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Uomo investito da metropolitana: polemiche per le foto pubblicate dal New York Post

Ha scatenato enormi polemiche la foto pubblicata dal New York Post che ritrae un uomo poco prima di essere investito dalla metro.

Ieri pomeriggio, intorno alle 12:30, Ki-Suck Han, 58 anni, si trovava nella stazione della metropolitana nei pressi di Time Square, alcuni testimoni raccontano che Han è stato affiancato da un uomo che parlava da solo, il quale inizia una discussione che termina con il cinquantottenne scaraventato sui binari. I video della sicurezza hanno permesso di identificare il colpevole, Nemm Davis, venditore ambulante del Queens, che ha confessato il gesto anche se non sono ancora chiari i motivi. 

Le immagini mostrano Han che cerca di raggiungere la pensilina mentre l’autista della metro, visibilmente spaventato, prova invano ad arrestare la corsa dei vagoni. L’uomo viene travolto dal treno mentre la folla resta a guardare, nessuno lo aiuta. Han lascia la moglie e la figlia. Umar Abbasi, reporter free lance, è sul posto, immediatamente tira fuori la macchina fotografica e riprende la tragica scena. Le foto vengono riportate sul New York Post, famoso per le sue uscite spesso sopra le righe, il titolo è scioccante: “Spinto sui binari della metro, quest’uomo sta per morire”, sotto a caratteri cubitali appare la parola “DOOMED” (“Spacciato”).

La prima reazione del pubblico è stata quella di condannare il reporter che, invece di soccorrere Han, scatta la foto incriminata. In realtà nessuno interviene, molti cercano di segnalare la situazione al conducente che riesce solo a diminuire la velocità del mezzo che travolge inevitabilmente l’uomo ferendolo a morte.

I lettori adesso si interrogano sul perché il giornale ha pubblicato le foto. Abbasi rilascia alcune dichiarazioni alla stampa: "Ho iniziato a correre e correre, sperando che il conducente potesse vedere il mio flash. In quel momento volevo solo avvisare l’autista del treno e cercare di salvare la vita dell’uomo”. La CNN dichiara che il reporter è disposto a rilasciare interviste solo a pagamento, la cosa non ha fatto altro che incrementare i sospetti sulla buona fede di Abbasi.

I media negli ultimi anni ci hanno abituato alla pubblicazione di video cruenti spesso sbattuti in prima pagina senza la minima esitazione e senza interrogarsi sulla reale utilità di diffondere determinate immagini. La scelta del New York Post ha riaperto una ferita del giornalismo internazionale, legato, necessariamente, più a questioni economiche che etiche. L’economia dei giornali, da sempre, ragiona in termini di diffusione, quindi di quantità, e non di qualità. Spesso il numero di copie vendute, per la carta stampata, o di visualizzazioni, per i siti internet, aumentano in modo proporzionale rispetto alla scabrosità dei contenuti pubblicati.

La normativa vigente in Italia è divisa in più parti e comunque lascia ampio spazio all’interpretazione, cosa che da un lato serve ad impedire la censura ma dall’altro può giustificare pubblicazioni di violenza gratuita. L’art 528 del codice penale “Pubblicazioni e spettacoli osceni” recita: “Chiunque, allo scopo di farne commercio o distribuzione ovvero di esporli pubblicamente, fabbrica, introduce nel territorio dello Stato, acquista, detiene, esporta, ovvero mette in circolazione scritti, disegni, immagini od altri oggetti osceni di qualsiasi specie, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 103. Alla stessa pena soggiace chi fa commercio, anche se clandestino, degli oggetti indicati nella disposizione precedente, ovvero li distribuisce o espone pubblicamente”.

In realtà l’articolo è pubblicato nel capo “Delle offese al pudore e all’onore sessuale” anche se spesso viene richiamato anche per altri settori in riferimento all’articolo 529 che offre la definizione di atti e oggetti osceni (Agli effetti della legge penale, si considerano osceni gli atti e gli oggetti che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore). Inoltre la legge 355/1975 scagiona “i titolari e gli addetti a rivendita di giornali e di riviste per il solo fatto di detenere, rivendere, o esporre, nell’esercizio normale della loro attività, pubblicazioni ricevute dagli editori e distributori autorizzati ai sensi delle vigenti disposizioni”. I riferimenti al comune sentimento della morale e all’ordine familiari sono poi stati sostituiti con il parametro della dignità della persona dall’art. 30 L. n. 223/1990.

Un riferimento più esplicito è dato dalla “Carta dei doveri del giornalista”, documento Cnog-Fnsi del 1993 il quale prevede che il giornalista “non deve inoltre pubblicare immagini o fotografie particolarmente raccapriccianti di soggetti coinvolti in fatti di cronaca, o comunque lesive della dignità della persona; né deve soffermarsi sui dettagli di violenza o di brutalità, a meno che non prevalgano preminenti motivi di interesse sociale”.

La questione resta aperta, probabilmente, senza alcuna soluzione reale che non passi per il buon senso degli editori o dei direttori dei mezzi di informazione e comunicazione. 

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