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Una Legge senza Diritto

Il decreto legge sulle intercettazioni passato ieri dal senato è paradigmatico del degrado della nostra democrazia sia per i suoi contenuti, sia per i modi della sua approvazione.

Una Legge senza Diritto

In un paese dove un terzo del territorio nazionale è controllato dalle mafie, la corruzione è divenuta endemica, l’economia è al collasso e la finanza pubblica sull’orlo del baratro, il Consiglio dei Ministri e il suo presidente dedicano le proprie energie al disegno di una legge che solo serve a intralciare le indagini della magistratura ed a limitare il diritto dei cittadini ad essere informati.

Se uno dei problemi, forse il vero grande problema, dell’Italia è lo scollamento tra politica ed elettorato, una legge come questa contribuisce solo ad allargare questa frattura; è una vera e propria licenza a delinquere, tanto non verranno fatte indagini - le limitazioni sono tante e tali che qualunque magistrato con un minimo d’istinto di auto-conservazione preferirà lasciar perdere - e, se per caso, i cittadini non ne sapranno nulla, che la classe politica più corrotta dell’occidente si concede solo ed esclusivamente nel proprio interesse.

Una quindicina d’anni fa, mentre passeggiavo per Budapest, quasi mi scontrai con un signore alto, distinto e con gli occhiali. Io ero soprappensiero e anche lui, per qualche motivo, doveva essere distratto; ci chiedemmo reciprocamente scusa, e,nel farlo, mi parve di riconoscere nel mio interlocutore l’allora Primo Ministro inglese John Major.

Fui talmente sorpreso che, con molta ingenuità, gliene chiesi conferma; lui sorrise e mi disse che sì, era John Major ed era in città per un importante incontro internazionale.

Si fermò un paio di minuti a scambiare due chiacchiere poi si allontanò; solo allora mi accorsi di un paio di robusti signori che lo accompagnavano: quella era tutta la scorta, evidentemente, di cui sentiva di avere bisogno.

Vedere l’arrivo ad una manifestazione di un qualunque nostro ministro, anche di quelli che nessuno conosce e, a dire il vero, neppure ha ben capito che compito abbiano, offre uno spettacolo completamente diverso; il politico nostrano circola sempre accompagnato da una pletora di agenti senza i quali, evidentemente, pensa che la sua sicurezza sia in pericolo.

La legge sulle intercettazioni è un ulteriore sintomo dello stesso male: la paura che hanno ormai i politici italiani dei propri stessi elettori.

E’ una norma a difesa dei segreti inconfessabili di un ceto politico che è cosciente di tradire, ogni giorno, gli interessi del paese nel perseguimento dei propri.

Una legge che viola il diritto; una legalità illegittima, parafrasando una delle più famose formule dualistiche di Carl Schmitt.

Non è un caso che tale provvedimento abbia assunto la forma di un decreto legge che si sta cercando di tramutare in legge a colpi di voti di fiducia; è a questo che è, in buona sostanza, ridotta l’intera attività legislativa.

La legislazione per decreto, invocando magari l’emergenza, non è solo caratteristica italiana, purtroppo.

Le ricette di Carl Schmitt – sempre alle idee del più crudo dei realisti politici bisogna riferirsi se si vuole comprendere tanti aspetti del presente - stanno trovando ampia applicazione in tutto l’occidente, ma è nel nostro paese che si è realizzato nel modo più perfetto l’esproprio del potere legislativo da parte del potere esecutivo.

Il parlamento Italiano, ormai, è ridotto a ratificare i decreti legge che il governo emana a getto continuo, come risposta ad emergenze vere, presunte e, spesso, palesemente false.

Un esempio di quest’ultime è proprio l’inesistente emergenza sicurezza; il nostro paese è tra i più sicuri d’Europa – il tasso di omicidi è una frazione di quello inglese o anche svizzero – e i tassi di criminalità sono, secondo i dati dello stesso ministero dell’Interno, in costante discesa da decenni; un secolo fa, all’epoca dorata dei nostri bisnonni, il tasso d’omicidi era esattamente dieci volte l’attuale.


Anche in questo il nostro paese non è certo il solo; ovunque nell’occidente si sono convinti l’elettorato a rinunciare a pezzi di libertà e i parlamenti a privarsi di pezzi di potere in un baratto tra diritti e sicurezza- reale o percepita – che è un altro aspetto della crisi delle democrazie d’inizio millennio.

In Italia però il parlamento è ormai completamente esautorato e non svolge più né alcuna reale attività legislativa né ha più alcun controllo sull’operato del governo.

Hanno contribuito a questo esito – il termine ha qui anche il valore dell’eufemismo usato in campo medico - una molteplicità di fattori.

La legge elettorale innanzitutto: non essendovi più le preferenze ed essendovi solo un candidato per collegio, consegna nelle mani delle direzioni dei partiti il potere di decidere della vita e della morte politica dei singoli parlamentari.

Nel caso del partito azienda di proprietà del Presidente del Consiglio, poi, tale potere spetta ad una sola persona: il presidente-padrone, appunto.

Questo, abbinato al voto di fiducia palese, fa sì che non resti traccia della libertà dei parlamentari di svolgere il proprio mandato obbedendo solo ai dettami della propria coscienza.

Il governo emette un decreto e, una volta posta la fiducia, ai parlamentari della maggioranza non resta che approvarlo; non farlo equivarrebbe a commettere un suicidio politico; non verrebbero certamente ricandidati alle successive lezioni.

La Repubblica parlamentare voluta dai padri costituenti si è trasformata così, senza nessun dibattito a riguardo e senza alcun voto in tal senso dei cittadini, un una repubblica governamentale; lo scivolamento della politica in uno stato d’eccezione permanente, il pericolo di cui tanto lucidamente ci avverte Giorgio Agamben nei suoi saggi, è ormai un fatto compiuto.

Resta, ultimo baluardo dello spirito repubblicano: il Presidente della Repubblica.
L’articolo 74 della costituzione recita: “l Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata”.

I padri costituenti hanno riconosciuto, a chiare lettere, la facoltà del Presdiente della Repubblica di non firmare una legge che, per un qualunque motivo, ritenga ingiusta.

Sono sicuro che, sessanta e più anni fa pensavano esattamente a una situazione come quella che si sta sviluppando in questi giorni.

Non è sempre stata così la politica nel nostro Paese; per una magnifica stagione, pur con tanti difetti, ci fu spazio per gli ideali: per i più alti.
 
A tutti noi, oggi, cercare di salvare, di quel tesoro di libertà e di diritti, il poco che resta: è tutto quel che abbiamo.
 
L’unica eredità che dobbiamo lasciare ai nostri figli.

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