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Usa: il "divorzio violento" degli ebrei ortodossi

Da­gli Sta­ti Uni­ti ar­ri­va un’al­tra sto­ria che deve far ri­flet­te­re sul­le aber­ra­zio­ni che può crea­re l’os­ser­van­za di dot­tri­ne re­li­gio­se in co­mu­ni­tà mol­to chiu­se. Un’in­chie­sta del­l’F­BI con agen­ti in in­co­gni­to ha por­ta­to al­l’ar­re­sto di di­ver­se per­so­ne nel New Jer­sey e a New York nel­la co­mu­ni­tà ul­tra-or­to­dos­sa, per i me­to­di poco ‘or­to­dos­si’ con cui al­cu­ni re­li­gio­si ga­ran­ti­va­no i di­vor­zi.

La dot­tri­na ebrai­ca ri­chie­de in­fat­ti che sia­no i rab­bi­ni a uf­fi­cia­liz­za­re un do­cu­men­to (get) con cui il ma­ri­to con­ce­de la se­pa­ra­zio­ne alla mo­glie. Sen­za, no­no­stan­te il di­vor­zio ci­vi­le, la don­na vie­ne pe­na­liz­za­ta nel­la co­mu­ni­tà: è ri­te­nu­ta agu­nah, an­co­ra “in­ca­te­na­ta” al­l’uo­mo, non può ri­spo­sar­si e i suoi fi­gli fu­tu­ri sono con­si­de­ra­ti il­le­git­ti­mi (e nem­me­no loro pos­so­no spo­sar­si con ebrei).

Il pro­ble­ma è che per estor­ce­re ai re­cal­ci­tran­ti ma­ri­ti il con­sen­so al di­vor­zio, come ri­ve­la­to da­gli stes­si re­li­gio­si igna­ri agli agen­ti sot­to co­per­tu­ra che li ave­va­no con­tat­ta­ti, al­cu­ni rab­bi­ni ar­ri­va­va­no per­si­no a ra­pi­re e tor­tu­ra­re il mal­ca­pi­ta­to e per il trat­ta­men­to chie­de­va­no alle mo­gli de­ci­ne di mi­glia­ia di dol­la­ri. Sono fi­ni­ti per que­sto in ma­net­te Men­del Ep­stein e Mar­tin Wol­mark, due rab­bi­ni di Broo­klyn, e al­tre due per­so­ne che fa­ce­va­no da ener­gu­me­ni. Si par­la di al­cu­ne de­ci­ne di casi nel­la zona. "Con­vin­to" il ma­ri­to, ba­sta­va pa­ga­re 10 mila dol­la­ri a una cor­te rab­bi­ni­ca per ap­pro­va­re il get e al­tri 50 o 60 mila dol­la­ri per gli ener­gu­me­ni, che uti­liz­za­va­no an­che ta­ser per dare scos­se elet­tri­che e bu­ste di pla­sti­ca in te­sta.

epstein

Cu­rio­sa­men­te, in una pun­ta­ta del­la se­rie The So­pra­nos di qual­che anno fa, i ma­fio­si ve­ni­va­no in­gag­gia­ti pro­prio per pic­chia­re un ebreo, af­fin­ché con­ce­des­se il di­vor­zio a una don­na. Vi­sto il caso im­ba­raz­zan­te, il pro­cu­ra­to­re Jo­se­ph Gri­b­ko si è af­fret­ta­to a dire che gli ac­cu­sa­ti non lo fa­ce­va­no sul­la base del­le loro con­vin­zio­ni re­li­gio­se, ma solo per i sol­di. Ma pro­prio un le­ga­le di Ep­stein ha ri­bat­tu­to che la pub­bli­ca ac­cu­sa si è spin­ta trop­po ol­tre, fa­cen­do ca­pi­re che è ri­dut­ti­vo li­qui­da­re il tut­to come una que­stio­ne di de­na­ro: “Pos­so­no es­se­re tra­di­zio­ni re­li­gio­se con­tro­ver­se, ma an­che an­ti­che”. Se­gno che il pro­ble­ma dei me­to­di con­tro­ver­si con cui si ot­tie­ne il di­vor­zio ebrai­co è noto e sen­ti­to dal­la stes­sa co­mu­ni­tà.

Non stu­pi­sce quin­di che il si­ste­ma, che si basa su una ri­gi­da os­ser­van­za del­le re­go­le re­li­gio­se e sul­la chiu­su­ra co­mu­ni­ta­ri­sta, pos­sa por­ta­re ad abu­si. Se in­fat­ti a mon­te esi­ste una leg­ge re­li­gio­sa li­ber­ti­ci­da e non al pas­so con i tem­pi, come nel caso in que­stio­ne in cui la don­na è ob­bli­ga­ta ad ave­re il pla­cet dei rab­bi­ni per es­se­re eman­ci­pa­ta dal pre­ce­den­te ma­ri­to, pos­so­no crear­si del­le si­tua­zio­ni per cui oc­cor­re tro­va­re un “in­gan­no” per sod­di­sfa­re le rea­li esi­gen­ze di tan­te per­so­ne. Si può quin­di ar­ri­va­re ad una aber­ra­zio­ne pro­gres­si­va dell’”in­gan­no” (ov­ve­ro modi in­for­ma­li sui qua­li si chiu­de un oc­chio, per­si­no abu­si, per spin­ge­re a con­ce­de­re il di­vor­zio).

È una ca­rat­te­ri­sti­ca che si ri­tro­va an­che in al­tre re­li­gio­ni. Si può fare un pa­ral­le­li­smo con la dot­tri­na cat­to­li­ca, in cui il di­vie­to di di­vor­zio por­ta al­l’e­sca­mo­ta­ge del­la nul­li­tà ma­tri­mo­nia­le san­ci­ta dai tri­bu­na­li ec­cle­sia­sti­ci. Di cer­to non ci sono vio­len­ze come quel­le de­scrit­te pri­ma, ma c’è sem­pre un giro di in­te­res­si e si è di fron­te alla ces­sio­ne di li­ber­tà ai rap­pre­sen­tan­ti di una re­li­gio­ne per fat­ti che ri­guar­da­no la pro­pria vita af­fet­ti­va. La Rota Ro­ma­na in­fat­ti è un or­ga­ni­smo che ren­de nul­li i ma­tri­mo­ni, come se non fos­se­ro mai esi­sti­ti — spes­so con pro­ce­du­re lun­ghe e mac­chi­no­se, alti co­sti e giu­sti­fi­ca­zio­ni im­ba­raz­zan­ti — con con­se­guen­ze an­che sul pia­no ci­vi­le, per­lo­me­no in Ita­lia, come la per­di­ta del man­te­ni­men­to.

Di fat­to, la Chie­sa con­ce­de un di­vor­zio spe­cia­le sen­za chia­mar­lo col suo nome, osta­co­lan­do al con­tem­po l’ap­pro­va­zio­ne del di­vor­zio in sede ci­vi­le (come av­ve­nu­to ai tem­pi del re­fe­ren­dum) o fa­ci­li­tar­lo (come di­mo­stra la stre­nua op­po­si­zio­ne dei ve­sco­vi al di­vor­zio bre­ve). Tut­to ciò, con l’au­men­to del­le se­pa­ra­zio­ni, crea un’a­rea gri­gia sem­pre più con­si­sten­te e ac­ca­de per­si­no che tan­ta gen­te si ri­vol­ga a noi, vi­sto che nem­me­no su in­ter­net tro­va fa­cil­men­te a chi ri­vol­ger­si.

In con­clu­sio­ne, più si è coin­vol­ti in una co­mu­ni­tà re­li­gio­sa, più la ne­ces­si­tà di ade­ri­re alle re­go­le per con­ti­nua­re a far­ne par­te può ge­ne­ra­re non solo com­por­ta­men­ti as­sur­di, ma an­che la ne­ces­si­tà di por­li in es­se­re. Com­por­ta­men­ti tal­vol­ta cri­mi­na­li, for­se an­che le­git­ti­ma­ti e pro­tet­ti da leg­gi più o meno scrit­te e da con­di­zio­na­men­ti so­cia­li fa­vo­re­vo­li alla re­li­gio­ni. Si­tua­zio­ni fi­glie di co­mu­ni­tà dove vige il pen­sie­ro uni­co. Se fos­se più pa­le­se a ogni per­so­na che esi­sto­no al­ter­na­ti­ve, sa­reb­be an­che più fa­ci­le ri­dur­re tali com­por­ta­men­ti.

 

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