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Yes she can! L’Atalanta è pronta per lo scudetto?

Dopo 13 giornate di Campionato l'Atalanta dei miracoli targata Gasperini è autorizzata a credere nello Scudetto... Sperare nella conquista del Titolo non è più né un azzardo della fantasia né una stupida utopia: Bergamo può ambire seriamente nella maestosa impresa.

Scudetto. Una parola che per l'Atalanta sino a non molti anni fa era vuota, senz'anima, priva di significato. Poi col passare del tempo... e col trascorrere delle vittorie, questo termine, prima equiparabile ad un azzardo dell'immaginazione e accostabile ad una sciocca utopia, avrebbe assunto i connotati di una plausibile suggestione, adottando un giorno l'aspetto di una labile speranza e un altro giorno le fattezze di una remota eventualità, magari pervasa di parecchia fantasia. Ma il tutto, fra sogni ed illusioni, rimaneva permanentemente una splendida chimera assolutamente irraggiungibile se non con le ali del pensiero. Ma oggi, dopo una lunga ed estenuante scalata della montagna dell'inverosimile iniziata tempo fa, quella che sino ad ieri appariva ai più come una stravaganza allucinante della nostra creatività mentale, o tuttalpiù un'ipotesi priva di basi credibili, più miraggio che illusione, sta finalmente diventando gradualmente una possibilità tutt'altro che astratta, quasi una valida opportunità da non sprecare.

Dopo anni di rodaggio e di prove generali, questa potrebbe essere la stagione della massima e definitiva consacrazione di quello che in questo lasso di tempo ha rappresentato un autentico fenomeno d'eccellenza più unico che raro del calcio italiano post moderno. Circa un paio di lustri or sono il team lombardo iniziava a percorrere il sentiero luminoso da favola che gradualmente l'avrebbe condotto sui lidi proibiti delle aspirazioni, sulla riva dello stupore e dell'incanto. La Dea si sarebbe così spinta oltre ogni ragionevole previsione, valicando la sommità fatata del possibile, varcando la soglia magica della realtà. Il trionfo nell'ultima Europa League sembrava il culmine dell'irreale, di quello che sino a pochi anni prima non sarebbe stato contemplato neanche lontanamente dalla più fervida immaginazione. Una sorta di evento sovrannaturale plasmato nel tempo, forgiato da innumerevoli imprese, scolpito da mirabolanti successi e da exploit inverosimili. Conquistare quel trofeo doveva costituire a ragion di logica il “non plus ultra” dell'impossibile che diventava possibile, dell'irreale che diventava realtà. Aspirare a conquistare lo Scudetto rimaneva pertanto un concetto astratto, puramente teorico, forse persino irrazionale. D'altronde, per quanto possa apparire strano, un conto è prevalere in una competizione certamente onerosa e complicata come l'ex Coppa Uefa, ma pur sempre costituita da poche partite, in cui magari ti confronti a volte con avversari malmessi o comunque non proprio all'altezza del premio in palio, in una manifestazione in cui ti puoi permettere anche di collezionare un numero cospicuo di pareggi senza pagarne le conseguenze. Un altro conto, decisamente più esoso, è prevalere nel Campionato italiano, il più duro del Pianeta (o quasi), una sorta di Coppa del Mondo in cui ogni sfida la devi sostenere contro avversarie toste, agguerrite e sempre di un livello ragguardevole. Un torneo in cui hai pochi margini di errore, in cui niente ti giunge per gentile concessione altrui. Una Serie A dove per rimanere ai vertici è richiesta quasi sempre la vittoria, e ti basta pareggiarne due di fila per perdere definitivamente il treno della gloria, che corre quantomai veloce e non aspetta certo i tuoi comodi o le tue esigenze. Una competizione in cui è richiesta insomma una continuità iperbolica, senza poterti concedere troppi alti e bassi o cali di tensione prolungati. Un ritmo che per l'Atalanta sembrava proibitivo, per un team che nell'ultimo decennio ha avuto sì picchi elevati, in grado di svettare contro qualsiasi compagine nemica, ma che sino ad ora non era riuscito a conferire alla sua tabella di marcia l'opportuna costanza, o perlomeno quella stabilità che richiede la massima divisione nostrana. Probabilmente a condizionarne la continuità di rendimento era stato il suo gioco, tanto spettacolare quanto dispendioso per essere riproposto con regolarità in ogni giornata. Motivo per cui la Dea un giorno era capace di spadroneggiare in casa di temibilissime corazzate come Liverpool o Milan, per poi uscire a capo chino tra le mura amiche da sfide contro avversari malleabili o comunque tutt'altro che irresistibili come Lecce o Spal. Sino alla scorsa stagione era stata proprio la discontinuità il tallone d'Achille della squadra neroblu, l'unica vera lacuna di una compagine altrimenti senza rivali, almeno in Italia. Perché quando è in gran spolvero da noi non c'è concorrente che possa resisterle.

Ma in questo primo terzo di stagione la Dea appare in procinto di colmare l'ultima sua imperfezione, mostrando un'andatura costante mai vista, sia in Serie A, dove sta lambendo la vetta, sia in Coppa dei Campioni, dove sta incamerando un successo dietro l'altro, l'ultimo dei quali - 6-1 in casa dello Young Bouys - a dir poco roboante, palesando una forza fisica e mentale ed una maturità caratteriale, nonché un elevato tasso tecnico con rari riscontri nella storia del calcio di casa nostra. L'Atalanta sembra ormai pronta per l'ultimo balzo verso la gloria imperitura, ed il merito principale ancora una volta è senz'altro di G. Gasperini, il mago che trasforma in diamanti pure i ciottoli. Trarre il meglio da ogni giocatore, persino da quelli ancora in erba o dati per finiti, è diventata una sua prerogativa esclusiva. Sono innumerevoli i ragazzi che con lui hanno spiccato il volo, come R. Freuler o R. Malinovskyi, e sono ancora di più quelli che sono riusciti o riescono attualmente ad esprimersi a livelli aulici soltanto sotto la sua guida fatata. Penso ad esempio ad A. Conti, M. Pessina, R. Gagliardini, e F. Kessie, che dopo esser emigrati da Bergamo non hanno più ripetuto i loro standard, sino a giungere a C. De Ketelaere e M. Retegui. Il belga era arrivato a Milano con la fama da top player, ma in rossonero era diventato quasi un oggetto misterioso, afflitto ed incompreso, avulso ed impalpabile. Ebbene, grazie alla sapiente cura del maestro di Grugliasco è letteralmente rinsavito, diventando il fulcro della manovra nonché un attaccante capace di impostare e di assistere i compagni in area, senza disdegnare il gol. E vogliamo parlare di M. Retegui? Col Genoa l'italoargentino si stava smarrendo, oscurato da una coltre di prestazioni indecenti che non giustificavano più la sua presenza in Nazionale azzurra. Ora a Bergamo sta vivendo una metamorfosi da cartone animato, apprestandosi a diventare un bomber in piena regola ed a pieno regime, imprescindibile nell'attacco neroblu. Tutti questi non sono pregiudizi ma sono veri indizi in favore di Gasp., uno dei rari esempi di quanto un allenatore possa incidere nel rendimento di un giocatore. E quindi di una squadra. Una squadra che il trainer piemontese prese tanti anni fa dal nulla per mutarne lo status ed issarla sulle sommità proibite, spingendo di volta in volta sempre più in là il confine della frontiera invalicabile. Una frontiera che a fine stagione potrebbe trovare habitat nel surreale.

 

Alberto Sigona

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