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 Home page > Attualità > Politica > Tu quoque: paralleli storici

Tu quoque: paralleli storici

Vorrei proporre un parallelo, un po’ spericolato, fra due personaggi. Il primo nacque, duemila anni or sono, a Roma, il secondo, più recentemente, nella Gallia Cisalpina, in mezzo alla pianura (in medio-lanum) di quella terra oggi detta più grossolanamente Padania.
 
Ugualmente abili nel far sfracello d’avversari, al comando rispettivamente di legioni e di aziende, entrambi hanno conquistato un impero. Mirabolanti le gesta compiute e quelle abbozzate: il ponte, allora costruito sul Reno in pochi giorni per invadere la Germania, è, forse, oggi meno celebre dell’incompiuta passerella sullo stretto, la cui mancanza potrebbe aver impedito la conquista della Sicilia?
 
Dopo essersi cimentati nell’attività preferita, bellica ed imprenditoriale -quale sia più cruenta non so -, si sono buttati in politica.
 
Quanto ad autostima non si distinguono molto l’uno dall’altro, parimenti furono orgogliosi di rivendicare pubblicamente le loro gesta, sebbene le tre parole <<Veni, vidi, vici>> siano senz’altro più eleganti di <<ghe pensi mi>>.
Capaci di decisioni coraggiose ed imprevedibili, dopo aver ottenuto vittorie e subìto sconfitte, l’uno attraversò il Rubicone, l’altro salì sul predellino, entrambi riconquistarono il potere.
 
Il primo si lasciò cingere le tempia d’alloro, simbolo di gloria per le vittorie, ma si dice che lo abbia fatto anche per mascherare l’incipiente calvizie, contro la quale, il secondo, è ricorso a tecniche più moderne.
 
Ottenuta la dittatura a vita, il primo diede inizio ad un processo di radicale riforma della società e del governo, riorganizzando e centralizzando la burocrazia repubblicana. Il secondo ci prova a riformare radicalmente la sociètà, ma lo accusano anche di ambire alla dittatura.
 
L’operato di entrambi ha provocato la reazione dei conservatori. Un gruppo di senatori, alle Idi di marzo del 44 a.C.,cospirò contro il primo, uccidendolo. Appena due anni dopo il suo assassinio il Senato lo deificò ufficialmente, elevandolo a divinità.
 
Anche il nostro è stato vittima di un complotto di palazzo sebbene, per fortuna, non gli sia costata la vita. Si dice che, per la vittima del 44 a.C., più del dolore delle pugnalate sia stata l’amarezza nel riconoscere chi le sferrava, sintetizzata nella celebre frase <<tu quoque Brute, fili mi>>.
 
Se riferito agli autori della congiura anziché alle vittime il parallelo, fin’ora forzato, diventa forse ragionevole. Ambedue i cospiratori dichiarano di averlo fatto per salvare la patria dalle pericolose ambizioni dei tiranni, dei quali per altro, entrambi si possono definire figliocci. “Bruto dice che Cesare fu ambizioso; e certo Bruto è uomo d'onore, così sono tutti, tutti uomini d'onore.” Insomma Bruto l’ha fatto per il bene della patria, però alla storia è passato come traditore. E Gianfranco?

Commenti all'articolo

  • Di alessandro tantussi (---.---.---.153) 26 settembre 2010 17:31
    alessandro tantussi

    Ieri Gianfranco si è deciso a parlare. L’attesa era enorme. Tutti pensavano dovesse dire CHISSACHECOSA. Rotti gli indugi si è presentato agli italiani, bello di fama e di sventure, sebbene solo in immagine registrata. Magari con un certo ritardo, ma sembrava fosse giunta anche per Lui l’ora delle decisioni irrevocabili. Bruto, volendo imitare Cesare, ha detto: ora basta, sparecchio la tavola, GHE PENSI MI ovvero ALEA IACTA EST. Solo che, invece di attraversare il Rubicone e sferrar l’attacco a Roma, ha preferito fare dietrofront e tornarsene a casa buono buono, dopo aver detto nulla, scusandosi per le ingenuità commesse.

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