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 Home page > Attualità > Economia > Un tentativo di decifrare i risultati del G20

Un tentativo di decifrare i risultati del G20

Spesso le questioni economiche sono difficilmente comprensibili alla maggior parte delle persone. Questo per vari motivi. Ad esempio, sia perché gli addetti ai lavori utilizzano termini che comprendono solo loro, o pochi comunque, sia perché in Italia le conoscenze relative alle discipline economiche sono scarsamente diffuse. E io credo che quanto deciso nel corso della recente riunione, tenutasi a Parigi, dei ministri finanziari del G20 sia stato capito da pochi, mentre i temi affrontati erano piuttosto importanti.

Proverò a “decifrare” e a rendere comprensibile, al maggior numero delle persone possibile, quanto avvenuto. Il tema principale all’ordine del giorno era rappresentato dalla definizione degli indicatori da utilizzare per accertarsi dell’esistenza di squilibri economici nei vari paesi.

Innanzitutto che cosa si intende per indicatori? In questo caso si intendono delle variabili economiche, quali ad esempio il deficit del bilancio pubblico, il debito pubblico e quello privato, il disavanzo della bilancia commerciale (mi rendo conto che dovrei fornire una definizione di tutte queste variabili ma il lettore se non conosce il loro significato può più rapidamente consultare un dizionario economico altrimenti mi prolungherei troppo…) che devono essere tenute sotto osservazione perché possono dimostrare l’esistenza di squilibri, insomma di problemi, di natura economica che vanno corretti se non si vuole cadere in una situazione di crisi.

Fino all’ultimo non c’era l’accordo di tutti i paesi su quali dovessero essere questi indicatori. La Cina, soprattutto, ha voluto che venissero escluse le riserve valutarie, cioè le riserve delle diverse valute in possesso delle banche centrali derivanti principalmente dalle esportazioni di prodotti all’estero. La Cina ha una quantità notevole di tali riserve perché esporta molto, molto di più di quanto importa, grazie anche al fatto che non vuole rivalutare a sufficienza la propria moneta, cioè lo yuan, e ciò mette in difficoltà altri paesi, come ad esempio gli Stati Uniti, i cui prodotti subiscono la concorrenza sui mercati esteri dei prodotti cinesi anche perché lo yuan non viene rivalutato quanto gli altri paesi vorrebbero. E se le riserve valutarie fossero state considerate uno di quegli indicatori, essendo per la Cina a un livello molto elevato, tale livello avrebbe potuto essere considerato appunto uno squilibrio da correggere, ad esempio tramite un’adeguata rivalutazione dello yuan.

In sostanza la Cina non ha voluto che venisse in questo modo limitata la propria autonomia decisionale su quando e quanto rivalutare la propria valuta. Ben inteso rilevare che all’interno dei paesi del G20 esistono degli squilibri non significa automaticamente imporre a quei paesi di correggerli nel modo dovuto. Ma se c’è un’intesa tra tutti i paesi su quali possono essere considerati gli squilibri, sarebbe difficile per i paesi aderenti rifiutarsi di intervenire per eliminare gli squilibri in questione. Peraltro, volendo complicare un po’ le cose, devo aggiungere che la definizione degli indicatori è solo un primo passo perché successivamente si dovrà stabilire con precisione il valore che, se viene assunto da una determinata variabile economica, può essere ritenuto come il valore che dimostra l’esistenza di uno squilibrio. Un esempio: una volta stabilito che il deficit del bilancio pubblico è uno di quegli indicatori si dovrà individuare il valore massimo di questa variabile oltrepassato il quale si concorda che esista uno squilibrio (potrà essere forse quel valore un valore del rapporto tra deficit e Pil pari al 3%).

Infine, Tremonti si è dimostrato soddisfatto perché tra quegli indicatori è stato inserito oltre al debito pubblico anche quello privato. Che cosa significa? E perché Tremonti si è dichiarato soddisfatto? Generalmente tra le variabili economiche che possono generare degli squilibri viene annoverato solo il debito pubblico, il debito cioè dello Stato. In Italia è particolarmente elevato, supera, il rapporto tra il debito pubblico e il Pil, il 100% (ciò vuol dire che il valore del debito è addirittura superiore al valore del Pil). Normalmente tra gli indicatori dell’esistenza di squilibri non viene considerato il debito privato, cioè il complesso dei debiti che le famiglie, i privati, di un paese, hanno assunto. Ora un elevato livello del debito privato in realtà è anch’esso la dimostrazione che qualcosa non va nell’economia di un paese (può essere anch’esso un fattore che determina una crisi economica). E l’Italia, a differenza di altri paesi, ha sì un debito pubblico molto elevato ma ha un debito privato piuttosto basso, anche perché le nostre famiglie, per tradizione, prima di indebitarsi soprattutto con le banche o le società finanziarie ci pensano due o più volte. Pertanto considerare tra quegli indicatori anche il debito privato, che viene valutato generalmente assieme al debito pubblico, vuole dire che l’Italia in futuro, diversamente dal passato, potrà essere considerato un paese dal debito complessivo non a un livello tale da giustificare la richiesta di forti interventi correttivi.

E questa scelta valida per i paesi del G20 che, come ho già rilevato, non sarà poi vincolante, benché comunque difficile da non rispettare, potrà influire su decisioni che, nel prossimo futuro, potranno essere prese dall’Unione europea, soprattutto per i paesi che adottano l’euro, per i quali l’Italia propone da tempo che tra gli indicatori di crisi venga considerato il debito complessivo, comprendendo anche il debito privato, e non solo il debito pubblico. E in questo caso invece le decisioni che verranno eventualmente prese sarebbero vincolanti per i paesi che adottano l’euro. Pertanto Tremonti ha ragione di essere soddisfatto.

Commenti all'articolo

  • Di katrina (---.---.---.182) 21 febbraio 2011 23:17
    katrina

    Tremonti ha ragione ad essere soddisfatto ma temo che sarà una vittoria di Pirro, dovuta in fondo a un escamotage che gli consentirà di procrastinare ulteriormente il problema vero, spaventoso, che attanaglia il nostro paese: la mancata crescita, la bassa competitività, la difficoltà a tenere il passo degli altri, l’ inesistenza di una politica economica incisiva.

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