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Una Tangentopoli spagnola?

Da Barcellona, Steven Forti. 

In Spagna tira aria di Tangentopoli. Indagini, soffiate e arresti legati alla corruzione del sistema politico occupano le prime pagine di tutti i giornali. Non pochi libri sono stati pubblicati recentemente sull’argomento. Un paio di settimane fa sono usciti contemporaneamente “El fango. Cuarenta años de corrupción en España” dell’ex magistrato Baltasar Garzón e la traduzione de “La casta” di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo. È solo un caso?

Ed è un caso che la presentazione dell’edizione spagnola del libro di Stella e Rizzo, pubblicata da Capitán Swing, sia del numero due di Podemos Íñigo Errejón e del vicedirettore de “La Vanguardia” Enric Juliana, che da buon conoscitore dell’Italia, ha introdotto da tempo nella stampa iberica il termine Tangentopoli?

Le differenze tra l’Italia dei primi anni Novanta e la Spagna del 2014-2015 sono enormi sotto tutti i punti di vista: il contesto storico (la fine del mondo bipolare figlio della Guerra Fredda vs la Grande Crisi prodotta dall’arroganza neoliberista), quello politico (la Prima Repubblica italiana nata dalla Resistenza vs il bipolarismo imperfetto spagnolo frutto della transizione dal franchismo alla democrazia), quello giuridico (l’indipendenza o meno della magistratura rispetto al mondo politico), quello dell’opinione pubblica, ecc. Ma vi sono anche non poche analogie, a partire dalla crisi della politica e del sistema politico, innescata dalla crisi economica, con conseguenze dirette sulla società e sulle istituzioni.

Nei prossimi mesi ne capiremo qualcosa di più, anche perché gli appuntamenti elettorali sono molti e molto importanti: il 24 maggio si vota in tutti i comuni e in 13 regioni su 17; il 27 settembre, molto probabilmente, si vota in Catalogna; infine, a novembre ci saranno le politiche generali. E c’è aria di cambiamento. Ne abbiamo parlato in più d’una occasione in questo sito per spiegare e capire il fenomeno Podemos, che ha preso a prestito il termine “casta” proprio da Rizzo e da Stella. Ma non c’è solo Podemos. Ci sono molte realtà interessanti a livello locale, come Barcelona en Comú, Ahora Madrid e Zaragoza en Comú, che hanno ottime possibilità nelle prossime elezioni comunali delle tre grandi città spagnole. Ma ci sono anche altre novità come l’emergere di Ciudadanos, il partito di centro-destra nato in Catalogna nel 2006 che si cerca di vendere come una socialdemocrazia light ma che è, nell’azzeccata definizione di Antón Losada, un esperimento di “paleoliberismo”.

L’anno scorso Ciudadanos, guidato dal telegenico Albert Rivera, ha fatto il salto alla politica nazionale e nei sondaggi ottiene sempre maggiori consensi confermandosi come la quarta o addirittura la terza forza. Potrebbe essere la stampella per un PP (ma anche un PSOE) in caduta libera.

In Andalusia, dove si è votato il 22 marzo scorso, se ne si è già resi conto. Ciudadanos con poco più del 9% dei voti e con 9 deputati (quarto partito, non molto distante da Podemos) potrebbe favorire (o almeno non impedire) la formazione del governo di Susana Díaz. Nelle altre regioni della Spagna potrebbe fare lo stesso con il PP con cui la sintonia è ancora maggiore. Gli ultimi sondaggi lo confermano: la maggior parte dei voti del PP finiscono a Ciudadanos che si converte nell’elemento chiave per garantire la governabilità. Così nella regione di Madrid il PP perderebbe la metà dei voti passando dal 51,7 al 27,2% dei voti e Ciudadanos sarebbe il terzo partito con il 21,4%, permettendo così, per un solo seggio, la maggioranza alla destra. A sinistra il panorama è complesso con PSOE e Podemos tra il 20 e il 21% e Izquierda Unida al 5,5%. E la situazione è simile nella maggior parte delle regioni spagnole, con alcune differenze però di non secondaria importanza che peseranno sull’analisi dei risultati, come in Estremadura (dove il bipartitismo tiene di più, in modo simile all’Andalusia) e nei Paesi Baschi e in Catalogna (su cui torneremo). La volatilità del voto è molto alta, per quel che si è visto negli ultimi mesi, per cui potrebbe succedere di tutto da qui al 24 maggio e, ancora di più, a novembre, anche perché è un partita che si sta giocando sul filo del rasoio.

Torniamo però al PP. Negli ultimi quattro anni il partito di Rajoy ha goduto della maggioranza assoluta nelle Cortes spagnole e in molte regioni e comuni, Madrid e Valencia in primis. Dalla fine della dittatura la destra postfranchista non aveva mai avuto così tanto potere. Un potere che ora si sta sfaldando. I risultati in Andalusia e i recenti sondaggi lo dimostrano. Come nel 2008, quando Rajoy perse per la seconda volta le elezioni con Zapatero, si percepiscono di nuovo le tensioni interne ad un partito che in genere lava i propri panni sporchi in casa. Si parla di una frattura tra la vecchia generazione cresciuta con Aznar (rappresentata dai ministri Margallo, Soria, Mato, Cañete, ecc.), di cui lo stesso Rajoy fa parte, e la nuova generazione rappresentata dalla vicepresidentessa e portavoce del Governo Soraya Sáenz de Santamaría. Tanto che il governatore della Galizia e presidente del PP galiziano, Alberto Núñez Feijoo, ha affermato che non è da dare per scontato che il candidato del PP alle elezioni di novembre debba essere Rajoy. Insomma, se le elezioni del 24 maggio vanno molto male per i popolari, potrebbe scoppiare una guerra interna.

Anche perché gli scandali che hanno colpito il partito al governo sono molti. E la corruzione è uno dei problemi più sentiti dalla popolazione spagnola. Secondo un sondaggio elaborato nel 2013 da Eurostat, per il 95% degli spagnoli la corruzione è un problema molto esteso e per il 91% la corruzione è presente nelle istituzioni locali e regionali (la media UE è, rispettivamente, del 76 e del 77%). E in questi ultimi due anni le cose non sono migliorate, questo è certo. Non che la corruzione non fosse presente nella Spagna dei precedenti decenni democratici – si pensi agli scandali legati al PSOE dell’ultimo governo di Felipe González –, ma in questo ultimo triennio si è aggiunto un fattore che rende il cocktail davvero esplosivo: la crisi economica con tutte le sue drammatiche conseguenze. Lo spiega bene un recente documentario, “Corrupción. El Organismo nocivo”, prodotto da Pandora Box TV e finanziato via crowdfunding.

Si è cominciato nel 2009 con il caso Gürtel – tangenti nel PP di Madrid e Valencia – e si è continuato nel 2013 con il caso Bárcenas – dal nome dell’ex tesoriere del PP José Luis Bárcenas che ha svelato l’esistenza di una cassa B del partito con vari milioni all’estero –; casi ancora aperti e che, soprattutto nel caso Bárcenas, offrono ogni settimana qualche novità. Ma negli ultimi sei mesi c’è stata un’accelerazione spaventosa. Ad inizio ottobre 2014, Miguel Blesa, per oltre un decennio presidente di Caja Madrid, e Rodrigo Rato, ex presidente di Bankia (2010-2012), ex direttore del FMI (2004-2007) e ex ministro dell’Economia nel secondo governo Aznar (2000-2004), sono stati imputati per lo scandalo di Caja Madrid: tra il 2003 e il 2010 pare che 86 dirigenti della banca madrilena abbiano avuto a disposizione delle carte di credito opache con cui sono stati spesi oltre 15 milioni di euro. Vale la pena ricordare che Bankia, nata nel 2011 dalla fusione di sette casse di risparmio spagnole, la più importante delle quali era Caja Madrid, venne nazionalizzata nel maggio 2012 a causa di un buco di 23 miliardi di euro, che portò alla richiesta da parte dello stato spagnolo di un prestito di 100 miliardi di euro al BCE. Rato, figura chiave per comprendere l’aznarismo e il controllo ventennale del PP a Madrid, è nel centro del mirino: non c’è solo lo scandalo legato alle carte di credito opache di Caja Madrid e al caso Bankia. Lo scorso 16 aprile Rato è stato arrestato (ma poi rimesso in libertà) e la sua casa è stata perquisita: l’ex numero due del PP, che è una delle 705 persone che hanno goduto dell’amnistia fiscale decretata dal governo Rajoy nel 2012, è accusato di truffa, occultamento di beni e riciclaggio di capitali.

Ancora: a fine ottobre dello scorso anno, nell’ambito dell’operazione Punica – bustarelle per il valore di 250 milioni di euro nell’ultimo biennio in cambio di appalti –, è stato arrestato Francisco Granados, ex segretario generale del PP della regione di Madrid tra 2004 e 2011 e uomo di fiducia di Esperanza Aguirre, il presidente popolare della provincia di Leon, Marcos Martínez Barazón, e altri sindaci e assessori del PP della regione madrilena, ma anche alcuni esponenti del PSOE, come il sindaco della città di Parla. In queste ultime settimane, inoltre, altri importanti dirigenti dell’epoca dorata del PP, e in alcuni casi persone di fiducia di Aznar, sono state coinvolte in altri scandali di non secondaria importanza. Ángel Acebes, ex ministro degli Interni con Aznar (2002-2004) e ex segretario generale del PP (2004-2008), è stato imputato per appropriazione indebita nell’ambito del caso Bárcenas. Federico Trillo, presidente del Parlamento spagnolo nella prima legislatura Aznar e ministro della Difesa nella seconda, ed attualmente ambasciatore a Londra, è indagato per aver percepito tra il 2006 e il 2008, mentre era deputato, 355 mila euro per lavori di consulenza. Un caso che coinvolge anche il deputato popolare Vicente Martínez-Pujalte e che ha a che fare con una truffa legata al Grupo Collosa che si occupa dell’installazione di parchi eolici nella Castiglia e Leon. Altri casi di corruzione colpiscono il PP della Castiglia La Mancia. E a Valencia l’attuale presidente della provincia, presidente del PP valenzano e candidato alle prossime elezioni (pare non intenda dimettersi) Alfonso Rus è indagato per un altro scandalo di corruzione. Potremmo continuare a lungo, ma il discorso non cambierebbe.

I casi di corruzione però non coinvolgono solo il PP, ma tutto il sistema politico spagnolo: il PSOE con il caso degli ERE in Andalusia, il caso Pokemon in Galizia – dove sono coinvolti anche il PP e i nazionalisti del BNG – e il caso Mercurio nell’hinterland barcellonese; il sindacato socialista UGT con il caso Fernández Villa nelle Asturie; Convergència i Unió (CiU) con il caso Palau, il caso Pujol e il caso Crespo – che coinvolge anche il Partit dels Socialistes de Catalunya (PSC) nell’ambito di indagini sulla corruzione nella sanità catalana –; la stessa famiglia reale con il caso Nóos che vede imputato il genero dell’ex Re Juan Carlos I, Iñaki Urdangarín… Nemmeno IU si salva del tutto.

Se a tutto questo aggiungiamo che il tasso di disoccupazione è al 23,67% in tutto lo stato (in Andalusia supera il 30%) pari a 5 milioni e mezzo di persone, che quella giovanile è al 53,7%, che le famiglie con tutti i membri senza impiego sono poco meno di due milioni, che il salario minimo lordo mensile è di appena 648 euro, capiamo perché il cocktail può essere più che esplosivo. Il governo fa di tutto per dimostrare che la disoccupazione sta calando (ma che tipo di contratti sono stati stipulati?) e che l’economia è in ripresa (la Commissione Europea questa settimana ha stimato una crescita per la Spagna nel 2015 del 2,8%), ma più che un dato di fatto sembra una maniera per salvare il salvabile e non fare la fine di Samaras.
Il bipartitismo è in crisi, ma non è detto che crolli e che ci sia una situazione simile a quella vissuta in Italia nella prima metà degli anni Novanta. Per due ordini di ragioni, essenzialmente: la magistratura in Spagna non è indipendente (e dunque i casi di corruzione potrebbero bloccarsi, come è già successo in passato) e il sistema elettorale spagnolo favorisce enormemente i due grandi partiti (e dunque nel nuovo Parlamento non ci sarebbe il totum revolutum che annunciano i sondaggi). Per di più, come evidenziava Antoni Puigverd qualche giorno fa su “La Vanguardia”, potrebbe anche prodursi una “banalizzazione della corruzione”, tanti sono i casi. In Italia ne sappiamo qualcosa, no?

di Steven Forti
(ricercatore presso l’Instituto de Historia Contemporanea dell’Universidade Nova de Lisboa e presso il CEFID dell’Universitat Autònoma de Barcelona)

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