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Wall Street Casinò 2011- Game Over - Anarchia finanziaria e fallimenti pubblici

Il Premio Nobel Joseph Stiglitz (www.josephstiglitz.com) è stato uno dei pochi economisti che ha descritto i punti deboli del capitalismo finanziario illusionista (www.stiglitz-sen-fitoussi.fr).

Nel libro “Bancarotta. L’economia globale in caduta libera”, si analizzano e si sintetizzano in profondità le cause e gli effetti delle ultime crisi economiche (www.einaudi.it, 2010).

Innanzitutto occorre precisare che “cercare la causa prima è come sbucciare una cipolla. Ogni spiegazione dà origine a una nuova domanda a livello più profondo”. Però la causa principale più probabile potrebbe essere stata l’attivazione di imponenti e potenti incentivi finanziari centrati sul breve e brevissimo periodo che hanno fatto perdere di vista i risultati positivi nel lungo periodo. Nessuno può negare che “i soldi che girano a Wall Street e il pensiero unico del guadagno attirano sicuramente tante persone di dubbi principi morali, ma l’universalità del problema lascia intendere che il sistema presenta dei difetti strutturali” (prefazione).

Il sistema finanziario, in teoria dovrebbe autoregolarsi, ma negli ultimi venticinque anni “è stato più volte tratto in salvo dallo Stato”. E anche se “il governo era obbligato a salvare i depositanti”, non doveva “utilizzare i soldi dei contribuenti per salvare azionisti e obbligazionisti”, che avrebbero dovuto pagare insieme ai manager bancari per l’eccesso di avidità. Così, se l’ammontare delle garanzie e dei salvataggi è arrivata all’80 per centro circa del Pil americano, nel 2008, nonostante le perdite record, ci sono stati bonus record e sei delle nove banche d’affari hanno distribuito bonus per importi superiori agli utili (periodo 2008, p. 261). In realtà agli stati converrebbe finanziarie direttamente le aziende, le infrastrutture, gli studi e la ricerca invece di perdere denaro in questo modo (e si potrebbero detassare tutti gli investimenti per tre anni).

In sostanza l’abilità dei manager di oggi consiste quasi tutta nel trovare il modo di socializzare quasi tutte le perdite e di privatizzare tutti i guadagni. Infatti “Grazie ad alcune innovazioni, le banche sono riuscite ad occultare gran parte dei loro prestiti inesigibili e a farli sparire dai bilanci… alimentando ulteriormente la bolla… I nuovi strumenti denominati Cds (credit default swaps) – nati ufficialmente per gestire il rischio pur avendo in realtà lo scopo di ingannare gli organismi di vigilanza – erano talmente complessi che il rischio l’hanno amplificato”. Nel 2007, al momento del picco, si era arrivati al fenomeno assurdo per cui “i mercati finanziari assorbivano il 41 per cento dei profitti del settore aziendale” (p. 11). Nessuno voleva ricordarsi che le crisi finanziarie ci sono sempre state e tutti speravano di trovare un modo per non far morire i propri soldi passando le patate bollenti ai più scemi del villaggio globale (Storia delle crisi finanziarie, Kindleberger Charles P., Laterza, 1991).

Nonostante tutto, le banche statunitensi, occidentali e globali non sono tornate a concentrarsi sulla concessione di prestiti alle piccole e medie imprese (che stanno alla base della creazione del lavoro in qualsiasi economia), bensì continuano a speculare sui debiti degli stati e sulla cartolarizzazione (la vendita di titoli di debito di dubbio o di nessun valore). Mentre “nel Medioevo gli alchimisti cercavano di trasformare i metalli vili in oro, l’alchimia moderna ha cercato di trasformare rischiosi mutui subprime in prodotti con rating AAA, talmente sicuri da poter essere acquistati da fondi pensione” (con la complicità più o meno evidente delle agenzie di rating, della Sec e della Federal Reserve che dovevano controllare o trovare un nuovo modo per farlo).

Obama ha punito la cattiva gestione delle case automobilistiche, ma non i grandi banchieri: “Le banche erano cresciute a tal punto da diventare non soltanto troppo grandi per fallire, ma anche troppo potenti politicamente per poter essere sottoposta a vincoli” (p. 58), nonostante la commercializzazione di carte di credito ingannevoli e le pratiche creditizie perverse e predatorie. E i cittadini “non possono sfuggire alla restituzione dei prestiti contratti oggi; ma in realtà, questa generazione può trasferire l’onere dei prestiti contratti oggi sulle generazioni future, consentendo alla generazione più anziana di consumare più del normale” (p. 103).

D’altra parte la guerra in Iraq ha provocato un innalzamento dei prezzi del petrolio e la maggiore spesa in questo settore ha dissanguato le finanze pubbliche e private di quasi tutti i paesi occidentali (il greggio è passato dai 32 dollari al barile del marzo 2003 ai 137 dollari del luglio 2008). I cittadini sanno che le guerre non sono più utili per arricchire gli Stati, ma purtroppo gli speculatori sanno che le guerre sono un modo veloce per fare soldi molto facili e pagano i lobbisti per fare pressioni sui vecchi parlamentari che non mandano i loro figli in guerra. Ci sono sempre quelli degli altri a disposizione grazie all’indottrinamento e alla povertà. E siccome anche negli Stati Uniti l’indottrinamento è sempre meno efficace, si accontentano di quelli più affamati e meno acculturati, che di solito sono i più arroganti, ignoranti, aggressivi, impulsivi, incazzosi e pericolosi.

Inoltre in Europa “il “mercato unico” fa sì che qualsiasi banca europea possa operare in qualsiasi paese, mentre la responsabilità della regolamentazione spetta al paese di provenienza. Ma se il paese in cui ha sede la banca non fa quello che deve, i cittadini degli altri paesi possono perdere miliardi”. Un paese come l’Islanda è arrivata a perdere l’equivalente del 100 per cento del suo Pil.

Comunque siamo arrivati al punto che il debito grava principalmente sugli Stati, che lo stanno trasferendo più o meno gradualmente sui cittadini più deboli (chi non ha lobbisti a libro paga). Alcuni Stati non faranno in tempo a fare tutto ciò e subiranno una tradizionale e “salutare” bancarotta di Stato. E se la guerra tra capitalismo e comunismo è oramai conclusa, “l’economia di mercato si presenta in numerose varianti, e il confronto fra esse è più acceso che mai”.

Se nei primi sei mesi del 2011 regnerà ancora l’anarchia finanziaria, sarà quasi inevitabile la prima bancarotta di Stato che avvierà una catena di sconquassi dagli esiti imprevedibili, ma che coinvolgerà stati, banche, imprese, enti e città. Forse l’attuale monetarismo che favorisce i disastri delle speculazioni sarà sostituito da un “sistema creditizio globale a cambi fissi” (Lyndon H. LaRouche, www.movisol.org, 29-12-2010). Forse Wall Street sarà riformata o nazionalizzata, poiché è diventata un casinò finanziario dove la casta predatoria di superricchi (e dei burocrati capitalisti), gioca in modo sleale con la gente comune che si lascia derubare a distanza attraverso la compravendita dei titoli (i “giocatori di poker” della casta hanno più soldi, sono meglio informati e possono accordarsi tra di loro).

Si svilupperanno meglio i sistemi economici socialdemocratici del Nord Europa e molti altri stati dovranno imitarli, poiché come ha affermato Darwin, “Non è la specie più forte che sopravvive né la più intelligente, ma quella più recettiva ai cambiamenti”. Come potete constatare anche il genio di Darwin è stato frainteso. E se è vero che le persone veramente intelligenti sono anche le più flessibili e adattabili, alcuni economisti dovranno trovare il modo di progettare dei nuovi sistemi economici basati su dei validi meccanismi di controllo e di regolazione affidati anche ai cittadini.

Note – Gli illusionisti finanziari sono riusciti a complicare persino i mutui, perciò diffidate dei consulenti che vi propongono cose lunghe o difficili, poiché può essere un modo, per loro molto semplice, di predare i vostri soldi con le commissioni. Spesso la ristrutturazione dei mutui sposta solo il problema dell’indebitamento nel futuro e privilegia gli interessi dei banchieri. Per evitare nuove crisi i governanti dovrebbero privilegiare la riduzione dei tassi d’interesse o degli importi. Altrimenti il "boa finanziario" continuerà a soffocarci e a stritolarci piano piano. 

La scelta dei modelli matematici dipende dall’intelligenza e dall’avidità di chi li usa: “I modelli utilizzati dalle banche d’affari dalle agenzie di rating si basavano in genere su distribuzioni lognormali, una variante della familiare curva a campana. In verità, avrebbero dovuto usare le cosiddette “distribuzioni a coda grassa”, in cui eventi relativamente rari si verificano con maggiore frequenza rispetto alla distribuzione lognormale” (nota 26, p. 155). Forse i dirigenti delle banche commerciali erano invidiosi dei forti guadagni dei fondi d’investimento privati (gli hedge fund).

Le perdite relative alle bolle finanziarie “sono state mille volte superiori a quelle che si registrano in presenza di inflazione, quando questa si mantiene a un livello basso e moderato. I governatori delle banche centrali… tendono a essere conservatori e, in linea di massima, non credono nell’intervento dello Stato sui mercati. Tutto questo è strano: il loro compito principale è stabilire uno dei prezzi più importanti dell’economia, ovvero il tasso di interesse. La questione, quindi, non è se lo Stato debba intervenire, bensì come e quando” (p. 374).

Friedrich Hayek, premio Nobel, è stato il più grande economista liberale, ma ha affermato che lo Stato ha sempre un ruolo centrale, soprattutto nella regolamentazione dell’orario di lavoro e nel garantire il flusso e la correttezza delle informazioni. E Adam Smith, il padre dell’economia, insegnava filosofia morale e scrisse che “La società non può sussistere tra coloro che sono sempre disposti a danneggiarsi e a farsi torto l’un l’altro” (Teoria dei sentimenti morali). Invece il multimiliardario Warren Buffett è arrivato a dire: “Non capisco perché la mia segretaria debba essere tassata più di me”.

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