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Venezia, all’Auditorium Lo Squero il Quartetto di Venezia suona Beethoven

In programma, il 13 maggio scorso, il Quartetto in mi minore op.59 n.2 “Rasumovsky”, il Quartetto in La maggiore op.18 n.5, la Grande Fuga in Sib maggiore op.133

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E’ una sensazione rassicurante e di vera pienezza arrivare in una sala da concerto o in un teatro ed avere la percezione di trovarsi tra persone davvero interessate a quello che sta per accadere e cioè il miracolo della musica. Non accade così sovente, ma così è stato arrivando nella sala dell’Auditorium a pelo d’acqua dell’isola di S. Giorgio a Venezia, dove il Quartetto di Venezia è stato accolto con rispettoso calore dall’attento pubblico.

La Stagione dello Squero, organizzata da “Asolo Musica” quest’anno prevede l’esecuzione integrale dei Quartetti di Beethoven, genere molto amato dal Genio di Bonn che ne compose ben 16 più la Grande Fuga che in origine costituiva il finale dell’opera 133, in un programma composito che va dal repertorio di Johann Sebastian Bach alle composizioni di Barbara Strozzi passando per il jazz di Uri Caine.

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Formazione oramai quarantennale, il Quartetto di Venezia, e vale a dire Andrea Vio al violino, Alberto Battiston al violino, Mario Paladin alla viola e Angelo Zanin al violoncello, sono artisti testimoni di una civiltà musicale ormai rara. Una buona stella ha favorito l’incontro di questi musicisti cresciuti alla scuola del Quartetto Italiano sotto la guida del m° Piero Farulli e la scuola mitteleuropea del Quartetto Vegh grazie a maestri quali Sandor Vegh e Paul Szabo, rivelando fin dall’esordio le qualità attitudinali, il “germe” del quartetto: omogeneità nei tempi e facilità nell’ intonazione, una maniera affine nel realizzare certi suoni, la vocazione ad ascoltarsi e seguirsi.

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Il programma ha visto protagonista la Grande Fuga che ha chiuso il concerto. Si tratta di un brano enigmatico, difficile non solo da eseguire, ma anche da ascoltare. Esprime una modernità spiccata tale da essere stata definita da Igor Stravinsky quale brano più moderno anche rispetto al ‘900.

L’esecuzione è stata rigorosa e composta, senza indulgere nella foga ritmica che senz’altro è presente nel brano, ma che non deve andare a scapito delle parti. La scelta è stata come sempre di non lasciarsi sopraffare dalle facili emozioni che la musica veicola per offrire la possibilità a chi ascolta di “leggere” la musica riconoscendo note e passaggi. Lo stesso rispetto per la scrittura di Beethoven è stato riservato anche per l’esecuzione dei quartetti in programma.

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Un programma di musica pura, eseguito seguendo uno studio sistematico e puntuale, che è stato apprezzato dall’esigente pubblico nella sala gremita.

Applausi consapevoli, standing ovation e generoso bis da parte degli interpreti.

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