Una gelata elettrica per Orban
La manifattura ungherese è affossata dalla crisi dell'auto, con la frenata dei piani di costruzione di gigafactory nel paese. Nel frattempo, Orban sta per lanciare un nuovo ciclo di spesa elettorale.
C’è un paese, nell’Unione europea, la cui manifattura soffre quanto e più di quelle tedesca e italiana: è l’Ungheria, che giorni addietro ha comunicato una variazione tendenziale negativa del 6,4 per cento a luglio, peggiore delle attese. L’economia ungherese si è contratta nel secondo trimestre di quest’anno, dopo una ripresa assai tiepida che ha fatto seguito a tre trimestri consecutivi di calo piuttosto marcato, dal terzo del 2022.
Il governo di Budapest imputa la propria debolezza economica a quella tedesca, dato l’importante interscambio tra i due paesi. La sofferenza manifatturiera ungherese è riconducibile soprattutto al settore auto e a quello delle batterie elettriche, convenzionalmente classificato in quello dell’elettronica. Nell’auto, l’Ungheria è notoriamente paese satellite dei costruttori tedeschi. Letteralmente il cortile di casa, per usare un’espressione ruvidamente efficace.
Rischio Germania e riflusso dalla Cina
Ora che Volkswagen ha rotto l’incantesimo, ipotizzando la chiusura di due impianti sul suolo tedesco per ridurre capacità produttiva, l’Ungheria potrebbe trovarsi sulla linea del fuoco di analoghe iniziative. I costi di produzione ungheresi restano molto competitivi rispetto a quelli tedeschi. Tuttavia, il pericolo potrebbe venire dalla più recente e perniciosa tendenza che si origina in Cina, dove le marche estere, in grande sofferenza su quel mercato, stanno orientandosi a riesportare parte della produzione verso il proprio paese di origine, di fatto cannibalizzando i propri impianti pur di proteggere capacità produttiva globale e redditività.
Sull’elettrico, l’Ungheria di Viktor Orban da anni cerca di assumere il ruolo di paese leader nell’attrazione di investimenti esteri: dal 2017, ne sono affluiti per un controvalore di oltre 20 miliardi di dollari, soprattutto nel campo delle batterie, per fare del paese un hub di levatura mondiale. Nel frattempo, però, il mercato delle auto elettriche ha subito una gelata, che si affianca a quella delle auto con motore termico, e sono iniziati i problemi.
Le aziende sud coreane che stanno realizzando gigafactory in Ungheria stanno rallentando i lavori, mentre al momento i cinesi di CATL, che stanno costruendo un impianto del valore di 8 miliardi di dollari nei pressi della città di Debrecen, in partnership con Mercedes e destinato a rifornire anche VW, Stellantis e BMW, annunciano che manterranno il cronoprogramma. L’impianto ha una capacità di 100 gigawattora, in grado di dare energia a oltre un milione di veicoli, sarà alimentato a rinnovabili e darà lavoro a 9.000 persone.
Dal versante della produzione di EV, i cinesi di BYD proseguono a loro volta con la realizzazione dell’impianto ungherese, che sarà il più grande in Europa per l’elettrico.
La frenata dell’elettrico danneggia l’economia ungherese, contribuendo a produrre deficit più elevati del previsto (circa 7 miliardi di euro nel primo semestre di quest’anno), che il governo cerca di contenere con una serie di tasse straordinarie soprattutto sul settore bancario, per riuscire a centrare l’obiettivo di un rapporto deficit-Pil 2024 al 4,5 per cento. Interessante la condizione imposta alle banche per avere uno sconto del 50 per cento sulla tassa sugli extraprofitti: aumentare lo stock di titoli di stato domestici con scadenza di almeno tre anni. Non si inventa davvero nulla, neppure il modo con cui le banche ribalteranno questi oneri sulla clientela, soprattutto sui richiedenti prestiti.
Nuovo ciclo di spesa elettorale
Nel paese sta per ricominciare il ciclo di spesa elettorale, in vista dell’appuntamento con le urne del 2026. Due anni fa, in simile situazione, Orban aprì i rubinetti della spesa pubblica con un rimborso alle famiglie pari all’equivalente di quasi due miliardi di euro subito prima delle elezioni, aumenti delle pensioni, esenzioni fiscali per gli under 25. A cui fece seguito una fiammata inflazionistica che costrinse la banca centrale a una stretta, sia pure obtorto collo, dato il legame (ora incrinato) tra il governatore e Orban. Quella stretta ha prodotto la recessione di cui ho scritto in apertura.
È verosimile, oltre che possibile, che l’Ungheria riesca a difendere i suoi piani di sviluppo elettrico, pur se rallentati. Dopo tutto, se riuscirà a mantenere strutture di costo competitive, potrà ancora rifornire il vicino tedesco e non solo, mentre i costruttori sopprimono o ritardano i piani di sviluppo di ulteriori gigafactory in giro per l’Europa (vero, ministro Urso?). Ma resta l’incognita del “riflusso” dalla Cina della produzione di auto occidentali. Ma il modello di crescita orbaniano, data anche la prossimità alla Germania in crisi, appare comunque fragile.
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