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Commento di

su Superare la dicotomia destra-sinistra. O anche no.


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21 agosto 2013 15:14

 Siamo ormai un po’ lontani dai contenuti del mio articolo, ma non importa.

Consideriamolo un ramo.

- "Di questo abbiamo già parlato in un altra discussione", se si firmasse mi faciliterebbe il compito di ricordare.

Giusto. Il mio nick è persio flacco

- In ogni caso: " sono giunto alla conclusione che il conflitto israelo palestinese è una delle principali motivazioni dell’avversione di questo mondo verso Israele".
E’ l’unica motivazione direi, a meno che non si rispolveri la tradizionale superiorità islamica verso tutti gli "infedeli".

ci sarebbe anche la questione dell’imperialismo occidentale.

- Ma, aggiungerei, che non è tanto l’occupazione della Cisgiordania che data dal 1967, ma l’occupazione di quello che è considerato tutto territorio islamico
cioè anche l’attuale territorio metropolitano israeliano.
Con sfumature più o meno accentuate il problema è sempre stata l’esistenza di Israele, che oggi si articola in particolare nella colonizzazione della West Bank.

Dissento energicamente su questo. E’ chiaro che nella galassia islamica esiste una varietà di posizioni diverse rispetto all’esistenza di Israele, che alcune sue
componenti hanno posizioni irriducibili riguardo alla sua esistenza, ma sono piuttosto sicuro che:
  1. la gran parte del mondo islamico ha ormai accettato l’esistenza di Israele ed è disposta al suo riconoscimento formale
  2. le frange estremiste irriducibili sono considerate un pericolo dalla gran parte del mondo islamico
  3. il nerbo del nazionalismo panarabo è parecchio sfibrato

Ricordo ancora una volta l’iniziativa di pace della Lega Araba del 2002: sul piatto era stato messo il riconoscimento di Israele da parte dei paesi aderenti alla Lega,
cioé quasi tutti.
Naturalmente la motivazione più forte di quell’accozzaglia di dittature, emirati, sceiccati, monarchie teocratiche, che propose con più forza quell’iniziativa non era
affatto il traboccare nell’animo del desiderio di pace, era piuttosto la preoccupazione di galleggiare su un mare di avversione verso Israele e verso l’Occidente
e, prima o poi, di naufragarvi a forza di andare controcorrente. In breve: per quei governanti si trattava di spegnere i sentimenti anti israeliani e anti occidentali
prevalenti nei loro popoli in modo da continuare nelle loro tradizionali alleanze senza il pericolo di essere travolti da quell’avversione. E per ottenere questo risultato
occorreva un accordo di pace definitivo tra Israele e arabo islamici palestinesi. Tutto sommato questa motivazione era una garanzia che quei cinici marpioni erano seriamente
intenzionati a portare ad effetto la loro iniziativa.

L’accordo non è stato raggiunto: la proposta non venne nemmeno presa in considerazione dai governanti
israeliani. Ricordo che Massimo D’Alema, allora ministro degli esteri, organizzò un incontro a Roma per mettere a contatto le parti e che Israele declinò l’invito.
Anche per questo dico che la sua fiducia nella buonafede della cupola sionista è molto mal riposta.

Peraltro, a mio parere, molti dei sommovimenti che hanno dato vita alle cosiddette primavere arabe sono la conseguenza di quel mancato accordo. Sia per le spinte dal basso
che hanno scosso i regimi arabi sia per la loro nuova linea strategica conservativa: tutta orientata alla repressione del dissenso e alla dissoluzione del fronte laico.

- E sull’esistenza di Israele, che molti stati islamici e organizzazioni palestinesi non riconoscono, personalmente ho idee molto chiare.
Anche io. Personalmente credo che il destino naturale di Israele sia l’integrazione tra gli stati e i popoli dell’area. Questo sarebbe una fortuna per entrambi: per Israele
e per quei popoli. Opporsi a questo destino è dissennato, fermarlo sarebbe un disastro.

- Riguardo alla prevalenza della cultura sulla materialità dei fatti lei dice " in questa fase storica non sono esse a determinare le spinte prevalenti".
Non sono d’accordo. Lo scontro attuale è ampiamente (senza rispolverare il molto frainteso "conflitto di civiltà") fra due modi opposti di interpretare
l’essere umano, la vita, l’economia, la società, il rapporto uomo-donna eccetera. Direi quindi che le spinte prevalenti sono sempre quelle culturali, di
cui quelle economiche sono una parte rilevante, ma non l’unica.

Ok, facciamo un esperimento mentale. Immaginiamo che questi due mondi, con concezioni dell’essere umano tanto divergenti, non abbiano alcuna relazione tra loro,
che siano separati l’uno dall’altro, che ognuno agisca le proprie concezioni in casa sua. Vi sarebbe ugualmente uno scontro? Non credo.
E ora mettiamoli in contatto tra loro, e poniamo che il più delle volte il contatto avvenga tramite la canna di un cannone con la bocca rivolta prevalentemente
verso l’uno e il grilletto verso l’altro. Allora si che vi sarebbe uno scontro. Il fatto è che vi sono armi e fantocci occidentali in terra arabo islamica e non
il contrario. Poiché a me, ateo e occidentale, da fastidio pensare che in Italia vi sono basi militari americane zeppe di armi atomiche e che buona parte delle decisioni in
politica estera prese dal mio governo sono dettate da Washington, non fatico a comprendere il fastidio che può dare ad un arabo islamico vivere sotto una dittatura
filo occidentale con le TV e i giornali che riportano in continuazione le prodezze dei coloni ebrei e lo stato della gente di Gaza sotto assedio. Non ci vuole molta fantasia.

- Riguardo al regime degli ayatollah, lei: "Non tale da citarlo come esempio di regressione possibile rispetto al Capitalismo".
Credo che quetso sia il punto di disaccordo principale. Se il regime fascista fosse stato abbattuto e sostituito da un ritorno allo Stato della Chiesa
anziché dalla Repubblica a democrazia parlamentare avremmo superato un pessimo regime (equivalente a quello dello Shah) per capitombolare indietro di
secoli (che sarebbe, nella mia equivalenza, alla Repubblica Islamica teocratica, antidemocratica e fascistoide). Superamento per involuzione è la
definizione che ho dato e che confermo. E’ quello che penso dell’Iran attuale.

Direi che non c’è da essere fieri nell’essere stati concausa del successo degli ayatollah, cioé di aver impresso una spinta decisiva verso l’involuzione. 
A proposito del fattivo contributo fornito dalla CIA (e da altri) alla restaurazione del potere dello Scià la Clinton ha detto: "Ci siamo pentiti di quanto è accaduto
nel 1953". Lodevole. Peccato che quella operazione non sia stata l’ultima. Basta pentirsi ogni volta e si può ricominciare? Comodo.
Riguardo ai rischi di superamento del Capitalismo per involuzione (lasciamo da parte l’Iran, che quell’involuzione è opera nostra) certo, sono d’accordo: il rischio c’è sempre.
Soprattutto quando il superamento non è guidato da un pensiero razionale.

- "Come spesso (sempre?) accade nel mondo islamico le prevaricazioni e la violenza subite dagli "infedeli" diffondono e radicalizzano il fanatismo religioso,
e a volte lo portano al potere":
è molto probabile, ma non è una buona ragione.
L’Algeria si liberò dei colonialisti francesi, particolarmente duri nella repressione, ma seppero formare uno stato laico. Poi sappiamo come è andata a finire.
Gli islamisti, pur essendo al governo con la loro ala moderata, non hanno esitato a uccidere poche settimane fa gli esponenti laico-socialisti in Tunisia.
Il conflitto tra laici e fondamentalisti va ormai oltre le prevaricazioni degli "infedeli" (a meno che con questo termine non indichi i laici...).

Non capisco questo approccio, francamente. Non sempre le cose avvengono e prendono una direzione piuttosto che l’altra perché sono state guidate da una volontà. 
Soprattutto eventi complessi che coinvolgono moltitudini di fattori il corso degli eventi segue l’alveo stabilito da certe condizioni preesistenti e contingenti.
Se gli iraniani non avessero accumulato un tale odio verso gli occidentali infedeli forse avrebbero prevalso il Tudeh e le forze laiche e progressiste, e ora lei
potrebbe dire che il superamento del capitalismo può essere anche evolutivo.

- " Personalmente considero un confronto militare con l’Iran un evento disastroso",
ha ragione e siamo d’accordo.

"e per questo ogni volta che mi imbatto in qualche intervento che a mio parere contribuisce alla campagna propedeutica alla guerra cerco di rintuzzarlo",
qui invece non siamo d’accordo: se criticare il regime di Teheran perfino da un punto di vista culturale viene ritenuto un contributo "alla campagna propedeutica
alla guerra" non mi resta che stare zitto, il che non è esattamente quello che sono disposto ad accettare.

Visto che sto dialogando con lei non mi pare si possa dire che ho l’intenzione di zittirla.


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