Silvana, condivido molto la prima parte del tuo commento che fa riferimento alla ciclicità delle ribellioni, specialmente nei frangenti storici di più acuta crisi sociale ed economica. Assai meno condivido la seconda parte. Ribadisco che appare evidente, oltre che logico, che non tutti i ragazzi scesi per strada in Inghilterra sono dei delinquenti. Proprio come non lo erano tutti i ragazzi che il 14 dicembre scorso furono artefici della massiccia protesta romana. Infine, trovando palese anch’io la circostanza che qui da noi il ceto medio (pensionati, dipendenti, piccoli imprenditori che pagano - si spera regolarmente - le tasse) è sempre più insofferente verso uno Stato famelico e iniquo, continuo a credere che i maggiori rischi di eventuali disordini sociali possono derivare non da tali categorie bensì proprio dai giovani nullafacenti. Tanto da quelli forniti di maggiori strumenti culturali, e che quindi più legittimamente rivendicano protagonismo nel cosiddetto "ascensore sociale", quanto da quelli meno istruiti e forse più svogliati. Il problema, tuttavia, non è elitario ma riguarda una intera generazione ormai tagliata fuori dal mercato del lavoro e, per l’appunto, dalla mobilità sociale spremuta invece come un limone dai loro genitori, che hanno abusato di un sistema ormai al collasso. Dunque non si tratta delle attitudini dei giovani stessi, ma l’ingiustizia è nel sistema in quanto tale. Se i giovani diventano nullafacenti e se in taluni casi non sanno far niente, non può certo essere colpa loro: sono delle vittime, non la causa del fallimento sociale ed economico del Paese. E magari è proprio quando una vittima viene messa sullo stesso piano del "carnefice" (lo Stato, la casta, il sistema) che cresce il senso di frustrazione e con esso le possibilità che questa vittima si incazzi definitivamente e in modo irrazionale. Come in Inghilterra.