• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Europa > Ue, una maggioranza di veti

Ue, una maggioranza di veti

È stata definita vetocrazia, avvolge ormai l'Unione europea, mentre da più parti si vagheggia di abbandonare l'unanimità e passare al voto a maggioranza. Se fosse così semplice

Il presidente Sergio Mattarella, nel suo discorso del 18 dicembre alla XVI Conferenza delle ambasciatrici e degli ambasciatori d’Italia, ha ribadito una sua convinzione sui meccanismi decisionali dell’Unione europea:

Allargamento e approfondimento dei meccanismi di integrazione economica e politica sono due aspetti strettamente connessi.

Affinché l’Unione Europea possa svolgere un ruolo rilevante a livello interno ed internazionale, essi debbono procedere di pari passo.

Una esigenza, questa, che dovrebbe indurci ad un sempre maggiore ricorso al voto a maggioranza.

Il voto a maggioranza anziché l’unanimità che sempre più alimenta il potere di veto, come plasticamente illustrato dalla condotta del premier ungherese Viktor Orban, anche all’ultimo Consiglio europeo. Durante il quale è stato avviato l’iter di adesione per Ucraina e Moldova, oltre che per la Bosnia Erzegovina, sia pure condizionato, ed è stato concesso lo status di paese candidato alla Georgia.

UN CAFFÈ GRATIS PER ORBAN

Riguardo all’Ucraina, il via libera all’unanimità dei presenti nella stanza è stato conseguito grazie alla “innovazione” di Orban che, al momento del voto, esce e va a prendersi un caffè, pare dietro suggerimento del cancelliere tedesco Olaf Scholz ma con grande probabilità con la partecipazione tra i suggeritori anche di altri paesi, tra cui la Francia.

Interessante innovazione, si diceva. Nel senso che questa scena ha suggerito a qualcuno la nascita di un ingegnoso modo per superare il principio di unanimità di alcune decisioni. Sfortunatamente, è soprattutto teatro: l’Ucraina dovrà superare circa 70 step decisionali, durante ognuno dei quali Orban o chiunque altro potrà decidere di mettersi di traverso. All’ungherese quel caffè è costato pressoché zero, ad altri potrà andare di traverso decine di volte, negli anni a venire.

Subito dopo, Orban ha bloccato ogni decisione sugli aiuti finanziari a Kiev, entro la revisione del bilancio pluriennale della Ue. Qui l’ungherese ha deciso di alzare la posta, ed esigere il pagamento di tutto quello che al suo paese sarebbe “dovuto”, e non solo di un terzo (dieci miliardi) come invece deciso dalla Commissione in un approccio transazionale per presunti progressi sullo stato di diritto (rule of law), nel tentativo di ammorbidirne la posizione sul finanziamento all’Ucraina.

La strada per l’Ungheria è ancora molto lunga, secondo Bruxelles: occorre codificare il contrasto alla corruzione, monitorare gli esborsi dei fondi europei, garantire la libertà accademica e le libertà della comunità LGBT, oltre alle condizioni dei rifugiati. Motivo per cui, Orban proseguirà a mettere veti ogni volta che ne avrà l’opportunità, sin quando non avrà recuperato tutto il malloppo che egli ritiene gli spetti in modo incondizionato.

AGGIRARE I VETI

È evidente che la Commissione, e il Consiglio, rischiano di perdere la faccia e sottomettersi a quelle che sono palesemente tattiche estorsive da parte di uno stato membro. Ma che alternative esistono, quindi? In teoria, almeno un paio di opzioni. La prima è la creazione di modalità di aggiramento del veto. Nel caso dei fondi all’Ucraina, creare un accordo intergovernativo a 26 paesi, che richiederebbe tempo oltre a produrre una gestione per eccezioni che renderebbe il tutto ancora più complesso e disseminato di problemi legali.

Il secondo sarebbe l’opzione nucleare, il famoso articolo 7 per violazione dello stato di diritto, che può portare al congelamento dei diritti di voto. Ora che a Varsavia non c’è più un governo amico di Orban, questa strada sarebbe in teoria percorribile. In teoria, perché molti paesi temono in questo modo di aprire il vaso di Pandora delle sanzioni per chi si mette di traverso.

Unite i puntini e vedrete che stiamo parlando della (non) nascita del processo decisionale a maggioranza su materie non ordinarie. Per avere il quale serve, appunto, l’unanimità. Siamo sicuri che oggi (ma anche domani) esistano le condizioni politiche per arrivare a questo esito? Sul tema ho scritto più volte, anche con riferimento alla posizione italiana, come espressa anche da Mario Draghi durante il suo premierato. Italia che (come tutti, sia chiaro), quando fa parte della maggioranza, ama declamare che occorre superare il principio disfunzionale dell’unanimità.

Oppure vagheggia il veto, quando è dall’altra parte della barricata. Ad esempio, per la riforma del patto di stabilità. Ma vale, come detto, anche per altri paesi che colgono l’opportunità, come ricordato nella newsletter di David Carretta e Christian Spillmann Il Mattinale europeo (lettura consigliata, ovviamente), che parla di vetocrazia che ormai avvolge la Ue:

La vetocrazia imposta da Orban è contagiosa. La scorsa settimana l’Austria ha ritardato l’adozione del dodicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia per la stessa ragione dell’Ungheria: la presenza della banca austriaca Raiffeisen nella lista nera di Kyiv.

Quindi si va avanti, con le aspirazioni un po’ ingenue al voto a maggioranza e con la realtà che ognuno preferisce tenersi l’ultima arma difensiva col colpo in canna. Le decisioni all’unanimità producono esiti fortemente subottimali, in tempi lunghi e dopo processi di mercanteggiamento spossanti. Ma l’estensione delle decisioni a maggioranza, che richiede l’unanimità, rischia di essere la tomba della Ue, ove mai vedesse la luce, causandone l’implosione.

Che fare? Il punto resta quello di contenere il free riding di singoli paesi, cioè di alzare il costo opportunità dei loro veti. Ma come? Servirà molta fantasia. Perché, e anche qui mi ripeto, gli interessi nazionali restano. E con essi il vincolo a compromessi sempre più bloccanti e sclerotizzanti. L’Ungheria non ha alcuna intenzione di attivare l’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea e seguire la strada del Regno Unito: evidentemente ritiene che ciò che ottiene stando all’interno sia superiore a quello che potrebbe conseguire stando fuori. Ecco perché, ripetiamolo, occorre alzare il costo opportunità delle attuali condotte ostruzionistiche, non solo ungheresi. Più semplice a dirsi che a farsi.

INTERESSI NAZIONALI DECLAMATI

“Ecco, lo vedi? Gli interessi nazionali contano, perché gli stati nazionali esistono, gli Stati Uniti d’Europa no!”, mi pare di sentire in sottofondo. Verissimo. Ma servirebbe anche ricordare che la frammentazione europea, che resta ineliminabile, espone i suoi stati alle ingerenze esterne di russi, cinesi e americani. Divide et impera, appunto. Quindi, attenzione: il mondo è fatto di tradeoff, lo sappiamo ma tendiamo a scordarlo. Quello di “interesse nazionale” è un concetto cardine ma occorre fare attenzione a non farlo degradare a mera declamazione di impotenza, sullo scacchiere internazionale.

Occorre poi essere consapevoli che ci sono ambiti decisionali in cui il principio di unanimità non sarebbe comunque superato, neppure se per miracolo gli stati membri riuscissero a limitarne fortemente il numero di applicazioni. Un esempio? Il processo di allargamento della Ue. Perché si ha un bel dire che l’allargamento rappresenta “la riunificazione della grande famiglia europea”.

A Giorgia Meloni, che di tali slanci è portatrice, mi piacerebbe chiedere cosa diranno i suoi elettori di fronte alla prospettiva di aumentare il numero di beneficiari netti di risorse comuni, che qualcuno dovrà pagare. Oppure cosa diranno i suoi grandi elettori che stanno nei campi, di fronte alla prospettiva dell’arrivo di prodotti agricoli ucraini che potrebbero sbaragliare la concorrenza, oltre che drenare una rilevante quota della politica agricola comune. Stessa domanda da fare ai sovranisti francesi, sapendo che anche gli internazionalisti liberali transalpini, come Emmanuel Macron, quella domanda se la pongono.

E tuttavia non si deve neppure credere che il proiettile d’argento sia la rimozione o il ridimensionamento dell’unanimità. Basti ricordare che la maggioranza qualificata è il metodo di voto più diffuso all’interno del Consiglio, che lo utilizza per le decisioni nell’ambito della procedura legislativa ordinaria, la cosiddetta codecisione. Circa l’80% di tutta la legislazione Ue è adottato secondo tale procedura. Ma quello è l’ordinario, appunto.

Chiudo con colui col quale ho aperto, il presidente Mattarella, anche per allontanare da qualcuno tra voi l’impressione che in questo articolo lo abbia trattato da anziano signore ultra-idealista al punto da aver perso il contatto con la realtà. Al contrario, si deve proprio a Mattarella, anni addietro, la frase che suggella l’esigenza di trovare punti di equilibrio e cooperazione, o almeno a non smettere di cercarne:

Esistono Paesi piccoli e Paesi che non hanno ancora capito di essere piccoli.

Proprio così. E questa mi pare la descrizione dei membri della Ue, temo.

Photo by governo.it – Immagini messe a disposizione con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità