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Dal film "La Belva", intervista a Wael Habib: una vita in marcia tra cinema e teatro

Wael Habib è un attore e regista di origini egiziane che si è trasferito in Italia undici anni fa. Dopo aver studiato teatro al Cairo, ha continuato la sua formazione artistica a Venezia per poi cercare nuovi stimoli a Napoli, dove vive da circa 3 anni. Lo scorso anno ha fatto parte del cast del film “La Belva”, seconda opera per il grande schermo del ventottenne regista romano, Ludovico Di Martino. L’uscita nelle sale, prevista per fine ottobre, è saltata a causa lockdown, per questo la produzione ha deciso di spostare il lancio sulla piattaforma Netflix, dove il film è visibile da oggi.

Wael interpreta uno dei personaggi che il protagonista, Fabrizio Gifuni, incontra sul suo percorso in alcune scene. Le stesse scene sono state selezionate anche per il videoclip del rapper Mostro, che ha firmato la canzone della colonna sonora e che porta lo stesso titolo del film.

Stranieriincampania ha incontrato Wael in occasione dell’uscita di “La Belva” per farsi raccontare come è stata questa esperienza nel cinema.

Benvenuto Wael, raccontaci di cosa parla “La Belva” e qual è il tuo ruolo?
Il film racconta la storia di un veterano dell’esercito italiano che ha partecipato a diverse guerre restando inevitabilmente segnato. Quando la figlia sparisce dovrà fare i conti con il suo passato per provare a riportarla a casa. Il mio ruolo è di un capo di fedayn di un paese arabo che ha avuto a che fare proprio con questo passato. Devo dire che faccio solo un paio di scene nel film, anche se è una parte importante nella trama perché racconta il passato del protagonista. Nonostante questo, poi ho scoperto che proprio quella parte è stata scelta per il videoclip della canzone di Mostro che fa parte della colonna sonora del film.

Come è nata la tua passione per questo mestiere?
Gli ultimi due anni del college ho iniziato a collaborare con il teatro e ho scoperto delle cose che non conoscevo di me, in quel momento ho capito. Ho iniziato a recitare già quando ero in Egitto, prima ho studiato ragioneria e poi mi sono laureato in Recitazione e Regia all’Accademia dell’Arte e del Teatro del Cairo. Quando sono arrivato in Italia, nel 2009, per 5 anni ho dovuto abbandonare questa passione perché non c’erano le possibilità di poterla coltivare. Ad un certo punto ho dovuto riprendere perché ho capito che è il lavoro che amo e stare senza recitare mi faceva sentire morto.

Quindi cosa hai fatto?
Ho ricominciato con un mio spettacolo a Venezia, dove ho vissuto per 8 anni, nel quale facevo sia l’attore che il regista. Grazie a questo spettacolo sono riuscito a farmi conoscere nell’ambiente e dopo poco sono stato contattato da un regista importante che mi offrì un ruolo di protagonista. In quel momento decisi di rimettermi a studiare recitazione e mi iscrissi all’accademia dell’Avogaria a Venezia. Appena finito ero alla ricerca di maggiori possibilità e decisi di trasferirmi a Napoli dove risposi all’annuncio di Armando Punzo, un grande regista conosciuto in tutto il mondo, famoso anche per il grande lavoro fatto nel carcere di Volterra. Fui selezionato per un workshop con la sua compagnia, “La Fortezza” e alla fine mi propose di fare due ruoli nel suo spettacolo “Dopo la tempesta”, che fu presentato a Siena. E dopo un anno mi prese anche per un secondo spettacolo. A Napoli ho lavorato con tanti registi, come Linda Dalisi, Gigi De Luca e Riccardo Pisani, ho partecipato a diversi festival e poi sono riuscito a fare due spettacoli miei: uno con i minori, in collaborazione con la cooperativa Dedalus, che si chiama “Sogno, uscire dal labirinto” e poi un altro spettacolo che si chiama “Una storia infinita” che quest’anno è stato selezionato tra i tre finalisti per il festival Ethnos. In entrambi ho curato drammaturgia, scenografia e regia”.

Dove prendi l’ispirazione per i tuoi spettacoli?
I miei due spettacoli parlano di repressione umana, questo è il tema su cui mi piace lavorare. In entrambi io svelo dei quadri, nel senso che faccio uscire delle storie da dei quadri, che siano artisti famosi o opere di amici, da lì nasce tutto. L’idea nasce da un quadro, su quello inizio a costruire la storia, finché non è la stessa storia a ricostruire il quadro all’interno dello spettacolo. Ispirandomi al teatro sperimentale faccio molto uso del corpo e di alcuni materiali, fino adesso ho sempre utilizzato un tessuto lungo venti metri, e con il tessuto e il corpo costruisco dei quadri viventi che parlano senza usare la lingua, solo alla fine c’è una poesia recitata che restituisce il senso di tutto quello che si vede.

Hai avuto altre esperienze nel cinema?
Ho fatto anche un altro film che è uscito tra i due lockdown “Rosa Pietra Stella” di Marcello Sannino, in cui facevo un piccolo ruolo ma importante, l’imam della moschea di Napoli, un personaggio culturalmente chiuso. In quell’esperienza ho lavorato con attori molto bravi come Ivana Lotito, che molti conoscono per il ruolo della compagna di Genny Savastano in Gomorra. Nel 2015 ho fatto anche un mediometraggio sulla storia di Salomè.

Preferisci il cinema o il teatro?
Devo dire la verità: il mediometraggio mi ha fatto odiare il cinema. Cioè, davanti alla camera mi sentivo un oggetto, non libero di esprimermi, ma poi con queste ultime due esperienze l’ho rivalutato e adesso amo il cinema. Detto questo, il teatro occupa la maggior parte del mio cuore e fa parte della mia esistenza e rimarrà sempre l’amore più grande.

Il cinema e il teatro non sono i tuoi unici interessi, puoi parlarci delle “Recalling Peace” che hai organizzato?
Sì, ho fatto due marce per la pace, dove sono riuscito ad attraversare tre continenti. La prima, a gennaio 2016, l’ho organizzata partendo dalle piramidi e arrivando fino a Sharm el Sheik, attraverso il deserto, partendo dal Sinai del Nord fino al Sud. Invece la seconda l’ho iniziata a Pozzallo in Sicilia, ho attraversato tutta la Calabria, la Basilicata, la Campania, fino in Toscana poi mi sono dovuto fermare proprio per lo spettacolo di Armando Punzo. Il programma era di attraversare tutta l’Italia, arrivare in Francia e in Spagna, ma quando, dopo alcuni mesi, ho provato a ricominciare a camminare, ho capito che avevo perso il ritmo. Per fare queste cose serve proprio uno stato mentale particolare perché rappresenta un viaggio interiore.

Cosa ti ha spinto a farlo?
Di questa cosa posso parlare per ore, non so da dove cominciare: è un percorso spirituale, fatto di energia, di rapporto con la terra. Sono partito con l’idea di cercare la pace, ma durante il primo cammino ho scoperto che siamo troppo lontani dalla nostra natura umana e quando ti riavvicini alcune cose dentro di te escono da sole, cose bellissime. Capisci cosa significa la pace, cosa significa l’amore, ho scoperto che io cercavo la pace in maniera violenta. Il secondo cammino, infatti, l’ho iniziato perché avevo bisogno di un viaggio spirituale, camminare e meditare. Siamo nati per camminare, e camminare è una forma di meditazione forte e importante. Durante questi viaggi mi sono successe tantissime cose e non tutte si possono spiegare, ma ho capito che abbiamo delle potenzialità che non conosciamo.

C’è un episodio particolare che ricordi?
Ne sono successe tante, ma la prima, quella che proprio ha aperto gli occhi, è successa in Egitto. Appena entrato nel Sinai, sono dovuto tornare indietro al Cairo perché la mia ex dell’epoca, una violinista spagnola molto conosciuta, decise di voler camminare con me e mio padre. Prima di iniziare la portai a visitare un museo in una città vicina.
Da sempre, quando entro nei Musei non mi interessa leggere le etichette, ma godere della bellezza delle cose. In quell’occasione sentivo il peso della storia di ogni cosa che vedevo e mi sentivo trasportato da una scultura all’altra nella storia millenaria che raccontavano. Rimasi fermo di fronte agli occhi di una scultura e mi sentivo trascinato, finché non ho sentito come una puntura nella parte bassa della schiena e la giacca che si tirava. Mi sono girato di scatto pensando di trovare la mia ragazza e invece lei era a due metri. Da quel momento mi capita di avvertire una fitta al petto ed è come se provassi tutti insieme i sentimenti che provano gli esseri umani: rabbia, paura, amore odio, felicità. Come un’angoscia, ma bella. Questo episodio mi ha cambiato la vita.

Come ti è venuta l’idea di queste marce?
L’idea mi è venuta guardando il film “Into the wild” in cui il protagonista lascia tutto per camminare nella natura. Negli anni mi è rimasta latente l’idea di fare qualcosa del genere, finché un giorno non decido di lasciare il mio lavoro, all’epoca facevo il cameriere di sala, e di andare avanti solo con il teatro. Così ho avuto un po’ di tempo libero e ho deciso di fare questa cosa in Egitto. Ovviamente, all’inizio tutti mi hanno preso per pazzo, ma quando mi metto in testa una cosa la faccio, ed è stata l’esperienza più forte e più bella della mia vita. Alla fine sono riuscito anche a convincere mio padre, che ha più di sessant’anni, a venire con me e di fare tutto il tragitto dall’inizio alla fine.

Invece sappiamo che adesso sei impegnato con la Croce Rossa?
Negli ultimi tre anni ho iniziato a lavorare, tra Napoli e Roma, nel terzo settore come mediatore culturale e operatore sociale, collaborando con associazioni come Cidis Onlus, Dedalus e ASGI. Da un po’ di tempo avevo mandato anche il curriculum alla Croce Rossa, pochi giorni fa mi hanno chiamato per un colloquio e mi hanno proposto un ruolo da mediatore in Sicilia per la prima accoglienza. Dovrei occuparmi dei nuovi arrivi sia in nave che in porto, almeno fino a gennaio.

Prossimi lavori in programma?
In questo periodo, di collaborazioni con altri registi, ovviamente, non se ne parla anche perché il teatro è completamente fermo a causa del lockdown. Invece, io sto continuando a lavorare su due progetti che ho in mente. Il primo è il sogno della mia vita, sto lavorando sul testo già da un po di tempo. E’ tratto da un romanzo di un grande autore egiziano, Nagib Mahfuz, premio nobel per la letteratura nel 1988. Il libro si chiama “Il rione dei ragazzi” che nella mia trasposizione teatrale si chiamerà “I ragazzi del vicolo”. L’altro spettacolo è tratto da un altro autore egiziano, Tawfiq Ismail al-Hakim, su un testo che sto traducendo io, che ha per protagonista il diavolo, un filosofo e la moglie. Un discorso sul male e sugli uomini.

 

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