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Ue, lo scudo bucato dagli interessi nazionali

La Ue elabora una strategia di sicurezza economica per proteggere le proprie tecnologie e aziende da influenze esterne, ma gli interessi nazionali continuano a dominare.

Questa settimana, la Ue dovrebbe mettere in cantiere la propria strategia di sicurezza economica, per impedire che le proprie tecnologie e aziende critiche non cadano “in mani sbagliate”, segnatamente quelle cinesi ma anche quelle statunitensi. Software, semiconduttori, computer quantistici, biotecnologie, intelligenza artificiale e tutti gli ambiti in cui l’Unione potrebbe perdere competitività o essere impedita dall’acquisirne, sia attraverso l’operare di controllate europee di gruppi extra-Ue, sia attraverso esportazione di tecnologie critiche, che poi verrebbero imitate e perfezionate dai paesi acquirenti.

Come ben sa chi mi segue, il problema della Ue è uno solo: gli interessi nazionali che mal riescono a diventare interessi “europei” ma che rischiano di agevolare potenze extraeuropee nella loro opera di divide et impera. La creazione di questa strategia di sicurezza economica è un passaggio critico di questa contraddizione, quanto e più della disciplina degli aiuti di stato e della creazione di ipotetici campioni europei.

PROTEGGERE LA TECNOLOGIA EUROPEA

Infatti, attualmente le decisioni di investimento diretto all’estero e gli eventuali controlli alle esportazioni restano in capo ai governi nazionali. L’idea è quella di calare su questa “sovranità” un coordinamento collettivo più o meno cogente in settori critici per lo sviluppo tecnologico. Ce la faremo? Il cosiddetto pacchetto di sicurezza economica europea, che sarà presentato questa settimana, prevede affinamenti legislativi al regime di screening degli investimenti diretti provenienti da paesi extra Ue, contenuto nel Regolamento 2019/452, e che punta a tutelare la sicurezza e l’ordine pubblico, mantenendo l’apertura europea agli investimenti.

Si basa su scambio di informazioni, emissione di pareri e linee guida da parte della Commissione, rapporti periodici e regime di notifica alla stessa da parte degli stati membri di investimenti diretti esteri che possano minacciare sicurezza e ordine pubblico. Al momento, il focus resta sulla Cina: la settimana scorsa, il parlamento europeo ha votato una risoluzione, non vincolante, che chiede lo screening obbligatorio degli investimenti cinesi nell’Unione, per quanto riguarda “asset critici, quali porti e reti di trasporto”.

Si tratta di estendere e focalizzare tale coordinamento, e dargli cogenza. Non semplice, vista l’originaria competenza nazionale, che entra nell’ambito delle politiche industriali. Come sempre, in tali circostanze, gli stati membri tendono a preoccuparsi di contenere il potere di intervento della Commissione.

Occorrerà inoltre creare un quadro di riferimento per contrastare condotte elusive nazionali sugli investimenti diretti all’estero extra Ue, quelle che potrebbero aggirare controlli alle esportazioni mediante insediamenti industriali fuori dall’Unione. Nella bozza della strategia è inoltre prevista l’ipotesi di creare un fondo di ricerca per lo sviluppo di tecnologie dual-use, civile e militare.

Perché non basta il coordinamento, ovviamente: serve anche la creazione di strutture comuni di ricerca e applicazione. E qui, come sappiamo, sorgono i problemi, per il desiderio dei paesi più forti di fare da soli o evitare di dover finanziare gli altri. Questa resta una delle maggiori criticità dell’Unione europea: diventare “altro” dalla sommatoria dei suoi membri, e fare un passo oltre il coordinamento, che già di suo tende a produrre frustrazione e fallaci desideri di autonomia e “sovranità”.

DIVIDE ET IMPERA ESTERNO

La strada resta in salita, non solo per i noti problemi di coordinamento e di spinte centrifughe nazionali. In questo quadro, la strategia europea punta anche ad affinare le reazioni del blocco contro il cosiddetto bullismo economico, cioè le sanzioni imposte da paesi extra Ue su membri della Ue, che verrebbero “difesi” dal blocco per evitare di soccombere. Bel concetto, senza dubbio: tutti per uno, uno per tutti. Il cosiddetto strumento anti coercizione (ACI) è entrato in vigore da pochi giorni, dopo pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Ue.

L’ACI è stato concepito in origine per rispondere ai dazi di Donald Trump ma ha trovato spinta dopo il caso di bullismo economico perpetrato dalla Cina ai danni della Lituania. Potrà tornare utile ora che Trump appare prossimo a un ritorno dove cercherà di finire l’opera ma restano le fragilità di fondo, cioè gli interessi nazionali, che potrebbero depotenziare lo strumento e favorire il divide et impera delle due grandi potenze esterne, Stati Uniti e Cina.

Quindi, per riassumere: la Ue tenta di andare oltre il mero coordinamento tra i propri stati, ma si scontra con gli interessi nazionali dei medesimi, che peraltro temono di dare troppo potere alla Commissione. In tutto ciò, se guardiamo al quadro economico strategico, l’Unione resta svantaggiata in termini di costi dell’energia, e appare destinata a continuare a subire la colonizzazione cinese sulle tecnologie “verdi”: dopo i pannelli solari, le auto elettriche. Salvo andare a Pechino a lamentarsi, trovando condiscendenza e la consapevolezza che sarà sempre possibile cercare di dividere gli europei, facendo leva sugli interessi di singoli stati.

Ricordate la caricatura italiana del governo Conte I, quello dove i nostri eroi hanno cercato di sfruttare un inesistente leverage negoziale contro la Ue, tentando di giocare di sponda con la Cina col memorandum sulla via della seta? Ecco, diciamo che gli italiani sono sempre i migliori a creare sceneggiate farsesche ma altri potrebbero essere più efficaci, nel mettersi di traverso alla costruzione unitaria, sentendo i propri interessi nazionali coartati. Salvo accorgersi di non avere reale forza negoziale ma di essere solo destinati alla sottomissione.

FINE DELLE EURO-ILLUSIONI

Ricordiamolo: niente fondo sovrano europeo, sussidi chi può e magari se ne esca pure con improbabili teorie sulle ricadute benefiche per tutta la Ue. Creazione di campioni continentali improbabile per gli stessi motivi, a partire dalla Difesa. Vedremo come andrà per la “difesa tecnologica”, ma restando consapevoli che andiamo verso uno scontro tra blocchi, con e senza il ritorno di Trump alla Casa Bianca, viste anche le condotte dell’Amministrazione Biden. Da una nuova era di protezionismo, la frammentazione “genetica” della Ue ha solo e tutto da perdere, e un CFIUS europeo è un’ambizione che rischia di restare una pagina del libro dei sogni, una caricatura dell’originale o un morticino.

La Ue nasce come potenza commerciale e “valoriale”, la proiezione dell’illusione tedesca del Wandel durch Handel, l’idea “venusiana” di esportare la democrazia a mezzo di commerci. Ora che siamo (ri)entrati in una logica di confrontation globale questa impostazione, peraltro fondata sulla protezione dell’ombrello di difesa americano, rischia di essere travolta. Cambiare o soccombere. Ma cambiare come? Chi pensa che la dimensione nazionale e nazionalista sia il rifugio, è destinato a un risveglio ruvido.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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