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Vancouver 2010: la morte non si dimentica

Vancouver 2010: la morte non si dimentica

La Cerimonia d’apertura per me è andata a farsi friggere. La morte non è per forza qualcosa da dimenticare. Lo sport lo fa sempre, anzi se lo impone, per poi ritornarci su a tempo debito e costruirci la storiella per gli sponsor. Io non ci sono dentro da atleta, ma in un certo senso il mondo dello sport mi tange. E per quello che ho visto, è vero che tutti pensano a vincere ma tra sportivi si è davvero più che amici o più che nemici, si ha verso l’altro un sentimento che non può essere indifferenza.
 
Veder morire un altro atleta crea angoscia e dolore che non si può mettere da parte per sfilare con la collezione inverno di Freddy, ti fa vedere anni di sacrifici ammazzati dalla voglia di andare oltre, la stessa voglia che hai tu e che inizia a farti paura. La cerimonia di ieri ha creato i momenti di ricordo ma non basta. Non si può passare dalla morte alla dance in tre secondi. Non è giusto per chi è morto ma soprattutto per chi è vivo, come se non contassero niente le emozioni che stai provando e che non possono abortire a comando.
 
Per me bisognava soltanto iniziare a gareggiare, perché fare lo sport è l’unica cosa che ti fa andare veramente avanti. Non ho citato il nome di quelli che tutti chiamano “slittinista georgiano”, proprio per non cadere nella categorizzazione selvaggia.

Lui era Nodar Kumaritashvili


P.S. ma se moriva un “pezzo grosso”, uno di quelli che conosce anche il mio salumiere, secondo voi cosa sarebbe successo?

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