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Una intensa fine di febbraio per Musikàmera

Tre concerti a distanza ravvicinata, all’insegna del tutto esaurito

 

Martin Owen, musicista inglese, considerato uno dei principali cornisti d’Europa; Francesca Dego, una delle più acclamate violiniste sulla scena internazionale (suona un prezioso strumento Francesco Ruggeri, Cremona 1697) ; Alessandro Taverna, pianista e direttore artistico del Festival Internazionale di musica di Portogruaro (VE) ; sono stati gli interpreti di un apprezzato programma di musiche del XIX° e XX° secolo.

La doppia serata si è aperta con la Sonata per pianoforte e violino n.1 in La minore, op.105 (1851), di Robert Schumann (1810 – 1856), in tre movimenti – Mit leidenschaftlichen Ausdruck (con espressione appassionata) ; Allegretto ; Lebhaft (vivace) -.

Come sottolinea Giorgio Graziosi, nella Sonata il dissidio che spesso travaglia lo stile compositivo schumanniano si risolve a tutto tondo, senza residui di sorta. Il primo movimento è tutto stretto attorno a un unico pensiero. L’Allegretto procede per sezioni melodiche precise di 8 e 16 battute ed è un esempio di amorevole e amorosa concordia dialogante di due strumenti. Nel Lebhaft c’è una continua contrapposizione tra piccoli blocchi con pedale armonico al pianoforte e altri, invece, estremamente modulati, con mobile ed espressivo cammino del basso.

Si rimane conquistati dal suono squillante del violino e dal felice affiatamento tra i musicisti.

E’ il momento dell’ingresso del corno francese, deputato ad eseguire, assieme agli altri strumenti, il Trio per violino, corno e pianoforte (1982) di Gyorgy Ligeti (1923 – 2006).

In quattro movimenti – Andantino con tenerezza ; Vivacissimo molto ritmico ; Alla marcia ; Lamento. Adagio – la composizione esplora l’uso delle armonie maggiori e minori ; la giusta intonazione naturale delle parziali superiori disponibili sul corno ; nel secondo movimento, i ritmi bulgari asimmetrici ; nel quarto, il motivo del lamento ; il finale è un esempio di Passacaglia che utilizza come basso un tema simile a quello del movimento di apertura.

Spesso proposto in concerto come brano a sé stante, Martin Owen ha eseguito un singolare multiespressivo pezzo per corno solo, Appel interstellaire, scritto da Oliver Messiaen (1908 – 1992), per rendere omaggio a un ex allievo morto prematuramente.

Molte pause tra un fraseggio e l’altro e varietà timbriche nel suono, perché il solista inserisce la mano o una sordina nella campana dello strumento. Faticoso, ma assai gradevole.

In conclusione, il pezzo più lungo, quasi mezz’ora, il Trio in Mi bemolle maggiore per violino, corno e pianoforte, op. 40 (1865) di Johannes Brahms (1833 – 1897), che si sviluppa in quattro movimenti – Andante ; Scherzo. Allegro. Trio ; Adagio mesto ; Finale. Allegro con brio - .

L’idea originaria del trio sarebbe nata nell’estate del 1864, in occasione di un’escursione. Il completamento avvenne nella primavera seguente, dopo la morte dell madre del compositore.

Così lo commenta Clara Schumann : Il primo tempo trabocca di insinuanti melodie, l’ultimo, di vitale freschezza. L’Adagio è splendido, però arduo da capire al primo ascolto.

Applausi ripetuti hanno sortito un breve bis, il terzo pezzo fantastico di Schumann.

Doppia esibizione anche per il meraviglioso Kuss Quartet, la cui caratteristica distintiva è la creazione di ambiziosi programmi concettuali che propongono esperienze uniche rivolte sia ad ascoltatori esperti, sia a neofiti. In evidenza, il fatto che Kuss è stato il primo Quartetto tedesco a cui è stato affidato il leggendario “Quartetto Paganini” di Antonio Stradivari da parte della Nippon Music Foundation per l’esecuzione, nel mese di giugno del 2019, del ciclo completo dei quartetti di Beethoven nella Suntory Hall di Tokyo.

Anche se gli strumenti mitici sono stati utilizzati soltanto in quell’occasione, l’ensemble utilizza strumenti antichi, dal suono altrettanto incantevole, come quello del violino di Jan Kuss, costruito nello stesso anno in cui nacque Mozart.

E proprio con il Quartetto n.18 in La maggiore K464 (10 gennaio 1785) di W.A.Mozart (1756 – 1791), è iniziato il Recital. Si tratta del quinto dei sei quartetti dedicati a Franz Joseph Haydn (1732 – 1809), il primo grande maestro del classicismo viennese.

La maggiore significa per Mozart stile lirico e grazioso. Invece in questo quartetto, in quattro movimenti – Allegro ; Minuetto e trio ; Andante ; Allegro – il La maggiore, spesso radioso, subisce un processo di straniamento e viene nello stesso tempo assolutizzato, come tenesse il posto di un’altra tonalità, impossibile a definirsi.

I musicisti hanno poi eseguito due brevi brani, A Nagging Wife e Peasants Dance (1988), due miniature per quartetto d’archi su temi popolari di tradizione orale della Georgia, composte da uno dei più brillanti e prolifici compositori georgiani, Sulkhan Tsintsadze (1925 – 1991).

La prima parte si è conclusa con due miniature per quartetto d’archi, Clouds e Festive Song, di Padre Komitas (1869 1935), al secolo Soghomon Gevorki Soghomonian, religioso, compositore, musicista e musicologo, considerato il padre della moderna musica armena. Komitas passò mesi tra i pastori del Caucaso, ascoltando e trascrivendo antichi canti tradizionali, tramandati fino ad allora solo oralmente e poi, grazie a lui, ripresi e armonizzati in vari modi e per vari organici.

Un breve pausa prima di ricominciare per proporre ancora tre compositori.

Si parte con una commissione del Kuss Quaretet a Birke Bertelsmeier (1981), una compositrice tedesca che ha studiato pianoforte, musicologia e composizione. Il risultato è il breve Krise (2021), nemmeno tre minuti di durata, il quale fa parte di un CD con lo stesso titolo, che affronta musicalmente il tema della crisi, intesa, secondo le parole della compositrice nel senso di un’intensificazione e di una progressiva restrizione della consapevolezza, in cui anche i momenti positivi e felici vengono ridisegnati all’interno del vortice turbulento e devono, al meglio, essere affrontati il più rapidamente possibile.

Non raggiunge i sette minuti Concertino (1920) di Igor Stravinskij (1882 – 1971), che riserva molto spazio al primo violino. In un solo movimento è, secondo l’autore, realizzato in forma libera di allegro di sonata.

Conclusione affidata al Quartetto n.3 BB 93, SZ 85 (1927) di Béla Bartok (1881 – 1945), così indicato, quanto allo svolgimento : Prima parte : Moderato – Seconda parte : Allegro – Ricapitolazione della prima parte : Moderato – Coda : Allegro molto,

Secondo Fabrizio Scipioni, il terzo dei sei quartetti composti è una sorta di campionario delle tecniche compositive in uso nel primo Novecento, che Bartok usa a suo modo giungendo ad un linguaggio completamente nuovo, che mescola tonalità e atonalità, novità e tradizione, contrappunto severo e polifonia lineare, melodia lirica e brutali accordi basati solo sul timbro.

Insomma, un linguaggio a volte forte, a volte aspro, con violenti accordi dissonanti nel finale “Allegro molto”.

Applausi interminabili, meritatissimi, hanno fatto più volte rientrare in pedana il Quartetto, che si è congedato dal pubblico con una brevissima, ma colorata, “Marcia” di Mozart.

Due giorni dopo, in un’unica serata, un ensemble beniamino del pubblico locale, il Quartetto di Fiati del Teatro La Fenice – Marco Gironi, oboe; Vincenzo Paci, clarinetto; Marco Giani, fagotto; Loris Antiga, corno – assieme al pianista Massimiliano Ferrati, ha esguito un programma di tre composizioni che si assomigliano moltissimo, prendendo a modello Mozart. E’ stato proposto dagli stessi musicisti, che intendono inciderlo tra poco tempo.

Il Quintetto d’esordio – per pianoforte e fiati in Mi bemolle maggiore K452 (30 marzo 1784) di Mozart, in tre movimenti, era ritenuto dall’autore, per lo meno all’epoca della sua realizzazione, quanto di meglio avesse mai scritto.

Pur dedicandosi ad affermarsi come virtuoso di pianoforte, Mozart non fa prevaricare la tastiera sugli altri strumenti, instaurando un dialogo disteso e limpido. Da sottolineare, un sapiente impiego dei fiati, strettamente collegato alla melodia, ed è come se il timbro dei fiati avesse qui determinato la melodia.

A seguire il Quintetto per pianoforte e fiati in Re minore op. 41 (1810), in tre movimenti – Larghetto. Allegro ; Andante sostenuto ; Allegretto – di Franz Danzi (1763 – 1826), compositore tedesco, che conobbe Mozart. Ha come modelli, probabilmente, gli analoghi quartetti del salisburghese e di Beethoven.

La composizione inizia con un’introdzione lenta, in cui il pianoforte ha un ruolo principale. La sezione Allegro del primo movimento scorre facilmente. Il movimento centrale è un affascinante Andante sostenuto. Il finale è un giocoso Allegretto, nel quale emerge un fraseggio infaticabile, inesausto, ornamentale del pianoforte.

Il Recital si è concluso con un’opera giovanile, ben riuscita, di Beethoven (1770 – 1827), il Quintetto per pianoforte e fiati in Mi bemolle maggiore op. 16 (1796 – 1798).

E’ un’opera fra le meno eseguite, che si ascrive fra le riuscite splendide della prima maniera beethoveniana. E’ il tentativo di replicare, a mo’ di ossequio, il Quintetto K452 di Mozart, che è nella stessa tonalità. In tre movimenti, ha una serenità senza nubi e una tenera cantabilità, che si sarebbero dissolte nella produzione successiva del genio di Bonn.

Applausi ed urlìi in sala hanno indotto i musicisti a riproporre l’ultimo movimento del Quintetto K452 di Mozart.

Si profila un ricco mese di marzo per Musikàmera, a partire dal doppio concerto il 5 e il 6 alle Apollinee dell’ensemble vocale Odhecaton, diretto da Paolo Da Col, con un programma intitolato Oltremontani in Italia, da Dufay a Willaert.

Foto Musikàmera/Facebook

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