dire che quell’associazione distingue tra Israele e governo di Israele e tra ebrei e Israele? E come fare per distinguere quell’associazione dalle azioni del governo israeliano in modo che chi è contro le azioni di questo non consideri corresponsabile anche quella?

      L’Associazione fa quello che ritiene giusto nell’interesse dei suoi aderenti, con scelte a maggioranza, essendo una associazione privata. Esattamente come una qualsiasi associazione islamica probabilmente impedirebbe a Magdi Allam di tenere una conferenza nella sua sede. Di nuovo: sono scelte politiche, opinabili o meno, ma legittime in uno stato democratico. Resta il fatto le persone che fanno quelle scelte sono “ebree”, non “israeliane”. Con ogni probabilità ogni islamico che vive in Italia è filopalestinese. Molti sicuramente supportano Hamas. Quindi, con la sua logica, gli ebrei sarebbero legittimati a ritenerli tutti terroristi e nemici pericolosi. Forse solo Borghezio ragiona così.

      << Quindi qualsiasi manifestazione rivolta contro le strutture dell’ebraismo (sinagoghe, scuole talmudiche, musei etc.) sono manifestazioni di razzismo antisemita senza alcun dubbio e senza alcuna possibile giustificazione. >>

      No, non è così. L’antisemitismo è altra cosa.

      Secondo la Working Definition of Antisemitism dell’Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali "l’antisemitismo è quella certa percezione descrivibile come odio verso gli ebrei. Le manifestazioni retoriche e fisiche dell’antisemitismo sono dirette contro singoli ebrei o non ebrei, e/o contro la loro proprietà, contro le istituzioni comunitarie e contro le strutture religiose ebraiche”. Veda lei.

    • Di Persio Flacco (---.---.---.195) 24 novembre 2016 23:29

      Lei mi fa tornare alla memoria un libro che lessi molti anni fa: Il terzo poliziotto, di Flann O’Brien. Ebbene, gli strampalati poliziotti del romanzo possiedono, tra le altre cose straordinarie, una macchina in grado di dividere un odore in tutte le sue componenti. 

      - Non ha idea delle orrende puzze che contiene il profumo di un mughetto - dice uno di essi allo stupito protagonista.
      Lei è così: disseziona quello che scrivo fino alle ultime componenti alla ricerca dell’odore di merda. Non le interessa affatto il senso di quello che scrivo, le interessa trovare la puzza che le permetterebbe di liquidarlo per intero.
      Il mio intento è esattamente il contrario rispetto al suo: annuso ogni odore per trovare la sintesi che spiega il perché di certe dinamiche e del determinarsi di certi contesti.
      E, metaforicamente, annusare ogni odore significa anche immedesimarsi nella visione degli altri per capirla e collocarla nel ruolo che effettivamente ha nel contribuire a certi contesti. Ciò che lei scambia per la mia personale visione delle cose è spesso la visione che io percepisco negli altri, in quelli coinvolti in certi fatti e in certe dinamiche.
      Ad esempio: lei ha mai provato ad immaginare come percepisce gli ebrei un arabo costretto a vivere chiuso a Gaza, sapendo che a poche centinaia di metri, dietro un muro, nello stato ebraico, vi sono persone che vivono la loro vita libere, disinteressate alla sua sorte? Quanti crede che riescano a conservare, dopo 10 anni di cattività, la forza morale sufficiente a distinguere tra ebrei responsabili della sua condizione ed ebrei che non ne sono responsabili, tra stato ebraico ed ebrei? Io ci ho provato ad immedesimarmi, lei no, evidentemente.
      Per questo ho scritto di sinagoghe trasformate in ambasciate israeliane o circoli sionisti, perché nelle circostanze di cui si discuteva immaginavo come venisse visto dagli islamici che manifestavano, il tempio con le bandiere israeliane dispiegate tutte intorno.
      Mah, tempo sprecato. Continui pure nella sua opera di scomposizione di quanto ho scritto alla ricerca di puzza di merda. Ma attenzione fdp perché, benché non mi piaccia farlo, questo è un esercizio nel quale sono bravo anch’io, probabilmente più di lei. E se mi mettessi a scomporre i suoi "prodotti" le garantisco che di puzze orrende ne troverei parecchie.

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.128) 25 novembre 2016 00:07
      Fabio Della Pergola

      No, non mi interessa quello che scrive, quello che pensa, quello che dice. Gliel’ho detto decine di volte. Non mi interessa la sua aria fritta.
      Lei è libero di scrivere tutti gli articoli che vuole e ne ha scritti invece otto (otto!) in quattro anni. Quindi no, deve infilarsi ovunque a fare il saccente, a strigliare, a dare le sue "giuste" interpretazioni di tutto.
      Lei lo sa, in un qualche suo recondito sprazzo di onestà, di essere un individuo viscido e vigliacco. Da qui viene il puzzo che si sente. Ma è suo, non mio. Sono almeno quattro anni che non perde occasione per ammorbare con la sua ossessiva, ripetitiva, monotona e monocorde presenza qualsiasi mio articolo. Nel frattempo si tiene bene al riparo non scrivendo di suo mai niente. Forse che ha il coraggio di firmarsi con nome e cognome? Quando mai! Da quel troll che è lei incarna il peggio del peggio di questa libertà, malissimo ripagata, del giornalismo partecipativo. Al di là di qualsiasi cosa scriva, di cui non vale più la pena leggere niente perché è solo un disco rotto, è lo schifo del suo comportamento aggressivo, irritante, vigliacco, meschino, come è meschino stare nell’ombra a sputare sentenze nel vano tentativo di impossessarsi degli scritti altrui per imporre la propria presenza. Un parassita, un ladro. Lei fa veramente ribrezzo. Si regali un minimo di dignità, se gliene resta da qualche parte, e si faccia gli affari suoi altrove. Scriva liberamente i "suoi" articoli, e dibatta liberamente le sue idee dove vuole, ammesso che a qualcuno interessi quello che scrive e magari troverà perfino qualcuno disposto a discutere con lei.
      Ma è proprio questo il suo problema, il suo timore: irritando gli altri trova più facilmente qualcuno con cui litigare e finalmente si sente qualcuno! Scrivendo invece è probabile che nessuno si fili i suoi articoli. Proprio un poveraccio. Come le ho detto più di una volta lei è un caso clinico, si cerchi un terapeuta. Qui comunque non è gradito. Puzza troppo, fa troppo schifo.
      Da qui in poi non risponderò più alle sue provocazioni. Addio pirla.

    • Di Persio Flacco (---.---.---.195) 25 novembre 2016 20:41

      Ricambio cordialmente gli attestati di stima. 


      Spero di non dover intervenire nuovamente sui suoi articoli: possibilità che, le ricordo, Agoravox offre a tutti, come del resto molti altri siti che considerano il confronto di idee un valore in sé positivo.

      Gli autori che non gradiscono il contraddittorio, invece di abbandonarsi agli insulti per far desistere l’interlocutore, farebbero bene a dirlo chiaramente con un telegrafico: "NON MI INTERESSA LA SUA OPINIONE" invece di fingere ipocritamente di accettare il confronto.
      Si conservi.
  • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.128) 22 novembre 2016 02:00
    Fabio Della Pergola

    In ogni caso, i dati degli exit poll danno una preferenza dell’elettorato ebraico al 71% per Clinton e al 24% per Trump. In linea con il passato: 80 e 78% ha scelto Clinton nel 1992 e 1996, 79% Gore nel 2000, 76% Kerry nel 2004, 74-78% Obama nel 2008 e 69% ancora Obama quattro anni più tardi. Il massimo di voto ebraico a favore dei repubblicani fu raggiunto da Reagan con il 40% e Romney il 30%. Il minimo da George W. Bush con l’11. Tutto questo per un gruppo etnico che vale meno del 4% dell’elettorato.

    Questi sono i dati complessivi. Che la destra filo Netanyahu abbia tifato per Trump è noto, che la maggioranza dell’elettorato abbia votato Clinton è indiscutibile. Sia Trump che Clinton hanno generi di origine ebraica, ma è ormai arcinoto che l’Anti Defamation League ha evidenziato l’antisemitismo di frange consistenti dell’alt-right a cui il sito di Steve Bannon dà visibilità. Al contrario la "lobby sionista" a cui il commentatore allude sempre e ovunque dimostrando una inquietante instabilità interpretativa (l’ultima volta ha tirato in ballo la "lobby sionista" anche a proposito del divieto di burkini sulle spiagge francesi!) si è espressa a favore di Trump.

    Tutto questo ha un senso politico e strategico, finalizzato agli interessi di parte dei partiti israeliani, ma difficilmente se ne può dedurre una convergenza della cultura tradizionale e religiosa ebraica verso il nuovo presidente, mentre sono proprio i movimenti culturali a costituire l’interesse essenziale del mio articolo (che il commentatore evidentemente non è riuscito a capire).

  • Di io (---.---.---.128) 23 novembre 2016 01:05

    informarsi meglio su al Baghdadi cosa vorrebbe dire? qualcuno ne sa qualcosa di più, a parte le bufale sul suo essere un agente del Mossad in "incognito" (e se tutti dicono che è un agente del Mossad com’è che i militanti dell’Isis non gli hanno ancora tagliato la gola?)

    • Di Persio Flacco (---.---.---.195) 23 novembre 2016 23:10

      Io non affermo nulla, registro alcune indiscrezioni e dichiarazioni <http://tinyurl.com/oqojedz&gt;&...;

      I fatti dicono che l’ISIS è il primo gruppo integralista islamico che non ha Israele nel mirino. Dicono anche che i diversi raid israeliani in Siria hanno avuto come obiettivo le forze armate del regime, non il Califfato; che l’ISIS ha dimostrato eccezionali capacità strategiche e di intelligence (eccezionali rispetto agli standard di organizzazioni irregolari analoghe); che a fare da megafono alla sua propaganda si è prestato il SITE di Rita Katz, senza il quale probabilmente la sua chiamata alla jihad non avrebbe raggiunto ogni angolo del globo.
      Ma non ho prove che al-Baghdadi sia un agente del Mossad, dunque non lo sostengo. Dico solo che se lo fosse non ne sarei troppo sorpreso.
      Perché i suoi non gli tagliano la gola? Probabilmente perché la taglierebbero a chi esprimesse dubbi sul Califfo.

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