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Uomini che odiano le donne

“Litiga con la moglie e la uccide”. E’ successo alle porte di Milano ieri, lunedì uno luglio. La vittima era di origini albanese, il marito o “proprietario” che dir si voglia, l’ha precipitata dal nono piano della loro abitazione ed ha poi simulato il suicidio. Stavolta però la simulazione è stata immediatamente accertata.

Perché c’è anche questo, ovvero esistono gli omicidi ammantati da suicidio, che rendono oltremodo difficoltosa in Italia la formulazione statistica del femminicidio. Siamo fermi alla donna uccisa ogni due giorni del 2012; l’andamento statistico di questo primo semestre del 2013 è perfettamente in linea con quello dell’anno precedente. Ma la storia del femminicidio nel nostro Paese non ha dati numerici certi e accertati, per esempio non sono classificati come femminicidi quei delitti dove le donne sono parte di una “compilation” omicidiaria, laddove il carnefice uccide la moglie, la suocera, i figli, la nonna, il cane e il vicino di casa.

Si può dire che questo genere di delitto ha assunto “dignità di genere” a partire dal 2007, allorché su Raitre andarono in onda, in fascia notturna, le prime puntate di “Amore criminale”, un programma condotto da Camila Raznovich e successivamente ripreso da Luisa Ranieri e recentemente da Barbara De Rossi. Sin da subito furono raccontate storie di uccisioni di donne dove la modalità più lieve era l’appioppamento di cento coltellate. La modalità più lieve dunque, perché si spaziava dallo strangolamento con occultamento del corpo, sino all’essere bruciate vive.

Drammatica fu la storia di una donna siciliana che, seppure arsa viva e con le carni avvolte dal fuoco, uscì per strada per sincerarsi delle condizioni del figlioletto. Che dire di una donna della provincia di Roma accoltellata perché aveva cucinato la verza, o delle tante che avevano deciso di troncare una relazione impossibile. Se mai l’amore possa avere un volto criminale, quella serie televisiva l’ha svelato in tutte le sue sfaccettature, ma anche nell’unico movente “plausibile”, cioè la solitudine, la bramosia di possesso, la frustrazione estrema.

Sino a qualche anno addietro, il femminicidio era riconducibile all’esistenza di relazioni parallele, laddove una delle due donne era di troppo e quindi una delle due doveva uscire di scena per forza… o per “amore” con modalità criminali. Ed è sempre quel programma, “Amore criminale” prodotto inizialmente per la Rai da “Ruvido TV” ad aver rivelato all’opinione pubblica il dato sconfortante tra delitto e castigo previsto in caso di uccisione di donne per motivi riconducibili, diciamo così, alla sfera sentimentale.

Qualche annetto di carcere, condizionale garantita anche alla più feroce delle bestie omicide, un periodo di semilibertà e poi via, fuori dal carcere. Incongruenze, disparità di trattamenti, o forse inadeguatezza del sistema giudiziario italiano, il femminicidio è destinato a rimanere a totale carico delle vittime, delle donne che lo subiscono; se sono fatte a pezzi, bruciate, scaraventate dal balcone, poco importa; poco importa pure se avevano da crescere dei figli, figuriamoci se la scintilla della furia omicida che le ha travolte fosse correlata a un puro, semplice, innocente anelito di libertà…

Questo accade in Italia. Certo è che non si placa il furore di uomini che odiano così tanto le donne da sbarazzarsene, senza ricevere poi una pena adeguata per il crimine commesso. Un fenomeno questo che va sviscerato e analizzato con la lente d’ingrandimento. Dunque non esistono statistiche certe, non ci sono indagini affrontate in modo adeguato che tutelino le donne e che spesso le fanno sentire ancora più sole e abbandonate.

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