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L’otto marzo delle donne in piazza Tahrir

In prima fila nelle rivolte che hanno squassato i paese a sud del mediterraneo, le donne devono ora lottare per rendere effettivi i diritti come quelli civili e politici senza distinzione di sesso, credo religioso e appartenenza etnica che avevano chiesto a gran voce nelle grandi manifestazioni di piazza di questi ultimi mesi.


Ma il periodo di transizione del dopo-rivoluzione è incerto. In Egitto quanto avvenuto a piazza Tahrir l’otto marzo invita alla cautela e alla vigilanza.

"Il sangue delle donne uccise nelle rivolte è ancora fresco è gia ci stanno tradendo": in questa frase di Nawal El Sadaawi (tratta da un articolo pubblicato da The New Yorker) è tragicamente riassunto quanto sta avvenendo in questi ultimi giorni in Egitto e la delusione e la rabbia di chi, come Nawal El Sadaawi stessa, vedevano nella rivoluzione scoppiata in gennaio "un sogno".

Le donne, dall'inizio in prima fila nelle rivolte, vedono ora disattese in maniera brutale quelle che erano state le loro rivendicazioni, ovvero uguaglianza dei sessi, ruolo non subordinato della donna nella vita politica e civile, una legislazione e una costituzione che garantiscano libertà e diritti per tutte/i le/i cittadini, senza differenza di sesso, origini, credo religioso. Durante la manifestazione in piazza Tahrir dell'otto marzo, organizzata, da attiviste e attivisti per denunciare il rischio che il nuovo assetto politico-militare si traducesse in un rafforzamento del dominio patriarcale, vi è stata una contro-manifestazione di un nutrito drappello di uomini. Questi hanno attaccato le/i manifestanti, strappato manifesti e striscioni, malmenato e molestato alcune donne e urlato slogan quali "La rivoluzione non sarà laica!", "Non ci sarà mai in Egitto un presidente donna!" e "Rientrate a casa a far da mangiare!", oltre al classico "Qualunque cosa accada continueremo a scoparvi".

Forse non si poteva immaginare una tale violenza, fisica e verbale, ma segnali preoccupanti erano stati colti da tempo, come è emerso anche nei collegamenti in diretta con attiviste egiziane dal Cairo e da alcuni interventi in sala durante la giornata No Hagra! No tirannia!. In particolare Francesca Biancani ha sottolineato come dagli emendamenti proposti dalla nuova coalizione costituitasi in Egitto dopo la rivoluzione (e per approfondimenti rinviamo al sito - in inglese/arabo - dell'Egyptian Center of Women's Rights), emerge un'esclusione di fatto sia delle donne come dei/delle "non-egiziani" (e dei/delle non eterosessuali). Il nuovo presidente infatti, dovrà essere "nato da due genitori egiziani e non potrà sposare che una donna egiziana".

Commenti all'articolo

  • Di fernanda cataldo (---.---.---.75) 14 marzo 2011 19:14
    fernanda cataldo

    nessuna rivoluzione "si evolve" culturalmente nel senso filosofico del termine, se una parte dei "cittadini" ne vengono estromessi di proposito, in questo caso le donne. forse per questo le rivoluzioni tendono a fallire dopo le prime scintille. ma incrociamo comunque le dita, magari con il tempo "loro" riescono dove noi abbiamo fallito con tutto il sapere che avevamo a disposizione, effettivamente non lo abbiamo messo in atto, se non per interessi personali.

    ferni

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