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Ursula II, il programma dei sogni

Il programma della seconda commissione di Ursula Von Der Leyen è una sommatoria di buone intenzioni potenziate, destinate ancora una volta a entrare in rotta di colisione con gli interessi nazionali.

Von der Leyen con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, a Davos nel gennaio 2020

Il programma (o, più propriamente, gli “orientamenti politici”) che ha portato alla riconferma di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea corre il serio rischio di essere la sommatoria di propositi, più che di proposte, e come tale di restare un libro dei sogni. Frustrato, oggi più che mai, dalla eterogeneità delle funzioni di interesse nazionale, che si scaricano sul programma, così come dalla necessità di Von der Leyen di inglobare il consenso dei gruppi politici che poi l’hanno votata.

Ne ho scritto alla nausea (ad esempio, qui), e vi rimando a quegli scritti. Per ora, segnalo un comodo explainer realizzato dal Financial Times, che illustra le criticità delle aree programmatiche.

Risparmi e investimenti

Ad esempio, l'”Unione europea di risparmi e investimenti”, come è stata definita da Von der Leyen. Ma un bel nome nuovo non rimuove problemi antichi. La Ue ha una enorme fame di investimenti: per Difesa, tecnologia e transizione ambientale. I conti pubblici non reggono, quindi serve la mobilitazione di fondi privati. La stima di VDL è di 470 miliardi di euro annui. E fin qui, il concetto è noto, così come è noto il desiderio di impedire che ogni anno, secondo le stime di Enrico Letta, ben 300 miliardi defluiscano dalla Ue e finiscano in mercati esterni, “dove ci sono aziende che ci fanno concorrenza”.

D’accordo, anche di questo ho parlato e commentato. Ma cosa vuol dire unione europea dei risparmi e degli investimenti? Cosa è un “prodotto d’investimento pan-europeo”? Ma, soprattutto, come si integrano le funzioni di supervisione e di mercato? Come si mette a fattor comune la supervisione dei mercati, centralizzandola, quando le autorità nazionali sono gelose della loro autonomia perché funzionale a servire gli interessi nazionali? Ho già fatto l’esempio della pletora di mercati azionari, e delle grida di dolore davanti all’ipotesi di loro concentrazione fuori dai confini nazionali.

Ma pensiamo davvero possibile una unione europea di risparmi e investimenti senza una riscrittura unitaria della fiscalità aziendale? Qualcuno la accetterà mai? A me pare molto difficile.

Il fattore assai poco comune

Poi c’è l’Unione della Difesa. Come si può mettere a fattor comune la scelta dei sistemi d’arma, quando questa scelta pesa in modo così rilevante sugli interessi nazionali? Germania e Francia hanno visioni divergenti riguardo ai progetti di difesa aerea. Di questo ho già scritto più volte, negli ultimi anni. Devo ripetermi. E poi ci sono le pressioni esterne: anche un’America trumpiana isolazionista a parole ha in realtà obiettivi di fornitura di sistemi d’arma, e difficilmente accetterebbe lo sviluppo di concorrenti globali.

Poi c’è la ridefinizione dell’antitrust europeo per non intralciare la nascita di “campioni europei”. Il ricordo va all’affondamento dell’aggregazione ferroviaria Siemens-Alstom del 2019. Ma anche qui, come scrivo da tempo, ci saranno opposizioni da parte di paesi che cercano di proteggere le proprie imprese, soprattutto quelle minori, da un destino di integrazione e svuotamento, magari dopo l’acquisizione di brevetti. Quindi, attendiamoci resistenze nazionali a ogni ipotesi di allentamento dell’antitrust.

Sempre seguendo la traccia dell’explainer del FT, il punto programmatico di VDL di legare l’erogazione di fondi di bilancio comunitario alla rule of law ma anche al rispetto di principi democratici fondamentali dell’Unione è una bella e nobile idea che rischia di arenarsi sui sospetti nazionali di essere coartati nelle proprie libertà da definizioni di “rule of law” non condivise. Questa, se ci pensate, è la stessa criticità di estendere il voto a maggioranza e limitare quello all’unanimità. Quella vicenda dove gli italiani vogliono abbandonare l’unanimità sin quando non nuoce ai nostri interessi nazionali, che poi è concetto che, nel nostro caso, resta più fumoso che altrove, temo per imprecisa definizione.

 

E per i Verdi, portati a bordo di una coalizione più ampia della precedente? Come conciliare le loro posizioni con quelle dei Popolari (e dei tedeschi), ostili al bando dei motori a combustione interna dal 2035? VDL la risolve col mantra della neutralità tecnologica, che permette di tenere in piedi gli e-fuel cari ai tedeschi (e agli italiani, sempre che siano ancora della stessa idea). Ma ci sono valutazioni secondo cui i Verdi non hanno esattamente trionfato sul piano negoziale ma avevano soprattutto il forte desiderio di impedire l’ingresso in maggioranza o nella sua immediata prossimità dell’estrema destra.

E l’Italia, dopo la bocciatura di VDL da parte degli europarlamentari di Fratelli d’Italia? Aspettiamo la scelta dei commissari. La presidente ha parlato di Mediterraneo, leggasi contrasto all’immigrazione, ma anche di “semplificazione burocratica”, temi cari al governo Meloni. Ma la “complicazione” burocratica altro non è se non il sottoprodotto della cooperazione e competizione tra ventisette giocatori. E della inevitabile carenza di fiducia reciproca. Si potrà forse limitare, ma non mi aspetto rivoluzioni.

E quindi, come finirà? Non lo so ma temo che avremo more of the same, come dicono gli anglosassoni. Ma non fasciamoci la testa perché, se la Ue zoppica, Cina e Stati Uniti non le vedo dotate di occhiali da sole per proteggersi dal luminoso avvenire che le attende.

Foto Wikimedia

Questo articolo è stato pubblicato qui

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