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Superare la dicotomia destra-sinistra. O anche no.

Destreggiarsi o finire sinistrati. Una risposta all'intervista di Massimo Cacciari su Repubblica, che definisce la parola "sinistra" qualcosa che "non serve più". 

In questo gioco semantico la destra si “destreggia”, cioè sembra cavarsela dagli impicci con un po’ di abilità, molta astuzia, furbizia, scaltrezza, un bel po' di arroganza prevaricatrice, quantità inimmaginabili di faccia tosta, forse un tot di fortuna e, sempre, con l'aiutino degli “amici” vecchi e nuovi (ovunque posizionati); mentre per la sinistra non sembra esserci scampo. Finire sinistrati significa essere fatalmente e drammaticamente disastrati. Scarno ed efficace ritratto dell’attualità politica italiana (e non solo).

Addirittura “la parola sinistra è segnata dal marchio dell'insufficienza, condannata da un destino inscritto nella sua stessa etimologia latina: sinisteritas significa inettitudine, goffaggine”. Ce lo ricorda Massimo Cacciari in un’intervista di una decina di giorni fa in cui si rispolvera il "simpatico" calembour del filosofo veneziano, risalente addirittura al 1981.

Ma, come si sa bene, la “sinistra” si chiama così solo perché i rivoluzionari francesi si sedettero alla sinistra del Presidente dell'Assemblea mentre i filomonarchici a destra. Le interpretazioni etimologiche quindi sono solo un puro e semplice gioco di parole.

Non è un gioco invece il contenuto dell’intervista: Cacciari vi sostiene che la parola “sinistra” è ormai inservibile in quanto legata ad una stagione storica, quella del fascismo e dell’antifascismo, in cui la distinzione aveva una sua ragion d’essere, ma da quando Reagan e la Thatcher hanno proposto il rampantismo neoliberista la sinistra ha perso l’occasione di elaborare una efficace opposizione, rinunciando a proporre strumenti nuovi.

E, dice, “la risposta fu conservatrice: rinforzare le basi storiche e ideologiche di una sinistra che si oppone ai "reazionari". Ma - continua Cacciari - per la scienza politica, reazionario è chi vuole riportare indietro la ruota della storia a prima della rivoluzione francese. E né Thatcher né Reagan né nessun altro che si vedesse in giro proponeva di tornare al Re Sole".

Risposta indiscutibilmente corretta, per quanto un po’ (parecchio) sclerotizzata. Reazionario ha anche il senso di "colui che reagisce" a qualunque messa in discussione dello status quo. Di "chi si oppone fieramente a ogni innovazione politica e sociale".

Eppure alla domanda "cosa vuol dire essere di sinistra?” il politologo Marco Revelli  ha risposto intelligentemente e senza esitazioni “è un impulso prepolitico, una radice antropologica che viene prima di una scelta di campo consapevole. Davanti alle disparità di classe o di censo o di condizione sociale, c'è chi si compiace, traendone la certificazione del proprio essere superiore. E c'è chi si scandalizza, come capitò a Norberto Bobbio quando scoprì da bambino la miseria dei contadini che morivano di fame”.

Ma neppure Bobbio che "nel suo sforzo di definire le basi di un 'tipo ideale' della sinistra, ricorse all'idea guida di uguaglianza” convince il filosofo veneziano, perché “chi mai oggi promuove la diseguaglianza? Voglio dire, chi la propone apertamente come programma politico?”.

Potrebbe sembrare un’affermazione provocatoria in un mondo in cui - senza che nessuno lo affermi apertamente come programma politico - le diseguaglianze assurgono a livelli sorprendentemente sfacciati; prendete le pensioni d’oro da 91mila euro al mese e confrontatele con la vicenda degli esodati, ad esempio. Oppure ricordando che il 10% della popolazione, la più ricca, detiene ormai oltre il 46% della ricchezza nazionale (e il trend è in crescita).

Ma con Cacciari le cose non sono mai così prevedibili: “È chiaro che la diseguaglianza esiste, anzi cresce - dice - ma non è un'ideologia, è un fatto. La diseguaglianza non è il programma odioso di un avversario riconoscibile, semmai è la forma che ha assunto la globalizzazione, è l'anonimo che ha preso il volto dello stato di natura, dell'inevitabile, e nessuno se lo intesta”.

Non è colpa di nessuno, non è un “programma”, quindi non esiste responsabilità né, tantomeno, volontà. Nessuno si intesta la disuguaglianza che “esiste” come un fatto evidente, ma anonimo. E’ il “volto dello stato di natura”, come un terremoto, uno tsunami, una tromba d’aria. Di chi è la colpa ? Di nessuno. Siamo tutti nella caverna del Ciclope alle prese con Nessuno (che però, lo sappiamo bene, era invece Qualcuno).

“Sinistra era una parola della frase keynesiana, democratico-antifascista, che non ci serve più, non ci sono più i fascisti, siamo tutti democratici - continua Cacciari - se insisto a dire sinistra, mi porto dietro una dicotomia che è segnata dalla storia, mi ancoro a un passato. Chi si dice 'di sinistra' oggi è un perfetto conservatore, si nasconde dietro i simulacri".

E i valori? E l'etica?” - gli chiede l’ingenuo cronista - “i valori in politica sono i buoni progetti. Che la politica possa rendere giusto il mondo lo raccontano nei comizi" - risponde - "essere è fare, politica è actuositas. I veri rivoluzionari hanno sempre pensato questo: io sono quel che faccio. Il viceversa, faccio perché sono, faccio quello che sono, è la radice dei totalitarismi".

Amen. Il fare, i buoni progetti, è l’unica verità della buona politica, l’essere, l’identità umana, è solo “la radice dei totalitarismi”. E che il mondo possa essere giusto è solo paccottiglia per gonzi blaterata dai comizianti.

Già Michele Salvati, a febbraio di quest’anno, era intervenuto per chiarire l’intricata questione “sono anche convinto che sino a quando resteremo nella Modernità, nell’era storica che ha fatto seguito all’Ancien Régime, fin quando sarà prevalente l’individualismo che caratterizza le società contemporanee (...), lo spartiacque del conflitto democratico, la distinzione che tenderà a prevalere su tutte le altre, sarà quella tra destra e sinistra”.

Inoltre: come potremmo non pensare che l’intervista a Cacciari (pubblicata il 31 luglio) non sia una risposta diretta all’intervista che Stefano Rodotà, a suo tempo osannato dai grillini fino allo squarciagola, aveva appena concesso a Repubblica e pubblicata il 23 luglio?

Intervista, tassativamente, tassativamente, tassativamente da leggere e rileggere in particolare dove afferma esattamente il contrario di quello che gli risponderà, qualche giorno dopo, proprio Cacciari "Un principio inaccettabile per la sinistra è la riduzione della persona a homo oeconomicus, che si accompagna all’idea di mercato naturalizzato: è il mercato che vota, decide, governa le nostre vite". Altro che anonimo “stato di natura”.

Ma da leggere anche là dove parla di Beppe Grillo, uno "che è tra quelli che dicono che non c’è distinzione tra destra e sinistra" e che notoriamente “non è di sinistra. Ma ha saputo intercettare un desiderio di cambiamento diffuso nella società civile. L’ha interpretato sul piano della protesta, però non ha saputo dargli una traduzione politica, con l’effetto di sterilizzarlo”.

Temi ampiamente di sinistra gestiti (malamente) da uno che di sinistra non è (e tantomeno lo è il suo destrorso partner/ideologo, l'apocalittico Gianroberto Casaleggio, a suo tempo candidato in una lista civica apparentata con Forza Italia). Della serie più si è di destra e più si dichiara necessario il superamento delle differenze. Chissà perché?

Proprio mentre riflettevo sulle diverse posizioni dei vari maître à penser dell’attualità contemporanea (chiedendomi se Cacciari non si sia per caso infilato nella sinistra con il preciso intento di svuotarla di ogni contenuto identitario e se, sempre per caso, lo stesso non sia stato praticato da Grillo, con il medesimo intento), sul numero oggi in edicola di Left, l’allegato dell’Unità ultimamente in lite ideologico-politica con il quotidiano fondato dal povero Gramsci, lo psichiatra Gianfranco De Simone scende nell’arena proprio per contestare l’ex sindaco di Venezia con un articolo dal titolo emblematico: “Qualcosa di sinistro”. Una lettura caldamente consigliata.

Vado direttamente al dunque: “Per rinascere e trovare la sua identità la sinistra deve rifiutare questo 'realismo del fare' di Massimo Cacciari e occuparsi di realtà umana”, perché nel filosofo veneziano “ci troviamo davanti a un manifesto ideologicamente distruttivo che vuole togliere senso alle parole, svuotare di contenuto ogni tentativo di tanti che si impegnano per dare una nuova identità alla sinistra (...) Oggi la sinistra può rinascere e trovare la sua identità sulla base di idee nuove che sono mancate all'umanesimo marxista e postmarxista e alle loro idee di uguaglianza, di storia, di alienazione e natura umana”.

"Ciò che identifica la destra è proprio l'idea di naturalità della diseguaglianza": il cacciariano "volto dello stato di natura". Mentre è di sinistra sostenere l'uguaglianza fondamentale degli esseri umani.

Ma indiscutibilmente la sinistra ha bisogno di idee nuove proprio perché l’homo faber del vecchio Marx aveva la caratteristica di privilegiare proprio il “fare” piuttosto che l’essere e questo è stato causa del fallimento dell'antropologia marxista e postmarxista. Oggi è necessario costituire la base di una nuova antropologia che diventa possibile "se non si annullano le nuove idee sulla realtà umana esposte, a partire dagli anni '70, nei libri di Massimo Fagioli".

In altri termini ciò che ha causato il fallimento della sinistra - la prevalenza del fare sull'essere - ci viene oggi riproposto da Massimo Cacciari come ideale superamento della dicotomia destra/sinistra, obiettivo da perseguire (come propone Grillo nell'agone politico) per la nuova Modernità.

Un manifesto "ideologicamente distruttivo" in aperta e violenta opposizione alla nuova antropologia oggi possibile, grazie a Fagioli e alla sua "teoria della nascita" che definisce con indiscutibile precisione scientifica la fondamentale uguaglianza fra gli esseri umani.

 

Foto: Paul Dowmey/Flickr

 

Commenti all'articolo

  • Di GeriSteve (---.---.---.234) 12 agosto 2013 14:48

    Argomenti interessanti e complessi, a cui non si può rispondere bene se non con un commento esteso almeno quanto l’articolo.

    Mi limito invece a tre considerazioni:

    1) E’ superfluo disquisire se la contrapposizione dx-sin ha senso o no. Il punto vero è se una contrapposizione unidimensionale possa rappresentare le problematiche politiche, come lo si riteneva nella contrapposizione progressisti-conservatori. A me sembra di no, mi sembra che ci siano altre dimensioni, come la contrapposizione legalità-mafia, o quella trasparenza-ragion di stato, contrapposizioni che in Italia sono fondamentali, oppure le contrapposizioni che scaturiscono da diritti e valori individuali-delle minoranze-della società oppure da vantaggi economici contro conservazione dell’ambiente. A proposito: quella "conservazione" sarebbe di dx o di sin?

    2) L’idea che la contrapposizione dx-sin sia fasulla deriva da fatti storici precisi: politici formalmente di dx e di sin che di fatto hanno spesso e diffusamente collaborato nel sostenere gli stessi interessi e la stessa politica.

    3) L’idea che la politica possa essere sempre rappresentata in chiave dx-sin è quella teoricamente sottostante al bipartitismo. Io quelle teorie le considero strumentali al potere che, con due soli partiti li controlla bene entrambi e li utilizza per contrastare la nascita di alternative.

    GeriSteve

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 12 agosto 2013 22:10
      Fabio Della Pergola

      Anche il commento è complesso naturalmente. Provo a rispondere sinteticamente.

      A me sembra fondamentale sostenere che la differenza sia tra chi sostiene una naturale diseguaglianza e chi invece pensa ad una altrettanto naturale uguaglianza. Le politiche e le culture che alimentano le diseguaglianze sono di destra (secondo quanto detto in modo molto più articolato dai vari Rodotà, Bobbio ecc.) quelle che le contrastano sono definibili come “sinistra”. Non mi sembra che le “altre” contrapposizioni citate nel commento confliggano necessariamente con questa impostazione di base.

      Con La teoria di Fagioli si fa un passo ben più radicale nel senso di affrontare l’essenza dell’essere umano (e quindi fondare una nuova antropologia) che in tutte le altre considerazioni citate rimangono più in superficie (a parte l’interessante “impulso prepolitico” di Revelli).

      Quanto ai politici è ovvio che non basta definirsi di sinistra per esserlo davvero; inoltre non direi che questa sia una contrapposizione meccanicamente finalizzata al bipartitismo, basti pensare che è stata messa in discussione proprio quando il bipartitismo si è andato affermando.

  • Di (---.---.---.140) 18 agosto 2013 00:18

    Il provocatorio Cacciari ha confezionato un ben congegnato marchingegno illusionistico. Come quei prestigiatori che, stornando l’attenzione del pubblico su un particolare della scena o ben camuffando il meccanismo, riescono a rendere inspiegabile, magico, il loro esercizio. Ciò che Cacciari fa scomparire, attribuendogli l’ineluttabilità di uno stato di natura da accettare come uno scienziato accetta una realtà di fatto, è il trionfo egemonico del Capitalismo. 

    Grazie a questa operazione, che è credibile grazie ai decenni di propaganda sulle virtù progressive del libero mercato, la palla passa a chi si ostina ancora a tracciare una distinzione ideale e politica tra destra e sinistra ed è chiamato a giocare, con questo presupposto, una partita impossibile.

    Intendiamoci, Cacciari ha ragione nel dire che la distinzione "classica" tra destra e sinistra all’interno del contesto sociale e politico determinato dal sistema capitalistico perde di significato. Si veda l’assetto politico istituzionale, ormai identificato con la Democrazia tout court, che è il più congeniale al funzionamento del sistema economico capitalista: la forma politica e istituzionale del bipartitismo. Un sistema che serve egregiamente ad offrire la rappresentazione della Democrazia evitando però le imprevedibilità e i rischi per il sistema economico derivanti dal capriccio del potere popolare. Due schieramenti, che riconoscono entrambi lo "stato di natura" del Capitalismo e i principi che lo garantiscono, che si alternano al potere "liberamente" votati dal popolo sovrano. Certo che la distinzione tra destra e sinistra in questo modo diventa anacronistica, e non è solo la Sinistra a perdere di vista i propri lineamenti ideali, li perde anche la Destra, anche se il Capitalismo è tutt’altro che equidistante tra l’una e l’altra. Non li perde quella Destra che ispira rozzamente i suoi principi alla legge naturale: l’individuo più forte prevale su quello più debole, ciò che la forza o l’astuzia rendono disponibile lo è per diritto ecc.; li perde la Destra che si ispira ai tradizionali valori di civiltà che precedono e prescindono le necessità e i bisogni di un sistema economico.

    In realtà la distinzione tra destra e sinistra non è affatto diventata anacronistica, soprattutto non è diventato superfluo il contributo che l’una e l’altra possono dare all’umanità. Al contrario: col trionfo del Capitalismo e l’enorme potere che gli deriva dal progresso tecnologico la forbice tra efficienza economica e qualità della vita umana diventa sempre più drammaticamente divaricata. Siamo già oltre le giuste considerazioni di Bob Kennedy svolte in un celebre discorso che si concludeva con "Il Pil misura tutto, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta". 

    Ora siamo di fronte all’alternativa tra permanenza nel Capitalismo e sopravvivenza dell’ecosistema planetario e, dunque, dell’umanità. Il fatto è che il Capitalismo si basa su principi elementari che, nel loro complesso, danno vita ad un sistema inintelligente, totalmente disinteressato e irresponsabile rispetto alle conseguenze delle sua azioni. Il Capitalismo da vita ad un sistema che per intelligenza è paragonabile ad uno di quegli aspirapolvere che, lasciati liberi di muoversi, procedendo per tentativi ed errori, dopo un certo tempo hanno pulito tutto il pavimento di casa. 

    Quel tipo di aspirapolvere non ha alcuna capacità di pianificazione, non ha memoria, non conosce l’ambiente in cui opera, non segue alcun criterio che non sia: "Se urti qualcosa cambia traiettoria e continua". In modo analogo nel cosiddetto libero mercato vige un principio altrettanto semplice: "Chi genera maggiore profitto prevale; gli altri si estinguono". Questo significa ad esempio che fin quando l’estrazione di idrocarburi sarà profittevole questi verranno estratti fino all’ultima particella, a prescindere dalle conseguenze sull’ecosistema planetario e sulla vita delle persone.
    Un sistema inintelligente dunque ma non privo di istinto di conservazione. La deregulation prima e la globalizzazione poi lo hanno messo al riparo dal potere normativo della politica: ormai non esiste sulla Terra un potere che sia in grado di limitarne e disciplinarne il campo d’azione. Di più: ha saputo privare la maggior parte delle persone della capacità di immaginare di vivere in un sistema diverso. Ed è questo oggi il ruolo e la funzione del pensiero politico di destra e di sinistra: ridare alle persone la capacità di immaginare se stesse, la propria vita, il proprio futuro, il futuro dell’umanità sulla Terra, a prescindere dal Capitalismo.

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 18 agosto 2013 01:58
      Fabio Della Pergola

      Sono naturalmente d’accordo in gran parte con quanto scritto dal commentatore. Aggiungerei solo una postilla di parziale disaccordo quando si individua solo nel Capitalismo l’avversario della sinistra. Non che non lo sia (quantomeno nella sua forma deregolamentata e ultraliberista), ma non vorrei che si tornasse poi alla "vecchia" dicotomia capitalisti-proletari che non contempla l’intero ventaglio delle dimensioni disumane.

      Il superamento del capitalismo può essere realizzato anche attraverso una regressione verso dimensioni precapitalistiche di stampo religioso (anche non necessariamente legata alle religioni conosciute). L’Islam di Khomeini ne è un esempio perfetto (e non è un caso se appena tornato in Iran fondò un circolo heideggeriano islamico). Si tratta di un "superamento" che non va al di là del conosciuto attuale nella direzione di una maggiore evoluzione umana, ma per una regressione a dimensioni di alienazione altrettanto marcate (se non di più) di quelle provocate dal sistema capitalistico e dalla supremazia del "fare".

      Questo passaggio, fondamentale anche per interpretare la realtà storica attuale, è stato ben chiarito da Fagioli in un suo testo del 1980 "Bambino, donna e trasformazione dell’uomo" riedito da poco.

    • Di (---.---.---.206) 18 agosto 2013 20:53

      Nell’attuale fase storica non individuo il Capitalismo come il solo l’avversario della sinistra, lo ravviso come un avversario dell’umanità intera (capitalisti compresi). 

      Naturalmente mi riferisco al Capitalismo quale è nella sua forma attuale. E’ difficile descrivere in modo astratto e condiviso un sistema economico che nella sua forma più semplice corrisponde ad elementari esigenze di uso razionale dei mezzi di produzione, di libero scambio delle merci, di virtualizzazione e reimpiego del surplus, di tendenza a soddisfare le ambizioni individuali.

      Mi riferisco invece al Capitalismo che diventa egemonia politica e culturale, al Capitalismo che da vassallo diventa Principe, perché come Principe è stupido, avido, feroce, irresponsabile.
      Ha già fatto fallire l’umanità mettendo in circolazione un valore nominale pari a circa 10 volte il PIL mondiale, tenendolo nascosto ai più e continuando a produrre debito inesigibile.

      Ma lasciamo questo discorso, sul quale in linea di massima credo siamo d’accordo, e passiamo ai complimenti. Le faccio i miei complimenti perché è riuscito ad infilare l’Iran in un discorso sulla dicotomia destra-sinistra nel contesto del Capitalismo trionfante. Non era facile riuscirci.

      Quanto a Massimo Fagioli confesso di avere qualche pregiudizio nei suoi confronti. Non stimo affatto chi si compiace di mettersi a capo di una setta. Ma il pregiudizio è sempre sbagliato, e forse leggerò il testo che consiglia.

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 19 agosto 2013 09:02
      Fabio Della Pergola

      Confermo di essere d’accordo con quanto dice sul sistema capitalistico anche se non so immaginare quale altra modalità economica avrebbe mai potuto far uscire - per esempio - il miliardo di cinesi dalla povertà endemica e dalla morte per fame ciclica (non la prenda come una difesa d’ufficio del capitalismo, ma come una riflessione seria !).

      Quanto a Fagioli le consiglierei, se mi posso permettere, di mettere da parte davvero i pregiudizi che a volte non sono buoni consiglieri. Il testo citato è molto interessante sia negli aspetti che riguardano l’autore (si tratta di un’intervista che spazia dagli aspetti più personali a quelli più teorici) sia, appunto, alle considerazioni storiche.
      Saluti.

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 19 agosto 2013 09:39
      Fabio Della Pergola

      Sull’Islam - non posso fare a meno di sentire un vago sentore di sarcasmo nei suoi complimenti che comunque apprezzo - non è interessante solo quello che scrisse Fagioli proprio all’inizio della fase khomeinista, ma anche quello che ben più recentemente ha pubblicato Victor Farìas in "L’eredità di Heidegger nel neonazismo, nel neofascismo e nel fondamentalismo islamico" in cui si cita Sayyd Qutb che è personaggio attualissimo vista la sua posizione preminente nella fratellanza musulmana egiziana.

    • Di (---.---.---.122) 19 agosto 2013 22:12

      Sull’Iran tirato in ballo nel discorso confesso che ho voluto bonariamente ironizzare. Il fatto è che nella Rete e sui Media tradizionali vi sono persone che non si fanno sfuggire l’occasione per attribuire all’Iran piccole o grandi nequizie. 

      Nel complesso la somma di innummerevoli refoli di vento genera una tempesta che da quasi tutti gli idiomi della Terra investe quel paese da più di 30 anni, diciamo da quando la rivoluzione islamica komeinista ha rovesciato il regime dello Scià, rinforzando o scemando in proporzione al livello di scontro con Israele.
      A volte mi stupisco che, pur sottoposte ad un tale ciclone, le folle non si rovescino nelle piazze a pretendere che un tale abominio venga cancellato dalla faccia del mondo.

      Tutto questo non mi piace per diversi motivi:
      - perché detesto la mostrificazione di una persona e, tanto più, come in questo caso, di un intero popolo;
      - perché detesto l’ipocrisia. Se si odia l’Iran per il fatto che avversa Israele lo si dica sinceramente e direttamente, senza andare a mettere in evidenza ogni suo difetto, lo preferisco;
      - perché l’esperienza insegna che certe campagne solitamente portano alle guerre, e il prezzo delle guerre le pagano innanzitutto le popolazioni.

      Ma sopra ogni cosa detesto queste campagne perché coartano subdolamente la democrazia. Mi spiego meglio: in un regime esplicitamente autoritario il Principe non ha bisogno di avere l’assenso dei sudditi per mandare ad effetto le sue decisioni. Se vuole muovere guerra basta che decida di farlo.

      In un regime nominalmente democratico il Principe ha bisogno di mobilitare il consenso dei cittadini per muovere guerra, e a questo scopo servono la propaganda e i reparti di psy-ops.
      In tutti e due i casi il Principe fa quel che vuole, dunque il regime è sostanzialmente autoritario, ma nel primo caso la tirannia la si vede, nel secondo no. Personalmente preferisco che si veda: è più facile mobilitargli contro le forze democratiche.

      Qualche giorno fa sono stati declassificati i documenti relativi al rovesciamento di Mossadeq e al ripristino del potere assoluto dello Scià ad opera della CIA in team coi servizi inglesi. A mio parere nella memoria storica degli iraniani questi fatti sono ancora vivi, e ciò basta ed avanza a motivare la presenza di una corrente antioccidentale in seno alla società iraniana. Come credo sia ancora viva la memoria della collaborazione offerta dal Mossad al regime poliziesco e oppressivo di Reza Pahlavi, esercitato soprattutto tramite la Savak. Anche questo dovrebbe essere sufficiente a motivare una certa diffusa antipatia antiisraeliana, senza andare a scomodare le contiguità del primo komeinismo col nazismo. Una cosa non esclude l’altra ovviamente: entrambe completano la conoscenza di certi fenomeni, tuttavia la propaganda anti iraniana evita accuratamente di citarle entrambe.

      Allo stesso modo si omette sistematicamente di ricordare che essendo anche la società iraniana prevalentemente islamica è, come le altre, particolarmente sensibile al trattamento che riceve quella piccola parte di umma che sono i palestinesi. Anche nel caso dell’Iran la irrisolta questione palestinese tiene viva nella società l’avversione per il "regime sionista", come viene definito.
      Omettere questo genere di informazioni, di fatto, significa dare il proprio contributo alla campagna che tende a condurre verso la guerra contro l’Iran. Campagna che vede come parte più attiva le organizzazioni sioniste.

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 20 agosto 2013 00:17
      Fabio Della Pergola

      Si direbbe, a leggerla, che tutta la vicenda del khomineismo iraniano si risolva solo e unicamente nella logica dello scontro con Israele. Anche questa è una visione che partecipa, volente o nolente, ad una mistificazione: che tutto possa e debba essere interpretato attraverso i canoni della politica internazionale (chi ha rovesciato chi, chi ha interessi a fare cosa eccetera) piuttosto che interpretando le motivazioni culturali che agiscono nel latente.

      E vedo che lei identifica l’Iran con il regime degli ayatollah. Che il movimento rivoluzionario iraniano, a cui partecipavano anche le componenti laiche e marrxiste, abbia avuto le sue ragioni antioccidentali ad abbattere il regime dello Shah, e che per questo abbia avuto dalla sua le grandi massi iraniane, non è discutibile.

      Ritenere invece il movimento politico-religioso khomineista - basta ricordare che fine hanno fatto gli esponenti laici e marxisti - un elemento di riscatto evolutivo in quanto anch’esso antiamericano e anticapitalista, fu la più colossale cantonata interpretativa che la sinistra radicale fece a suo tempo (a proposito di destra e sinistra) e che tuttora fa, spesso, in nome di un assai malinteso filoislamismo più o meno terzomondista.

      In questo senso ho citato l’Iran, a proposito di un "superamento involutivo", accaduto nella storia quando si è tentato di andare oltre una società modellata sul capitalismo occidentale. Si vuole andare "oltre" e ci si ritrova "indietro". E se andare "oltre" una cultura dominante è del tutto legittimo, tornare indietro invece non lo è affatto; involuzione vs evoluzione; destra vs sinistra, tanto per tornare all’articolo. In questo senso, per quanto ho potuto capire, lo interpretava Fagioli nel testo che ho citato, scritto a ridosso della rivoluzione iraniana. Ma non mi risulta affatto che Fagioli sia filoisraeliano. Tutt’altro direi.

      Per quanto mi riguarda invece non ho mai nascosto quello che penso in merito alla questione israelo-palestinese e, tanto più a quella israelo-iraniana. Le simpatie khomeiniste verso un pensatore nazista come Heidegger non fanno che rinforzare le mie convinzioni. Anche se certamente non approvo la politica colonizzatrice israeliana dei Territori e spero che termini al più presto con un trattato di pace definitivo. Ma per sottoscrivere un accordo bisogna essere in due e trovo del tutto insoddisfacente la teoria manichea per cui il bene sta di qua e il male di là, senza tante sfumature.

      Quanto alla sua preferenza per un regime apertamente autoritario, in quanto "più facile mobilitargli contro le forze democratiche", mi auguro che sia una provocazione, magari un po’ superficiale. Suppongo che anche lei stia meglio in una democrazia occidentale, per quanto ipocrita ed "eterodiretta" dal grande fratello americano, piuttosto che nella Germania nazista.
      O no ?

    • Di (---.---.---.160) 20 agosto 2013 12:11

      <<Si direbbe, a leggerla, che tutta la vicenda del khomineismo iraniano si risolva solo e unicamente nella logica dello scontro con Israele. Anche questa è una visione che

      partecipa, volente o nolente, ad una mistificazione: che tutto possa e debba essere interpretato attraverso i canoni della politica internazionale (chi ha rovesciato chi, chi

      ha interessi a fare cosa eccetera) piuttosto che interpretando le motivazioni culturali che agiscono nel latente.>>

      Ho seguito, e seguo, molto attentamente la questione dei rapporti tra Israele e mondo arabo islamico e sono giunto alla conclusione che il conflitto israelo palestinese è una

      delle principali motivazioni dell’avversione di questo mondo verso Israele. La seconda è la stretta e ampia alleanza di Israele con le potenze ex colonialiste europee e

      soprattutto con quella neoimperialista americana. 

      Preciso che l’avversione è diffusa tra le genti di quel mondo: i regimi seguono spesso tendenze diverse, quando non opposte,

      rispetto ai loro popoli. Posizioni solitamente dettate dal pragmatismo. Lo dico per rispondere al sospetto che io voglia tirare strumentalmente in ballo Israele anche la dove

      non c’entra nulla. Quanto alle motivazioni culturali dovremmo scrivere molto di più di quanto consentito in questo spazio solo per sfiorarne la superficie e, in ogni caso, a

      mio parere in questa fase storica non sono esse a determinare le spinte prevalenti.

      <<E vedo che lei identifica l’Iran con il regime degli ayatollah. Che il movimento rivoluzionario iraniano, a cui partecipavano anche le componenti laiche e marrxiste, abbia

      avuto le sue ragioni antioccidentali ad abbattere il regime dello Shah, e che per questo abbia avuto dalla sua le grandi massi iraniane, non è discutibile.

      Ritenere invece il movimento politico-religioso khomineista - basta ricordare che fine hanno fatto gli esponenti laici e marxisti - un elemento di riscatto evolutivo in quanto

      anch’esso antiamericano e anticapitalista, fu la più colossale cantonata interpretativa che la sinistra radicale fece a suo tempo (a proposito di destra e sinistra) e che

      tuttora fa, spesso, in nome di un assai malinteso filoislamismo più o meno terzomondista.>>

      Non apprezzo affatto il regime khomeinista, come dovrebbe essere evidente dall’impronta politico ideologica che, almeno credo, emerge da ciò che scrivo. Ma nemmeno lo ritengo

      il peggiore dei regimi esistenti in quel contesto territoriale, culturale, religioso. Non tale da citarlo come esempio di regressione possibile rispetto al Capitalismo.
      La priorità per gli iraniani era scrollarsi di dosso una dittatura feroce, non un modello economico. Meglio: mentre probabilmente per la componente marxista l’una

      discendeva dall’altro, per la componente islamista e nazionalista più che il modello economico emergeva l’iniquità di poteri estranei che imponevano alla comunità nazionale

      islamica il loro volere.
      Come spesso (sempre?) accade nel mondo islamico le prevaricazioni e la violenza subite dagli "infedeli" diffondono e radicalizzano il fanatismo religioso, e a volte lo portano

      al potere. In Iran ne ha fatto le spese il Tudeh. Questo dovrebbe rispondere alla sua ipotesi: che io ritenga il khomeinismo un salto evolutivo rispetto al capitalismo

      occidentale incarnato nel regime dello Scià.
      Tendo a ritenere invece il khomeinismo come un sottoprodotto della violenza esercitata dagli agenti del capitalismo occidentale contro gli iraniani.

      <<In questo senso ho citato l’Iran, a proposito di un "superamento involutivo", accaduto nella storia quando si è tentato di andare oltre una società modellata sul capitalismo

      occidentale. Si vuole andare "oltre" e ci si ritrova "indietro". E se andare "oltre" una cultura dominante è del tutto legittimo, tornare indietro invece non lo è affatto;

      involuzione vs evoluzione; destra vs sinistra, tanto per tornare all’articolo. In questo senso, per quanto ho potuto capire, lo interpretava Fagioli nel testo che ho citato,

      scritto a ridosso della rivoluzione iraniana. Ma non mi risulta affatto che Fagioli sia filoisraeliano. Tutt’altro direi.>>

      Nel caso dell’Iran il modello economico capitalista è stato sicuramente un fattore assai meno rilevante rispetto al modello di regime repressivo che era in vigore nel

      mobilitare le forze rivoluzionarie.

      <<Per quanto mi riguarda invece non ho mai nascosto quello che penso in merito alla questione israelo-palestinese e, tanto più a quella israelo-iraniana. Le simpatie

      khomeiniste verso un pensatore nazista come Heidegger non fanno che rinforzare le mie convinzioni.>>

      Purchè non si estenda il particolare al generale e l’episodico al permanente.

      <<Anche se certamente non approvo la politica colonizzatrice israeliana dei Territori e spero che termini al più presto con un trattato di pace definitivo. Ma per

      sottoscrivere un accordo bisogna essere in due e trovo del tutto insoddisfacente la teoria manichea per cui il bene sta di qua e il male di là, senza tante sfumature.>>

      Di questo abbiamo già parlato in un altra discussione.

      <<Quanto alla sua preferenza per un regime apertamente autoritario, in quanto "più facile mobilitargli contro le forze democratiche", mi auguro che sia una provocazione,

      magari un po’ superficiale. Suppongo che anche lei stia meglio in una democrazia occidentale, per quanto ipocrita ed "eterodiretta" dal grande fratello americano, piuttosto

      che nella Germania nazista. O no ?>>

      Beh, l’alternativa che mi pone è piuttosto forzata, almeno quanto la mia tra dispotismo esplicito e dispotismo "democratico". Ho cercato di estremizzare, per chiarezza e

      brevità, ma temo di non essere riuscito a farlo.

      Ma voglio concludere motivando le mie obiezioni riguardo alla propaganda anti iraniana. 
      Come saprà sono in atto forti pressioni sui governi occidentali: su quello USA in particolare, per indurli ad affrontare militarmente il regime iraniano. A questo scopo sono messi in campo una varietà di metodi: propaganda mediatica e pressioni lobbistiche, soprattutto.

      Personalmente considero un confronto militare con l’Iran un evento disastroso, e per questo ogni volta che mi imbatto in qualche intervento che a mio parere contribuisce alla campagna propedeutica alla guerra cerco di rintuzzarlo.

    • Di (---.---.---.93) 20 agosto 2013 23:16

      Siamo ormai un po’ lontani dai contenuti del mio articolo, ma non importa.

      "Di questo abbiamo già parlato in un altra discussione", se si firmasse mi faciliterebbe il compito di ricordare.

      In ogni caso: " sono giunto alla conclusione che il conflitto israelo palestinese è una delle principali motivazioni dell’avversione di questo mondo verso Israele". E’ l’unica motivazione direi, a meno che non si rispolveri la tradizionale superiorità islamica verso tutti gli "infedeli".
      Ma, aggiungerei, che non è tanto l’occupazione della Cisgiordania che data dal 1967, ma l’occupazione di quello che è considerato tutto territorio islamico cioè anche l’attuale territorio metropolitano israeliano. Con sfumature più o meno accentuate il problema è sempre stata l’esistenza di Israele, che oggi si articola in particolare nella colonizzazione della West Bank.
      E sull’esistenza di Israele, che molti stati islamici e organizzazioni palestinesi non riconoscono, personalmente ho idee molto chiare.

      Riguardo alla prevalenza della cultura sulla materialità dei fatti lei dice " in questa fase storica non sono esse a determinare le spinte prevalenti". Non sono d’accordo. Lo scontro attuale è ampiamente (senza rispolverare il molto frainteso "conflitto di civiltà") fra due modi opposti di interpretare l’essere umano, la vita, l’economia, la società, il rapporto uomo-donna eccetera. Direi quindi che le spinte prevalenti sono sempre quelle culturali, di cui quelle economiche sono una parte rilevante, ma non l’unica.

      Riguardo al regime degli ayatollah, lei: "Non tale da citarlo come esempio di regressione possibile rispetto al Capitalismo". Credo che quetso sia il punto di disaccordo principale. Se il regime fascista fosse stato abbattuto e sostituito da un ritorno allo Stato della Chiesa anziché dalla Repubblica a democrazia parlamentare avremmo superato un pessimo regime (equivalente a quello dello Shah) per capitombolare indietro di secoli (che sarebbe, nella mia equivalenza, alla Repubblica Islamica teocratica, antidemocratica e fascistoide). Superamento per involuzione è la definizione che ho dato e che confermo. E’ quello che penso dell’Iran attuale.

      "Come spesso (sempre?) accade nel mondo islamico le prevaricazioni e la violenza subite dagli "infedeli" diffondono e radicalizzano il fanatismo religioso, e a volte lo portano al potere": è molto probabile, ma non è una buona ragione. L’Algeria si liberò dei colonialisti francesi, particolarmente duri nella repressione, ma seppero formare uno stato laico. Poi sappiamo come è andata a finire. Gli islamisti, pur essendo al governo con la loro ala moderata, non hanno esitato a uccidere poche settimane fa gli esponenti laico-socialisti in Tunisia. Il conflitto tra laici e  fondamentalisti va ormai oltre le prevaricazioni degli "infedeli" (a meno che con questo termine non indichi i laici...).

      " Personalmente considero un confronto militare con l’Iran un evento disastroso", ha ragione e siamo d’accordo.

      "e per questo ogni volta che mi imbatto in qualche intervento che a mio parere contribuisce alla campagna propedeutica alla guerra cerco di rintuzzarlo", qui invece non siamo d’accordo: se criticare il regime di Teheran perfino da un punto di vista culturale viene ritenuto un contributo "alla campagna propedeutica alla guerra" non mi resta che stare zitto, il che non è esattamente quello che sono disposto ad accettare.

    • Di (---.---.---.160) 21 agosto 2013 15:14

       Siamo ormai un po’ lontani dai contenuti del mio articolo, ma non importa.

      Consideriamolo un ramo.

      - "Di questo abbiamo già parlato in un altra discussione", se si firmasse mi faciliterebbe il compito di ricordare.

      Giusto. Il mio nick è persio flacco

      - In ogni caso: " sono giunto alla conclusione che il conflitto israelo palestinese è una delle principali motivazioni dell’avversione di questo mondo verso Israele".
      E’ l’unica motivazione direi, a meno che non si rispolveri la tradizionale superiorità islamica verso tutti gli "infedeli".

      ci sarebbe anche la questione dell’imperialismo occidentale.

      - Ma, aggiungerei, che non è tanto l’occupazione della Cisgiordania che data dal 1967, ma l’occupazione di quello che è considerato tutto territorio islamico
      cioè anche l’attuale territorio metropolitano israeliano.
      Con sfumature più o meno accentuate il problema è sempre stata l’esistenza di Israele, che oggi si articola in particolare nella colonizzazione della West Bank.

      Dissento energicamente su questo. E’ chiaro che nella galassia islamica esiste una varietà di posizioni diverse rispetto all’esistenza di Israele, che alcune sue
      componenti hanno posizioni irriducibili riguardo alla sua esistenza, ma sono piuttosto sicuro che:
        1. la gran parte del mondo islamico ha ormai accettato l’esistenza di Israele ed è disposta al suo riconoscimento formale
        2. le frange estremiste irriducibili sono considerate un pericolo dalla gran parte del mondo islamico
        3. il nerbo del nazionalismo panarabo è parecchio sfibrato

      Ricordo ancora una volta l’iniziativa di pace della Lega Araba del 2002: sul piatto era stato messo il riconoscimento di Israele da parte dei paesi aderenti alla Lega,
      cioé quasi tutti.
      Naturalmente la motivazione più forte di quell’accozzaglia di dittature, emirati, sceiccati, monarchie teocratiche, che propose con più forza quell’iniziativa non era
      affatto il traboccare nell’animo del desiderio di pace, era piuttosto la preoccupazione di galleggiare su un mare di avversione verso Israele e verso l’Occidente
      e, prima o poi, di naufragarvi a forza di andare controcorrente. In breve: per quei governanti si trattava di spegnere i sentimenti anti israeliani e anti occidentali
      prevalenti nei loro popoli in modo da continuare nelle loro tradizionali alleanze senza il pericolo di essere travolti da quell’avversione. E per ottenere questo risultato
      occorreva un accordo di pace definitivo tra Israele e arabo islamici palestinesi. Tutto sommato questa motivazione era una garanzia che quei cinici marpioni erano seriamente
      intenzionati a portare ad effetto la loro iniziativa.

      L’accordo non è stato raggiunto: la proposta non venne nemmeno presa in considerazione dai governanti
      israeliani. Ricordo che Massimo D’Alema, allora ministro degli esteri, organizzò un incontro a Roma per mettere a contatto le parti e che Israele declinò l’invito.
      Anche per questo dico che la sua fiducia nella buonafede della cupola sionista è molto mal riposta.

      Peraltro, a mio parere, molti dei sommovimenti che hanno dato vita alle cosiddette primavere arabe sono la conseguenza di quel mancato accordo. Sia per le spinte dal basso
      che hanno scosso i regimi arabi sia per la loro nuova linea strategica conservativa: tutta orientata alla repressione del dissenso e alla dissoluzione del fronte laico.

      - E sull’esistenza di Israele, che molti stati islamici e organizzazioni palestinesi non riconoscono, personalmente ho idee molto chiare.
      Anche io. Personalmente credo che il destino naturale di Israele sia l’integrazione tra gli stati e i popoli dell’area. Questo sarebbe una fortuna per entrambi: per Israele
      e per quei popoli. Opporsi a questo destino è dissennato, fermarlo sarebbe un disastro.

      - Riguardo alla prevalenza della cultura sulla materialità dei fatti lei dice " in questa fase storica non sono esse a determinare le spinte prevalenti".
      Non sono d’accordo. Lo scontro attuale è ampiamente (senza rispolverare il molto frainteso "conflitto di civiltà") fra due modi opposti di interpretare
      l’essere umano, la vita, l’economia, la società, il rapporto uomo-donna eccetera. Direi quindi che le spinte prevalenti sono sempre quelle culturali, di
      cui quelle economiche sono una parte rilevante, ma non l’unica.

      Ok, facciamo un esperimento mentale. Immaginiamo che questi due mondi, con concezioni dell’essere umano tanto divergenti, non abbiano alcuna relazione tra loro,
      che siano separati l’uno dall’altro, che ognuno agisca le proprie concezioni in casa sua. Vi sarebbe ugualmente uno scontro? Non credo.
      E ora mettiamoli in contatto tra loro, e poniamo che il più delle volte il contatto avvenga tramite la canna di un cannone con la bocca rivolta prevalentemente
      verso l’uno e il grilletto verso l’altro. Allora si che vi sarebbe uno scontro. Il fatto è che vi sono armi e fantocci occidentali in terra arabo islamica e non
      il contrario. Poiché a me, ateo e occidentale, da fastidio pensare che in Italia vi sono basi militari americane zeppe di armi atomiche e che buona parte delle decisioni in
      politica estera prese dal mio governo sono dettate da Washington, non fatico a comprendere il fastidio che può dare ad un arabo islamico vivere sotto una dittatura
      filo occidentale con le TV e i giornali che riportano in continuazione le prodezze dei coloni ebrei e lo stato della gente di Gaza sotto assedio. Non ci vuole molta fantasia.

      - Riguardo al regime degli ayatollah, lei: "Non tale da citarlo come esempio di regressione possibile rispetto al Capitalismo".
      Credo che quetso sia il punto di disaccordo principale. Se il regime fascista fosse stato abbattuto e sostituito da un ritorno allo Stato della Chiesa
      anziché dalla Repubblica a democrazia parlamentare avremmo superato un pessimo regime (equivalente a quello dello Shah) per capitombolare indietro di
      secoli (che sarebbe, nella mia equivalenza, alla Repubblica Islamica teocratica, antidemocratica e fascistoide). Superamento per involuzione è la
      definizione che ho dato e che confermo. E’ quello che penso dell’Iran attuale.

      Direi che non c’è da essere fieri nell’essere stati concausa del successo degli ayatollah, cioé di aver impresso una spinta decisiva verso l’involuzione. 
      A proposito del fattivo contributo fornito dalla CIA (e da altri) alla restaurazione del potere dello Scià la Clinton ha detto: "Ci siamo pentiti di quanto è accaduto
      nel 1953". Lodevole. Peccato che quella operazione non sia stata l’ultima. Basta pentirsi ogni volta e si può ricominciare? Comodo.
      Riguardo ai rischi di superamento del Capitalismo per involuzione (lasciamo da parte l’Iran, che quell’involuzione è opera nostra) certo, sono d’accordo: il rischio c’è sempre.
      Soprattutto quando il superamento non è guidato da un pensiero razionale.

      - "Come spesso (sempre?) accade nel mondo islamico le prevaricazioni e la violenza subite dagli "infedeli" diffondono e radicalizzano il fanatismo religioso,
      e a volte lo portano al potere":
      è molto probabile, ma non è una buona ragione.
      L’Algeria si liberò dei colonialisti francesi, particolarmente duri nella repressione, ma seppero formare uno stato laico. Poi sappiamo come è andata a finire.
      Gli islamisti, pur essendo al governo con la loro ala moderata, non hanno esitato a uccidere poche settimane fa gli esponenti laico-socialisti in Tunisia.
      Il conflitto tra laici e fondamentalisti va ormai oltre le prevaricazioni degli "infedeli" (a meno che con questo termine non indichi i laici...).

      Non capisco questo approccio, francamente. Non sempre le cose avvengono e prendono una direzione piuttosto che l’altra perché sono state guidate da una volontà. 
      Soprattutto eventi complessi che coinvolgono moltitudini di fattori il corso degli eventi segue l’alveo stabilito da certe condizioni preesistenti e contingenti.
      Se gli iraniani non avessero accumulato un tale odio verso gli occidentali infedeli forse avrebbero prevalso il Tudeh e le forze laiche e progressiste, e ora lei
      potrebbe dire che il superamento del capitalismo può essere anche evolutivo.

      - " Personalmente considero un confronto militare con l’Iran un evento disastroso",
      ha ragione e siamo d’accordo.

      "e per questo ogni volta che mi imbatto in qualche intervento che a mio parere contribuisce alla campagna propedeutica alla guerra cerco di rintuzzarlo",
      qui invece non siamo d’accordo: se criticare il regime di Teheran perfino da un punto di vista culturale viene ritenuto un contributo "alla campagna propedeutica
      alla guerra" non mi resta che stare zitto, il che non è esattamente quello che sono disposto ad accettare.

      Visto che sto dialogando con lei non mi pare si possa dire che ho l’intenzione di zittirla.

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 22 agosto 2013 00:10
      Fabio Della Pergola

      “Visto che sto dialogando con lei non mi pare si possa dire che ho l’intenzione di zittirla”: però considera il mio commento una specie di propaganda bellica solo perché mi sono permesso di ritenere la teocrazia iraniana un superamento regressivo del regime dello Shah.


      “Dissento energicamente da questo”. Dissenta pure, è legittimo.

      Ma lei ritiene che il problema dell’esistenza di Israele sia ormai risolto solo perché qualche paese arabo - anzi, il regime dei burattini più o meno filooccidentali che guidano qualche paese arabo - ha deciso di “proporre” a Israele un piano di pacificazione in cambio di non si sa cosa.

      La questione sarebbe parecchio discutibile, ma bisognerebbe che qualcuno potesse intanto prenderla sul serio, cosa che non a caso non è avvenuta. Ma forse solo D’Alema l’aveva ritenuta da valutare. Fino a che Hamas, Hezbollah, Siria e Iran sono politicamente all’opposto di quello come di qualsiasi altro piano di pace, la cosa non è credibile.


      Io non ho alcuna fiducia nella “cupola sionista”, dal momento che è ampiamente schierata a destra; non vedo perché mi accredita di queste simpatie. Ritengo che i guerrafondai di entrambi gli schieramenti debbano essere "prevaricati" dai trattativisti. E che fino a che questo non succede, nulla di buono capiterà con danni sempre più gravi per la popolazione palestinese in primis.


      “Personalmente credo che il destino naturale di Israele sia l’integrazione tra gli stati e i popoli dell’area. Questo sarebbe una fortuna per entrambi: per Israele e per quei popoli. Opporsi a questo destino è dissennato, fermarlo sarebbe un disastro”. Sono d’accordo, è la scoperta dell’acqua calda. Il problema è come arrivarci visto che ci sono due torti e due ragioni (ma questo a lei sembrerà inaccettabile).


      “Allora si che vi sarebbe uno scontro. Il fatto è che vi sono armi e fantocci occidentali in terra arabo islamica e non il contrario”. Tutta la storia dei rapporti fra islam e cristianità è una storia di violenze reciproche, ben prima che esistessero “fantocci occidentali”. La storia non è un optional.


      “l’assedio di Gaza”: non specifica se intende “assedio israeliano” come viene inteso di solito. In caso faccio notare che pochi giorni fa i militari egiziani hanno chiuso il valico di Rafah e che pochi mesi fa Morsi fece allagare i tunnel tra Egitto e Gaza (http://www.ilmanifesto.it/area-abbo...). Non esiste quindi alcun “assedio israeliano” se per caso è questo che intendeva.


      “Direi che non c’è da essere fieri nell’essere stati concausa del successo degli ayatollah”. Io non sono fiero di niente, tantomeno di essere in qualsiasi modo coinvolto nei golpe della CIA. Ma non vedo cosa c’entri questo con una analisi culturale del regime degli ayatollah.

      Da un uguale golpe CIA con annesso sanguinoso regime militare durato anni, il Cile è uscito con una democrazia parlamentare; l’Iran con un regime teocratico. Possiamo dire che è un “superamento involutivo” anziché evolutivo ?


      Il problema dell’Islam è che permette poche opzioni: o sistemi laici dittatoriali e spesso militarizzati o teocrazie più o meno estremiste che non accettano opposizioni. La Turchia rappresentava una terza, rarissima per non dire unica, via di convivenza laici-religiosi, ma mi pare che Erdogan abbia gettato la maschera.


      In ogni caso ci siamo allontanati troppo dal contenuto dell’articolo. La saluto.

       

  • Di (---.---.---.160) 19 agosto 2013 11:33

    Lei scrive: <<non so immaginare quale altra modalità economica avrebbe mai potuto far uscire - per esempio - il miliardo di cinesi dalla povertà endemica e dalla morte per fame ciclica>>
    Nessun altro, credo. Il pragmatismo del gruppo dirigente emerso dai contrasti teorici nel PCC ha messo in campo un esperimento interessante e di successo. Di fatto ha attirato capitali, processi produttivi e gestionali e soprattutto tecnologia suonando il piffero della libertà d’impresa, del basso costo del lavoro, dell’assenza di garanzie per i lavoratori. Come si possa conciliare la definizione di partito comunista che il PCC da di se stesso alla luce di certe scelte non saprei dirlo, però indubbiamente sono state scelte efficaci. Inoltre, a quanto è dato sapere, il potere politico è ancora abbastanza indipendente rispetto a quello economico.
    Anzi, a giudicare dai risultati, la pianificazione della strategia di attrazione accennata sopra è riuscita ad attirare in una sorta di trappola lo spontaneismo capitalista, che ora si trova di fronte un avversario economico pericoloso avendo sguarnito il suo apparato produttivo.
    Il sistema di produzione capitalistico è il più efficiente e il partito comunista cinese ha utilizzato per i suoi scopi quello occidentale. Un caso di studio.

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 19 agosto 2013 11:57
      Fabio Della Pergola

      Esatto. Un caso di studio che lascia però del tutto aperte le contraddizioni che una sinistra deve soppesare (come conciliare sviluppo del benessere e contenimento delle diseguaglianze ?). Il PCC di epoca maoista impose un’uguaglianza formale ma produsse anche catastrofiche carestie; l’attualità paracapitalista cinese sembra aver risolto (o è in via di) il problema della fame, ma indubbiamente ha prodotto disparità eclatanti fra i nuovi ricchi (molto ricchi!) e i tuttora poveri abitanti delle campagne. Vedremo se superata la fase più espansiva dell’economia lo Stato saprà (e vorrà) compensare le diseguaglianze emerse.

  • Di (---.---.---.131) 21 agosto 2013 00:44

    Marx diceva che siamo tutti diversi e che per questo nella società comunista ognuno dovrebbe avere un compito diverso a seconda delle sue predisposizioni. 

    L’autore di questo articolo è rimasto ancora a "destra=male" e "sinistra=bene". La sinistra italiana non fa altro che difendere lo status quo e parlare di diritti di gay e stranieri. Stop. Tutto il resto? Concetti come destra e sinistra sono inevitabilmente da superare. A meno che i così chiamati "sinistroidi" si cullino nel piacere al sentire se stessi come "di sinistra".
    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 21 agosto 2013 08:15
      Fabio Della Pergola

      Cito dal mio stesso articolo (ma non sono parole mie): "Davanti alle disparità di classe o di censo o di condizione sociale, c’è chi si compiace, traendone la certificazione del proprio essere superiore. E c’è chi si scandalizza"

      Io sono rimasto alla capacità di scandalizzarmi. A volte sbaglio, ma il più delle volte direi di aver ragione. Diritti di gay e di stranieri non sono altro che diritti umani e civili di persone che non sono diversi da altri diritti di altre persone. E cambiare lo status quo non è certo quello che fa Berlusconi. Ma davvero lei non ci arriva ?!

  • Di (---.---.---.82) 21 agosto 2013 01:11

    Ma la Bonino è di destra o di sinistra? Dal momento che una volta sta con la destra, una volta con la sinistra e una volta con entrambe ... se in Italia non esistesse la neolingua (di orwelliana memoria), si chiamerebbe opportunismo o meglio prostituzione politica!

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 21 agosto 2013 08:57
      Fabio Della Pergola

      Dire che Emma Bonino sta "una volta a destra e una a sinistra" è una provocazioncella un po’ stiracchiata. I radicali hanno appoggiato elettoralmente Berlusconi una sola volta nel 1994. Nei  successivi diciannove anni sono stati (molto mal sopportati) a fianco del partito democratico.

      Essere degli opportunisti o dei traditori significa "un passaggio di campo e di un trasloco, armi e bagagli, nello schieramento nemico” come ha scritto l’ex lottacontinuista Luigi Manconi “ma perché un tradimento possa avvenire, si deve attribuire ai Radicali una stabile insediata e strutturata appartenenza. Il che non è in alcun modo”.

      E ancora, chiosando l’ipotizzato accordo tecnico con Storace alle ultime elezioni regionali "Forse che il suo (di Pannella, ndA) antifascismo si rivelava, con ciò, meno intransigente? Non lo penso affatto, dal momento che non è in discussione in alcun modo l’adesione più piena ai valori costituenti una concezione antifascista (antitotalitaria)".

      Per quanto mi riguarda ritengo le proposte radicali sostanzialmente di sinistra.

      Saluti.

    • Di Persio Flacco (---.---.---.128) 21 agosto 2013 23:37

      La Bonino ha un solo difetto: è più filo anglosassone della maggior parte degli anglosassoni, come spesso accade ai provinciali che non sanno di esserlo.
      Personalmente avrei gradito un ministro degli esteri che fosse filo italiano, ma mi rendo conto che si tratta di una pretesa assurda.

      Però, forse, renderemmo un servizio al Paese se affidassimo la politica estera italiana in outsourcing gratuito al dipartimento di stato USA. La politica estera italiana sarebbe la stessa, ma almeno risparmieremmo di pagare ricchi stipendi agli inutili intermediari della Farnesina. A cominciare dalla Bonino.

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 22 agosto 2013 00:01
      Fabio Della Pergola

      Capisco. Ma dopo aver visto all’opera i vari Dini, Martino, Fini, D’Alema, Frattini e dulcis in fundo Giulio Terzi con le sue performance indiane credo che lo stellone d’Italia abbia fatto un regalo al nostro paese mandandoci una come Emma Bonino. Che mi pare più piemontese che anglosassone.

  • Di (---.---.---.82) 21 agosto 2013 16:23

    ... tradimento e opportunismo non sempre coincidono e c’è una bella differenza fra tradimento e prostituzione (in questo caso politica). Mentre il tradimento è sconosciuto da chi è tradito (fino alla eventuale scoperta), l’opportunismo di un soggetto può essere conosciuto ed essere eventualmente utile agli altri concorrenti, ancor più chi va con una prostituta sa che i suoi favori sono momentanei. E il gioco fa comodo a tutti i partecipanti.


    Nella neolingua si può anche essere neoliberisti e di sinistra (ma dipende dal vento e come la bandiera gira!).
    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 21 agosto 2013 18:40
      Fabio Della Pergola

      Parlare di prostituzione politica nel caso di Emma Bonino mi sembra un’espressione semplicemente repellente. Avrei preferito discutere sull’ipotesi (che contesto) di tradimento (che non esiste come ha ben spiegato Manconi). Quanto ai giochi che "fanno comodo" direi che sono stati ben altri, in questi venti o trenta anni, di quelli praticati dai radicali. Parliamo dei democristiani, dei comunisti vecchi e nuovi, dei berlusconiani, di buona parte dei socialisti, della Chiesa, di tante organizzazioni private (dai sindacati a Confindustria, da Comunione e Liberazione alle fondazioni bancarie eccetera eccetera eccetera).

      Cerchiamo di non cadere nel ridicolo: che i giochi dei radicali abbiano fatto comodo a qualcuno, mi pare provocazioncella sempre più stiracchiata.

      Che poi liberismo (perché neo ?) e sinistra siano termini incompatibili (non solo nella "neolingua" che non so cosa voglia dire) direi che è invenzione paleocomunista, più che un’assodata e condivisa teoria politica.

  • Di (---.---.---.82) 22 agosto 2013 04:24

    La prostituzione politica della Bonino (non il tradimento che ovviamente non esiste!) non si ferma in Italia, ma (come accennato da un altro commentatore) arriva anche negli USA.


    Un esempio? L’asilo politico non concesso a Snowden, e ancor più la non difesa dei nostri diritti costituzionali (articolo 15 della Costituzione sulla libertà e segretezza dell’informazione). Ovviamente scomodi alla politica di controllo internazionale USA. Che la Bonino (piemontese per sbaglio!) si guarda bene dall’intralciare. Non contraddicendo la regola di ossequio al primato degli interessi USA, contro qualsiasi principio di indipendenza dell’Italia. Come sempre hanno fatto i nostri vari governi sin dalla nascita della Repubblica Italiana! (A parte Craxi nel caso di Sigonella, e forse solo in quel caso).
    La Bonino, attaccata alla sua poltrona e concentrata sulla sua carriera, se ne strafrega di tutto il popolo italiano (ma a chiacchiere sa recitare bene!). Altro che citare il caso dei 2 marò in India ...

    La Bonino è la meno peggio tra i ministri degli esteri della nostra repubblica delle banane? Boh ... !? ... ma che addirittura "lo stellone d’Italia abbia fatto un regalo al nostro paese mandandoci una come Emma Bonino" è semplicemente ridicolo.

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 22 agosto 2013 09:09
      Fabio Della Pergola

      L’asilo politico a Snowden ? Stava scherzando vero ? Solo Putin poteva farlo....

    • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 22 agosto 2013 09:38
      Fabio Della Pergola

      Comunque sono sorpreso che questo articolo, in cui ho cercato di raccogliere le diverse voci di alcuni protagonisti della vita pubblica italiana e in cui ho cercato di elaborare un pensiero sui concetti di "destra e sinistra" che sono all’ordine del giorno di questa fase politica (perfino Forza Nuova ritiene "superate le definizioni di destra e sinistra" http://it.wikipedia.org/wiki/Forza_Nuova) abbia dato come risultato un bel po’ di polemiche su argomenti che c’entrano poco o niente.

      La discussione su Iran-Israele non sfiora nemmeno lontanamente il tema e quella su Bonino non va oltre la solita accusa ai radicali di essere filoamericani (come se esistesse altro a parte Sinistra Critica e Casa Pound). Interessante ogni discussione, ma rimanere sul tema non mi sarebbe dispiaciuto. Inoltre invito i commentatori a una maggior sintesi, il mio tempo - benché non sia affatto prezioso - è tuttavia limitato.

  • Di (---.---.---.1) 30 agosto 2013 15:23

    Solite baggianate di una sinistra senza argomenti, senza anima e senza obiettivi.

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