Un manifesto di epoca fascista per publicizzare un convegno sulla violenza contro le donne

Un manifesto di epoca fascista è stato usato per publicizzare un convegno su Femminicidi, genocidi e violenza sulle donne
Questo manifesto prodotto nel 1944 dal Nucleo Propaganda (organismo creato dal Ministero della Cultura Popolare della Repubblica Sociale Italiana per curare l’organizzazione della propaganda sul fronte della "guerra psicologica"), è stato utilizzato per pubblicizzare, via mail, il seminario Femminicidi, ginocidi e violenza sulle donne, promosso dal Comune di Bologna e dal Centro di documentazione ricerca e iniziativa delle donne con l’adesione di diverse realtà femminili/femministe (Associazione Orlando, Armonie, Casa delle Donne per non subire violenza, UDI, SOS Donna ...).
Lo "scopro" solo ora, ma la notizia ha già fatto il giro della rete (rinvio qui e qui per dettagli e considerazioni) e sui quotidiani si leggono le prime reazioni critiche (e le conseguenti giustificazioni: "svista", "provocazione", "messaggio frainteso" ... ). Da parte mia non credo di poter essere tacciata (come spesso mi è successo) di eccessiva durezza se affermo che un episodio di questo genere è per me totalmente ingiustificabile, soprattutto alla luce di quanto prodotto all’interno di una parte del femminismo (dal Black Feminism ai femminismi cosiddetti postcoloniali) per denunciare, criticare e smantellare il mito dello stupratore nero e l’economia politica dello stupro, cioè l’uso in termini razzisti e securitari della violenza sulle donne. Scrivevo, solo qualche giorno fa che, a mio giudizio, alcuni nodi inerenti all’interrelazione tra razzismo e sessimo, non sono stati ancora sufficientemente meditati e fatti propri all’interno del movimento delle donne. Ma ero lontana dall’immaginare un episodio di una tale gravità, paradossalmente a ridosso di un fine settimana antirazzista e antisecuritario. Ma allora siamo proprio condannate alla ripetizione logorante senza fine e senza risultati?
Auspicherei (per il ri-avvio di un dibattito quanto mai necessario) ulteriori prese di distanza critica su quanto accaduto, anche (o forse soprattutto) da parte delle relatrici invitate al convegno (credo ignare dell’immagine usata per publicizzarlo). Di alcune ben conosco e apprezzo il lavoro teorico e militante contro la violenza subita dalle donne e credo abbiano l’intelligenza e la capacità di porre al centro la necessità di riflettere su queste questioni. Da parte mia, come contributo al dibattito, oltre quanto già scritto qui e altrove, mi limito a copiare la scheda che accompagna il manifesto Difendila! del Nucleo Propaganda nel catalogo della mostra La menzogna della razza a cura del Centro Furio Jesi:
Ciò che veniva ovunque suggerito, prospettato, sottinteso, è messo in scena qui, con tutta l’enfasi del caso: chi ha progettato il manifesto riteneva che la raffigurazione dello stupro avrebbe guadagnato in atrocità proprio sottolineando la diversità etnica di chi lo perpetra. Così il soldato nero ha sguardo lubrico, bocca e labbra ingigantite, mani ad artiglio, è tutto proteso nella brama di possesso simboleggiata dalla vampa di fuoco che sembra emanare dal suo corpo, materializzazione dello smodato desiderio erotico che il pregiudizio razzista ha spesso attribuito alle genti di colore. La donna bianca viene rappresentata come il suo opposto speculare: il volto atteggiato a severo sdegno ma composto nella sua dignità ferita, la veste candida della purezza, il corpo disperatamente teso nel virtuoso sforzo della repulsione.
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