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Trump silura Assad: inizia la trattativa finale

Alla fine la querelle sulla questione siriana si sta lentamente dipanando.

Non è che Trump abbia rotto con Putin o viceversa; semplicemente il nuovo presidente americano ha deciso di non voler essere tagliato fuori dalla trattativa finale sulla Siria, a differenza di Obama che sulla questione siriana ha avuto molte (forse troppe) titubanze avendo subordinato tutta la sua politica estera all’accordo con l'Iran sul nucleare.

La “trattativa finale” non indica l’esito dello scontro tra il regime e i ribelli (laici occidentalisti+islamici fondamentalisti+curdi e quant’altro). L'esito finale era già stato virtualmente deciso nel momento in cui Recep Erdogan e Vladimir Putin scelsero di sotterrare l’ascia di guerra dopo l’abbattimento del jet russo da parte dei turchi, per muovere insieme contro l’Isis.

Che i governativi abbiano quindi vinto lo scontro, grazie ai russi e al nuovo posizionamento di Ankara, sembra essere sufficientemente chiaro.

Ma la “trattativa finale” inizia proprio quando una delle due parti prevale sull’altra. È in questo momento che tutti corrono a occupare una sedia attorno al “tavolo della pace”, muovendo sul campo le pedine necessarie ad assicurare loro un posto rilevante. Ricordate l’improvvida aggressione di Mussolini alla Francia ormai già sconfitta?

In quest’ottica vanno interpretati gli ultimi avvenimenti.

Un eventuale stallo sul campo di battaglia avrebbe preparato il terreno ad una divisione del paese in aree di interesse strategico (filosciita, filosunnita, curdo) ciascuna garantita dai suoi sponsor stranieri (russi e iraniani, turchi e sauditi, occidentali e israeliani). Ognuno avrebbe avuto la sua parte di vittoria, per quanto parziale, il suo gradito 'posto al sole' e motivi di intima soddisfazione.

La soluzione sarebbe poi stata fotocopiata in Iraq dove gli equilibri (e gli squilibri) geopolitici sono sostanzialmente gli stessi.

Ma lo stallo non sembra fare più parte delle possibilità reali. Che l’Isis fosse un quasi-bluff militare lo si sapeva: senza aviazione puoi fare molti danni, ma vai poco lontano nelle guerre moderne. Oggi è arrivato palesemente al capolinea, a meno di colpi di scena imprevedibili.

Senza stallo sul territorio l’unica strada aperta è quindi quella della vittoria palese di un regime che uscirebbe dal conflitto rafforzato e più legittimato di prima. Un successo senza ombre dell’asse Mosca-Damasco-Teheran e una sconfitta su tutta la linea per l’islàm sunnita, in particolare saudita e qatariota, e per i suoi sponsor occidentali.

Non così per la Turchia, premiata dal palese voltafaccia (da nemico storico del regime siriano ad alleato di fatto dello sponsor russo di Assad), e forse nemmeno per Israele che dallo scontro all’ultimo sangue tra frange diverse di suoi nemici ha trovato un implicito tornaconto, ma che risulta premiato anche sia dall’avvicinamento alla Russia che dalla ritrovata serenità di rapporti con la Turchia (oltre che dalla vittoria di Trump alle presidenziali USA).

Come ricompensare perciò gli unici perdenti veri, i sultani della penisola arabica, per non far perdere loro la faccia che, in medio oriente, è quanto di peggio possa capitare?

L’unica risposta alla domanda clou della trattativa postbellica sembra essere che anche Assad, benché vincitore assoluto, debba perdere la faccia. Finendo silurato proprio nel momento in cui assapora il gusto del successo marciando a testa alta sui corpi martirizzati dei 500mila siriani morti nel frattempo.

La sua testa è infatti la richiesta fatta, senza tanti complimenti, dalla nuova amministrazione americana dopo aver a lungo sbandierato un isolazionismo fasullo che tanti ingenui, anche nel nostro paese, avevano scambiato per pacifismo.

Il braccio di ferro è dunque questo e la questione delle armi chimiche - usate non si sa da chi a Idlib - sembra preludere a questa resa dei conti politica.

Se era poco sensato sottovalutare un'ipotetica decisione governativa di usare i gas per stringere i tempi - e non sarebbe strano pensare a un Assad in pieno delirio di onnipotenza dal momento che nessuno sembrava poterlo o volerlo contrastare - l'intervento americano sembra chiarire il cui prodest che spunta sempre fuori quando mancano prove certe e inconfutabili.

E sembra puntare il dito verso qualcuno che vive e regna nella terra dei Saud. Pochi altri avrebbero avuto un interesse così smaccato a mettere in difficoltà un regime ormai vincente che, oltretutto, sembra aver salvato l'integrità di uno stato nazionale i cui confini furono disegnati con il righello dai colonialisti europei d'altri tempi.

Trump vuole (simbolicamente) la testa di Assad. La Russia non gliela vorrà consegnare e farà di tutto per impedirne la decapitazione. Su questo la crisi potrebbe diventare davvero grave, altro che Isis.

 

foto: Bruce Krasting/Flickr

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