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Venezuela: dollari o morte

Sono stati di recente pubblicati i dati finali del Pil 2013 del Venezuela: mostrano un incremento dell’1,3%, che farebbe la gioia di un governo europeo (prescindendo dalla fallacia che conta il raffronto col Pil potenziale, per capire se si sta realmente crescendo), ma si confronta con una crescita del 5,6% per il 2012. Il fatto è che l’economia venezuelana sta semplicemente disintegrandosi, e questa traiettoria non potrà che portare a rivolte sino al ciglio della guerra civile, ed oltre.

Riguardo il Pil 2013, come mostrato dall’Economist, in esso si nota il quasi dimezzamento dei consumi pubblici, la forte frenata di quelli privati e, soprattutto, il crollo degli investimenti fissi (a meno 9% nel 2013, contro il più 23% dell’anno precedente). I motivi di questo andamento degli investimenti sono riconducibili alle condizioni di asfissia economica in cui si trovano le imprese, nazionali ed estere, operanti in Venezuela: prive di condizioni di certezza del diritto ma soprattutto impossibilitate ad accedere alla valuta indispensabile a qualsiasi economia del pianeta, oltre ad essere ostacolate con ogni mezzo sul rimpatrio di utili o addirittura (come vedremo tra poco) di ricavi. Il risultato è che un numero crescente di imprese cessano le operazioni.

I dati del quarto trimestre 2013, in particolare, mostrano le condizioni pressoché belliche degli investimenti fissi e dell’import: il crollo di quest’ultimo è legato al feroce razionamento governativo nell’accesso alle riserve valutarie, che vengono economizzate perché stanno letteralmente scomparendo, a causa dei feroci squilibri macroeconomici del paese. A sua volta, anche l’export si sta contraendo, perché la produzione petrolifera del paese si sta ridimensionando, per evidente impossibilità a reperire i capitali necessari agli investimenti. Tale è la profondità degli squilibri economici del Venezuela che l’Economist ha calcolato che, se i volumi di import dello scorso anno fossero rimasti al livello del 2012, il Pil del paese nel 2013 si sarebbe contratto del 3,5%. Di fatto, è il collasso finale del sistema produttivo venezuelano.

Si diceva della penuria di valuta: nelle scorse settimane il governo di Nicolas Maduro ha “perfezionato” (in realtà ha posto le basi per l’implosione finale) il sistema di assegnazione della valuta agli operatori economici nazionali. È un sistema bizantino (o più propriamente demenziale) in cui esiste un sistema di griglie di prezzo per l’assegnazione di valuta agli operatori economici. Se siete il governo oppure operatori economici che importano alimentari e farmaci (oppure amici del governo che fingono di importare alimentari e farmaci, s’intende), potete farvi vendere dollari dalla banca centrale venezuelana al sontuoso cambio di 6,3 bolivar per dollaro, mentre al mercato nero il rapporto è circa dieci volte tanto. Per tutte le altre attività economiche è in vigore un sistema di aste, il cosiddetto Sicad, di recente rinnovato, che ha prodotto prezzi più vicini a quelli del mercato, intorno ai 50 bolivar per dollaro, ma sinora per quantità risibili rispetto al reale fabbisogno del pur morente sistema produttivo venezuelano.

Il problema è che, pur “vincendo” queste aste valutarie improprie, i dollari spesso arrivano in forte ritardo alle imprese, o non arrivano del tutto. Il risultato è il blocco delle attività produttive, la falcidie delle importazioni (che finisce col migliorare la bilancia commerciale, e di conseguenza fare crescere paradossalmente il Pil), l’esplosione di inflazione. Quest’ultima si alimenta anche della furiosa attività di stampa della banca centrale, che monetizza il deficit, ed ha ormai assunto le fattezze di iperinflazione, essendo prossima al 60% annuale. Ma l’inflazione prende anche le inconfondibili fattezze delle code davanti a negozi vuoti, cioè della penuria. La banca centrale, sino a non molto tempo fa, pubblicava un indice mensile di penuria. A gennaio, tale indice ha toccato il 28%, equivalente alla scomparsa dagli scaffali di quasi tre articoli su dieci in esso presenti. Ora l’indice non è più pubblicato, perché divenuto troppo “politico”, a detta delle autorità.

Il governo, come spesso accade nei paesi emergenti, si trova costretto a rialzare i prezzi ufficiali dei beni di prima necessità, qui con la patetica motivazione ufficiale di “contrastare il contrabbando”, ma anche di contenere l’esplosione di un deficit pubblico non ulteriormente monetizzabile. Ciò provocherà ulteriori fiammate inflazionistiche e moti di piazza. Diciamo che oggi la strada del panem et circenses per tener buono il popolo, consentendogli ad esempio di razziare i negozi di elettronica, è ormai preclusa, anche per sostanziale scomparsa degli oggetti del desiderio, oltre che della carta igienica (e non solo).

Ma per il Venezuela ora è vitale recuperare riserve valutarie per tentare (all’undicesima ora e ben oltre) di evitare il collasso della propria economia, e l’operazione sarà estremamente dolorosa, sul piano sociale. Nel frattempo, la situazione sta sfuggendo di mano: la Empresas Polar, la maggiore azienda privata del paese, operante nel settore alimentare, ha comunicato la scorsa settimana che sarà costretta a sospendere la produzione di pasta, non avendo ancora ricevuto dalle autorità i dollari necessari a pagare i propri fornitori. Al contempo la IATA (l’associazione internazionale del trasporto aereo) denuncia che il Venezuela sta impedendo ai vettori internazionali di rimpatriare 3,9 miliardi di dollari di ricavi delle compagnie aeree che operano nel paese latinoamericano, e minacciano conseguenze che potrebbero arrivare alla sospensione dei collegamenti aerei internazionali.

Quindi, riepilogando: il Venezuela è prossimo al collasso finale. Al momento, la priorità del paese è (o dovrebbe essere) il riallineamento del cambio alla realtà dei propri disastrosi fondamentali economici, ed il ritorno (o la creazione) di condizioni idonee per la ripresa degli investimenti, soprattutto esteri. Ma per ottenere ciò sono necessarie azioni (soppressione dei sussidi, ad esempio) che causerebbero ulteriori acute sofferenze alla popolazione. Ogni altra via sarebbe funzionale a rendere ancora più devastante il collasso del paese. Ad oggi, il rischio che per le strade del Venezuela scorra il sangue (tanto sangue, molto più di quanto visto sinora), è in crescita. E parliamo di uno dei paesi più ricchi al mondo, in termini di riserve petrolifere accertate, pensate.

Questo è un modello da mostrare a tutti i buffoni di casa nostra, che girano le piazze sbraitando farneticazioni, ed ai loro “moderati” replicanti di altri schieramenti. Ma l’esperienza diretta resta la migliore maestra di vita.

 

 

Foto: Puondpro/deviantart

I commenti più votati

  • Di (---.---.---.89) 13 maggio 2014 12:00

    Il peccato originale del chavismo è stato quello di avere nazionalizzato le risorse energetiche del Venezuela e di cercare di rendere indipendente il popolo venezuelano dal FMI e dalla Banca Mondiale. Di conseguenza i presidenti venezuelani, sebbene eletti dal proprio polo, sono considerati dall’osceno circo mediatico occidentale alla stregua di sangunari dittatori.

    Alessandro Rossi

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.89) 13 maggio 2014 12:00

    Il peccato originale del chavismo è stato quello di avere nazionalizzato le risorse energetiche del Venezuela e di cercare di rendere indipendente il popolo venezuelano dal FMI e dalla Banca Mondiale. Di conseguenza i presidenti venezuelani, sebbene eletti dal proprio polo, sono considerati dall’osceno circo mediatico occidentale alla stregua di sangunari dittatori.

    Alessandro Rossi

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