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Una morte dignitosa anche per i bambini

In Olan­da si di­scu­te la pos­si­bi­li­tà di eu­ta­na­sia an­che per i bam­bi­ni, nei casi in cui sia­no af­fet­ti da pa­to­lo­gie ter­mi­na­li o mal­for­ma­zio­ni che por­te­reb­be­ro alla mor­te. Lo pro­po­ne l’as­so­cia­zio­ne dei me­di­ci, in un pae­se dove l’eu­ta­na­sia è le­ga­le fin dal 2002. Spes­so in­fat­ti i neo­na­ti gra­ve­men­te ma­la­ti e de­sti­na­ti a mo­ri­re han­no una lun­ga ago­nia e se­con­do i me­di­ci que­sta so­lu­zio­ne vie­ne in­con­tro an­che alle esi­gen­ze dei ge­ni­to­ri.

In­tan­to in Bel­gio il Se­na­to sta per esten­de­re la leg­ge sul fi­ne-vi­ta an­che ai mi­no­ri di di­ciot­to anni. La pro­po­sta è sta­ta pre­sen­ta­ta a fine 2012 da due se­na­to­ri li­be­ra­li e due so­cia­li­sti e vede un lar­go con­sen­so in aula, tran­ne quel­lo dei cri­stia­no-de­mo­cra­ti­ci fiam­min­ghi (CD&V) e dei cen­tri­sti cri­stia­ni fran­co­fo­ni (CDH). I ra­gaz­zi tra i 16 e 18 anni ri­te­nu­ti do­ta­ti di “ca­pa­ci­tà di di­scer­ni­men­to” po­tran­no ri­chie­de­re l’eu­ta­na­sia, con il pa­re­re non vin­co­lan­te dei ge­ni­to­ri; men­tre per quel­li sot­to i 16 anni ser­vi­rà l’au­to­riz­za­zio­ne dei ge­ni­to­ri. In Bel­gio, con una leg­ge ap­pro­va­ta nel 2012 dai cri­te­ri mol­to ri­gi­di, si sono avu­te l’an­no scor­so 1432 ri­chie­ste, un 25% in più ri­spet­to al­l’an­no pri­ma. Le mor­ti tra­mi­te eu­ta­na­sia re­go­la­ta sono cre­sciu­te di anno in anno dal­l’en­tra­ta in vi­go­re del­la leg­ge e rap­pre­sen­ta­no meno del 2% del to­ta­le dei de­ces­si.

Tra le rea­zio­ni con­tra­rie in Ita­lia, mol­te sono quel­le al­lar­ma­te, so­prat­tut­to da par­te cat­to­li­ca. Sul Cor­rie­re la scrit­tri­ce Isa­bel­la Bos­si Fer­di­got­ti ha pa­ra­go­na­to l’eu­ta­na­sia ai bam­bi­ni alla sop­pres­sio­ne dei “vec­chi cani am­ma­la­ti”, so­ste­nen­do che “se sa­pes­se­ro, se ca­pis­se­ro, pro­ba­bil­men­te le po­ve­re be­stie con­cen­tre­reb­be­ro le loro po­che for­ze ri­ma­nen­ti per al­zar­si sul­le zam­pe” per im­pe­dir­lo. “L’eu­ta­na­sia è sem­pre la ne­ga­zio­ne del­la spe­ran­za”, ag­giun­ge, con­den­do il re­sto del suo ar­ti­co­lo con una se­rie di con­si­de­ra­zio­ni tra il li­ri­co, il col­pe­vo­liz­zan­te e il pa­te­ti­co, un ar­ma­men­ta­rio clas­si­co in que­sto di­bat­ti­to. Cer­te ri­fles­sio­ni in real­tà par­to­no dal­le pro­prie idee e dal vis­su­to per­so­na­le, che si pre­ten­de di esten­de­re a tut­ti. Sia­mo pro­prio si­cu­ri che i ge­ni­to­ri “pos­sa­no in qual­che modo es­se­re in­qui­na­ti dal­l’e­goi­smo” o che l’in­te­res­sa­to vo­glia solo “to­glier­si di mez­zo”? Op­pu­re che un bam­bi­no mal­for­ma­to con­dan­na­to a mo­ri­re (come av­ve­nu­to a quel­lo anan­ce­fa­li­co di Bea­triz, so­prav­vis­su­to solo cin­que ore dal­la na­sci­ta), “ine­vi­ta­bil­men­te sug­ge­ri­sce im­ma­gi­ni di mer­ce usci­ta dal­la fab­bri­ca con un di­fet­to di co­stru­zio­ne che il ne­go­zian­te si af­fret­ta a to­glie­re da­gli scaf­fa­li per av­viar­la alla di­sca­ri­ca”?

Eli­sa­bet­ta Am­bro­si sul suo blog di Va­ni­ty Fair cri­ti­ca l’ar­ti­co­lo di Bos­si Fer­di­got­ti, “sba­glia­to, pie­no di luo­ghi co­mu­ni, pro­fon­da­men­te ir­ri­tan­te”, an­che per­ché de­scri­ve i pa­dro­ni di ani­ma­li come “per­so­ne ci­ni­che e sen­za scru­po­li”, sen­za con­si­de­ra­re i sen­ti­men­ti che han­no per loro, “e i me­di­ci bel­gi e olan­de­si come fi­gu­re che lo fa­reb­be­ro fret­to­lo­sa­men­te per non to­glie­re spa­zio ai sani e non di­stur­bar­li con im­ma­gi­ni di ma­lat­tia”. Am­bro­si si chie­de per­ché i ge­ni­to­ri ven­ga­no “col­pe­vo­liz­za­ti solo per­ché pren­do­no atto con emo­zio­ni la­ce­ran­ti e scon­vol­gen­ti che non ci sarà più né un mi­ra­co­lo, né un pro­gres­so del­la me­di­ci­na”.

Il tema spi­no­so e pro­fon­do del­le sof­fe­ren­ze dei ge­ni­to­ri e del coin­vol­gi­men­to dei me­di­ci “vie­ne can­cel­la­to in un am­mas­so di bie­co mo­ra­li­smo che alla fine, come sem­pre, ren­de im­pos­si­bi­le una di­scus­sio­ne vera. Di eu­ta­na­sia pe­dia­tri­ca, in­ve­ce, bi­so­gne­reb­be par­la­re, ec­co­me”. Ma an­che di eu­ta­na­sia in ge­ne­ra­le, che “nel no­stro di­bat­ti­to pub­bli­co con­ti­nua ad es­se­re ipo­cri­ta­men­te as­sen­te”, in un pae­se dove le fa­mi­glie sono la­scia­te sole (o ad ar­ran­giar­si, ma­ga­ri chie­den­do un pie­to­so fa­vo­re a me­di­ci di co­no­scen­za). Mol­ti pre­fe­ri­sco­no igno­ra­re il tema, o im­mer­ger­lo di pie­ti­smo, ma­ga­ri bol­lan­do di man­can­za di uma­ni­tà chi è per una scel­ta re­spon­sa­bi­le . Ma “l’o­mer­tà ita­lia­na sul tema è un male evi­ta­bi­le ag­giun­to ad un male ine­vi­ta­bi­le”, con­clu­de.

Vi­ste da quag­giù, le di­scus­sio­ni che su que­sto tema han­no luo­go nel­l’Eu­ro­pa del Nord sem­bra­no qua­si fan­ta­scien­za. In Ita­lia non ab­bia­mo an­co­ra il te­sta­men­to bio­lo­gi­co, e per chie­de­re che il par­la­men­to di­scu­ta del­l’eu­ta­na­sia le­ga­le si è do­vu­ta av­via­re una rac­col­ta fir­me di ini­zia­ti­va po­po­la­re. Fi­gu­ria­mo­ci af­fron­ta­re una que­stio­ne su un tema de­li­ca­tis­si­mo qua­le l’eu­ta­na­sia pe­dia­tri­ca. Ma è im­por­tan­te che se ne par­li. Se ne par­la in pae­si più ci­vi­li del no­stro, è giu­sto che se ne par­li an­che qui. Pos­si­bil­men­te sen­za iste­ri­smi e ana­te­mi, sen­za ac­cu­se di es­se­re as­sas­si­ni e ave­re le mani spor­che di san­gue, o di es­se­re de­gli in­sen­si­bi­li egoi­sti che non vo­glio­no sco­mo­di­tà, o dei su­per­fi­cia­li che vo­glio­no un “pro­dot­to per­fet­to”, ma­ga­ri.

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