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"Tutti noi oggi siamo chiamati ad alzarci, a conoscere la nostra altezza misurandola con il metro dei diritti civili"

Carissimi amici,

stavolta voglio riprendere la parola alla tavola, dopo un po’ di silenzio meditativo, per citare una frase:

"Tutti noi oggi siamo chiamati ad alzarci, a conoscere la nostra altezza misurandola con il metro dei diritti civili"


E’ la frase che capeggia appena sotto il titolo del blog di Anna Paola Concia, deputata Pd.

Vi chiederete il perchè io la citi, ed è molto semplice.
Avevo scritto riguardo alla nostra discussione, alla nostra tavola di chi vuole "cambiare il mondo", a tutte le deputate, di destra e sinistra, senza alcuna distinzione, affinchè qualcuna decidesse di accettare lo scambio di idee, il confronto, e l’impegno a portare avanti uno slancio riformista riguardo alla figura femminile nel mondo del lavoro e della politica.

Ebbene, l’unica che ha risposto è stata proprio Anna Paola Concia, dicendosi "disponibile a qualsiasi confronto ed impegno".

Colgo l’occasione per ringraziarla, e se voi stessi lo volete fare, vi lascio il suo indirizzo e-mail:

[email protected]

Riprendendo da dove avevamo lasciato, parlavamo delle quote rosa. Praticamente tutti voi avete parlato all’unisono, dicendo che sono uno strumento da considerare di transizione, quasi denigratorio, che non avrebbe senso di esistere se aleggiasse almeno una parvenza di rispetto del mondo femminile.
Vero.

Ma "avrebbe" è la parola giusta (il condizionale, questo sconosciuto per alcuni nostri eletti), visto che il rispetto sembra mancare totalmente.

Vi porto un altro esempio, andiamo a fare un giro a Molfetta.
Siamo nel 2008, viene eletto il sindaco, tale Antonio Azzolini, del Pdl, il quale dimostra immediatamente un progetto lungimirante nominando tra le file degli assessorati esclusivamente uomini. Questo nonostante esista una norma statale che garantisce nelle giunte la presenza di entrambi i sessi, e nonostante un articolo dello statuto comunale che sottolinea la medesima presa di posizione.
Fortuna vuole che a Molfetta sia attiva una consulta femminile, che ha agito immediatamente investendo tutte le proprie forze in una denuncia al Tar, che è stata ovviamente accolta.



Da Molfetta salto e vi porto per mano in Europa, dove la norma comunitaria continua a fare progetti e tabelle di marcia. Un obiettivo che si deve raggiungere per il 2010, si legge, è la partecipazione nei posti di responsabilità di ricerca delle amministrazioni pubbliche femminile in percentuale non inferiore al 25%.

Il 25% non sembra una percentuale incoraggiante. Un quarto.


Secono Eurispes, in base ad uno studio targato 2007, le amministrazioni pubbliche in Italia avrebbero uan forte componente femminile in tutti i settori, tranne che nei posti di dirigenza.

"La pubblica amministrazione è donna ma ha poche dirigenti. Secondo la ricerca Eurispes, sono circa 1.872.000 le donne impiegate negli apparati delle Amministrazioni centrali, locali e previdenziali con un’incidenza del 52,7% sul totale dei dipendenti. Nell’insieme le donne rappresentano più della metà dei lavoratori pubblici e caratterizzano il settore con un alto tasso di femminilizzazione rispetto al privato. Le donne sono poche nelle Forze armate (0,31%) mentre la scuola, specialmente quella elementare, materna e gli asili nido, è il comparto con la più alta percentuale di personale femminile (76,17%). Si registra, inoltre, una sostanziale parità tra maschi e femmine nel personale della Presidenza del Consiglio (50,93% maschi e 49,07% femmine) e dei Ministeri-Agenzie (49,90% e 50,10%). Infine, anche se inferiore al 40%, è significativa la presenza della componente femminile nella Magistratura (37,64%), nella carriera Diplomatica e Prefettizia (34,16%) e negli Enti di ricerca (39,90%). Solo in 4 comparti su 14 la percentuale di donne è superiore a quella maschile. Ma la situazione cambia drasticamente per il ruoli dirigenziali dove la percentuale femminile crolla al 27,02%."

il 27% resta un numero simbolicamente molto vicino a quel "quarto" di cui sopra. Significa che in una riunione dei quadri generali di una amministrazione comunale avremo tre uomini per ogni donna, almeno in media. Ovvero una voce contro tre, o un voto contro tre.

Questo non significa che la voce femminile debba per forza essere contrastata da quella maschile e viceversa, ma è innegabile che proporrebbe visioni differenti, che, in misura di uno a tre, non possono nemmeno uscire dalla stanza in cui vengono delineate.



Il 2006 ha visto approvare una legge che impone alle liste elettorali di candidare una donna ogni tre uomini:

Il disegno di legge n. 3660 voleva garantire e rendere effettiva un’adeguata rappresentazione delle donne nella composizione delle liste elettorali della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.

Quando si parla di quote rosa si parla quindi del numero di candidati di sesso femminile che dovrebbero essere inserite, quindi candidate, nelle liste elettorali valide per le elezioni. Il testo della legge approvato dal Consiglio dei Ministri prevedeva che nelle liste elettorali sia candidata una donna ogni tre uomini, in particolare "nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi del totale dei candidati" come si legge nel ddl n. 3051 presentato il 19 luglio 2004. (fonte: Intrage)

Come sopra, una contro tre.

Sono dell’opinione che forzare le donne a partecipare alla vita politica o a coprire cariche amministrative, solo perchè "così vuole la legge" non possa portare ad altro che a soggetti come Carfagna e simili.

Tuttavia non è detto che il sistema delle quote rosa rappresenti una forzatura.
Le donne, probabilmente, senza uno stralcio di legge non avrebbero nemmeno questa rappresentanza minoritaria.

Lancio un’idea: e se combattessimo per portare le percentuali ad un dignitosissimo cinquanta e cinquanta? Una donna ogni uomo.

Come al solito, a voi la voce, io mi limito ad offrirvi un buon caffè.

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