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Uri Caine o il piacere dell’ascolto

Un pubblico attento esce soddisfatto dall’Auditorium Squero

 

Il secondo e ultimo appuntamento con “Squero Jazz” nel confortevole Auditorium dell’isola di San Giorgio a Venezia, ha proposto un doppio concerto, alle 15 e alle 17 e 30, di Uri Caine (Philadelphia, 8 giugno 1956), pianista e compositore fecondo, che ha deliziato il pubblico, non solamente veneziano, accorso per ascoltarlo.

Nei due set, il musicista non ha eseguito lo stesso programma, poiché egli non segue una scaletta predefinita, ma suona quello che gli viene in mente in quel particolare istante, allorchè percuote i tasti dello strumento, alternando momenti delicati, ad altri di altissima intensità.

Il bello è che quando alla fine gli ho chiesto di indicarmi i brani eseguiti uno per uno, non ha potuto accontentarmi, perché aveva già dimenticato in parte ciò che aveva suonato. E’ la conferma che un jazzista, se non segue uno spartito, in un recital suonerà ogni volta brani diversi, secondo l’ispirazione del momento.

Da segnalare, inoltre, che il primo set, bis compresi, è durato un’ora esatta, mentre il secondo, forse per la presenza di un pubblico più numeroso, si è concluso dopo 78 minuti.

Il set iniziale si divide in tre blocchi. Il primo inizia con Honeysuckle Rose, uno standard composto da Fats Waller, che da veloce si fa velocissimo, pieno di stacchi. L’interpretazione di Uri è come sempre godibilissima, un omaggio al passato (1929), con la coscienza del presente. Ma ecco che lo Swing finisce per lasciare spazio a Gustav Mahler. Un tema lento e delicato si dirige verso una Sonata di Mozart, che dà il via ad apprezzate improvvisazioni.

Il secondo blocco è dapprima classiccheggiante. Subentra poi un modo di improvvisare che ricorda il periodo Free e c’è un interessante incrocio tra le mani : la sinistra scavalca la destra che a sua volta fa lo stesso in una sorta di turbinìo. Si ritorna ad uno Swing ballabile e percussivo, con un profumo di Funk. Riappare Mahler con l’Adagetto dalla Sinfonia n°5 in do diesis minore, quello che Luchino Visconti ha utilizzato nella colonna sonora del suo film “Morte a Venezia”. Ma dura poco, per lasciar spazio di nuovo allo Swing e al Funk.

L’ultimo blocco si apre con un omaggio a Duke Ellington, It don’t mean a Thing (if it ain’t got that Swing). Mentre tutti si lasciano trasportare dalla musica ondeggiante, ecco che di colpo Uri passa ad una interpretazione della Marcia Turca di Mozart, ritmata più che mai, ma con un inserto centrale lento e nostalgico. E’ la volta di un pezzo pop in versione Funk, prima di uno Swing medio veloce che a poco a poco rallenta per lasciar posto ad un’eccellente versione di Round Midnight, uno dei capolavori di Thelonious Monk, che la scrisse assieme a Cootie Williams. Nello sviluppo del brano, Uri sceglie di eseguire anche il celebre stacco dal quale Miles Davis trarrà ispirazione per un assolo mozzafiato. Percuote con estremo vigore la tastiera, giungendo ad un finale festoso caldamente applaudito. I due bis abbracciano il Jazz swingante, il Pop e la classicità di Mahler.

Il secondo set si apre nuovamente con uno standard e prosegue senza fermarsi mai per 54 minuti, ripercorrendo il canovaccio del set precedente. Mozart (ma non la Marcia Turca) e Mahler (Adagetto) vengono eseguiti con armonie ed accenti diversi. Mi sembra di riconoscere un breve accenno all’Othello Syndrome, che spesso ricorre nei Recital di piano solo del musicista. C’è anche uno standard della premiata ditta Richard Rodgers&Lorenz Hart, It never entered my mind, mentre uno dei molti successi di Ella Fitgerald, I’m beginning to see the light, concluderebbe il lungo, intenso set. Ma c’è più pubblico che applaude e che lo rivuole in pedana. Uri, generoso, riflette su cosa suonare e regala tre bis : Sonia said, uno dei suoi molti originali ; una nuova versione della Marcia Turca; una ballata classicheggiante.

Note finali

1. Spesso il concerto in solitudine presenta alcuni momenti noiosi, anche in Jazzisti di gran fama (Chick Corea, Keith Jarrett,…). Con Uri questo è difficile che si verifichi, forse per la saggezza di non eccedere nella ricerca di episodi complicati per manifestare il proprio valore tecnico in maniera stucchevole, preferendo una leggerezza espressiva, unita al ritmo, essenziale per stimolare l’ascolto e non annoiare lo spettatore.

2. Lo strumento utilizzato da Uri era un pianoforte artigianale a mezza coda, ZB200, che misura due metri e otto centimetri. E’ stato costruito un anno fa dalla ditta Zanta di Camponogara, in provincia di Venezia, aperta nel 1979 dal fondatore Silvano, con una tavola armonica in abete rosso di prima qualità della val di Fiemme, a lungo stagionato, prima di essere selezionato e lavorato con specifiche tecniche tradizionali. Il suono risulta maggiormente amplificato, non fa rimpiangere lo strumento “tre quarti di coda” e ottiene l’appovazione del musicista, in questo caso Caine, che non aveva mai suonato un esemplare di simili dimensioni.

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