• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Economia > Trump e l’impero dei dazi

Trump e l’impero dei dazi

Trump dà seguito alle minacce, il mondo continua a chiedersi se prenderlo alla lettera e seriamente. Dominare un blocco occidentale con metodi da stato canaglia appare la grande strategia americana, oligarchie finanziarie permettendo

Da quando Donald Trump ha messo piede per la prima volta alla Casa Bianca, a gennaio 2017, torme di analisti, commentatori e le cancellerie del pianeta si fanno la stessa domanda: va preso alla lettera e sul serio oppure no? Si è anche detto che Trump prospera nel caos e che “nessuno sa niente”, efficace sintesi per indicare il senso più generale di questa fase storica, dove tutti cercano disperatamente di razionalizzare gli eventi e a ricondurli a un filo logico e spesso si scade nel cospirazionismo che coglie ogni volta che si cerca di associare un teleologismo ai fatti, anche quelli più slegati tra loro.

Trump ha dato seguito alle promesse, con dazi generalizzati del 25 per cento su Canada e Messico e un ulteriore 10 per cento alla Cina, che appare l’antipasto oppure una delle portate del piano per sigillare definitivamente l’interscambio commerciale con Pechino. Mio spoiler: impossibile che accada e, se dovesse accadere, sarebbe l’equivalente di un esito bellico. La Ue attende il proprio turno, tra il rassegnato e il pugnace.

Diciamo subito, anche a beneficio di qualche Rampini che passa e che si issa in cattedra di economia, che questi tariffe “blanket“, cioè su tutto, sono un animale completamente diverso, e molto più pericoloso, di quelle selettive che Trump attuò a inizio del suo primo mandato. Quindi, fare parallelismi non serve a nulla se non a segnalare la scarsa comprensione degli eventi da parte di chi li compie.

Trump ha giustificato i dazi ai partner continentali, coi quali ha rinegoziato il Nafta anni addietro, con l’esigenza di bloccare il flusso di stupefacenti e immigrazione. Uno strumento assai grezzo per obiettivi mirati e che si possono anche considerare non pienamente sotto il controllo del destinatario delle misure. Soprattutto, sufficientemente indeterminati sul piano quantitativo da poter essere ritirati e, se del caso, riproposti.

La mossa spiazza anche i suoi cosiddetti collaboratori, il cui ruolo è in realtà quello di meri esecutori della sua volontà. Così, il Segretario al Tesoro, Scott Bessent, resta a domandarsi, assieme a tutti gli altri, se questi dazi saranno utilizzati “solo” come leva negoziale oppure come fonte di presunte entrate strutturali per il governo federale. Pare incredibile che ci sia qualcuno a dare credito a questa interpretazione, cioè che creda davvero che le entrate da dazi servano a sostituire quelle da imposte sul reddito, ma tant’è.

La teoria dice che i paesi colpiti da dazi dovrebbero astenersi da rappresaglie, e in tal modo si avrebbe come esito la neutralizzazione della misura, attraverso un aumento dell’inflazione americana e un rafforzamento del dollaro dai due canali: meno deflussi per pagare le importazioni e aumento dei rendimenti indotto dalla stretta monetaria necessaria a contrastare l’inflazione causata dai dazi. La realtà, molto umana, è che i modi e le forme usate da Trump non possono esimere i paesi colpiti ed i loro governanti pro tempore dal mettere in atto una ritorsione che è frutto di orgoglio nazionale e, usiamo pure questo termine, patriottico.

Dollaro da libro di testo

La prima reazione del mercato è stata quella di rafforzare vistosamente il dollaro, soprattutto contro euro, a conferma che l’Eurozona rischia di essere la maggiore vittima di una campagna massiva e indiscriminata di dazi. Non stupisce, vista l’entità del surplus europeo, immagine di un modello di sviluppo che è la prima vittima del ritorno a una logica di blocchi.

Interessante il fatto che lo stesso Trump abbia detto (sui social) che la manovra può -forse- causare dolore nel breve termine ma è la via per la ormai famosa “età dell’oro” promessa ai suoi connazionali. Altrettanto interessante è il fatto che le importazioni di petrolio canadese (il 55 per cento del totale statunitense, nel 2024) siano per ora colpite da un dazio di “solo” il 10 per cento. A conferma che Trump vuole usare una specie di cautela visto che le raffinerie americane, anche a causa della loro vetustà, lavorano soprattutto con tipi di greggio pesante come quello canadese e non con quello leggero estratto dagli scisti.

Pare di poter intuire che obiettivo di Trump sia quello di creare una Dottrina Monroe agli steroidi, “l’America agli americani”, cioè riprendersi il canale di Panama e chiuderlo o limitarlo a transiti non graditi, prendersi la Groenlandia e usarla come gigantesca base militare oltre che mineraria, associare in qualche modo il Canada all’Unione e creare un enorme blocco continentale con cui successivamente dominare il pianeta. Oppure spartirlo con i cinesi, dopo aver consolidato le aree di dominio imperiale. Scenario plasticamente suggestivo nella sua crudezza e velleità.

Che accade, ora? Premessa la nuova formula che diverrà il mio motto (“nessuno sa niente”), credo sia importante che Trump abbia colto che il viaggio verso la Terra Promessa implica anche momenti difficili per chi lo compie, la famosa transizione. E infatti già si levano proteste dalle file delle imprese americane e, timidamente, anche da esponenti del partito Repubblicano. Trump potrebbe usare dazi draconiani applicati per breve termine, accettare concessioni più o meno minori e dichiarare vittoria, battendo in ripiegamento tattico.

Ma la stessa possibilità che egli possa ritirare le misure, dichiarandosi soddisfatto da qualche esito favorevole o presunto tale, ma che possa in seguito reiterarle per raggiungere altri obiettivi, rischia di inoculare veleno nell’economia mondiale, paralizzando gli investimenti a causa dell’estrema incertezza che una condotta così erratica produrrebbe.

Uno stato canaglia alla guida d’occidente

Per non parlare del rischio di avventurismo militare, per prendersi con la forza il canale di Panama o la Groenlandia. Il fatto che il Pentagono sia oggi guidato da un personaggio come Pete Hegseth, non rassicura. Ma in generale non rassicura quello che sapevamo e che abbiamo futilmente tentato di esorcizzare: il Trump 2 è basato sul lealismo più spinto ed è, repetita, un animale completamente differente e ben più pericoloso del Trump 1.

Il fatto che il dollaro abbia risposto come da libro di testo alle prime tariffe di Trump, rende credibile il passo successivo del percorso: il presidente ulula contro il dollaro forte e contro la Federal Reserve, chiedendo di abbassare i tassi altrimenti lo farà lui, con le buone o con le cattive. La lotta al Deep State, cioè a tutto e tutti quelli che ostacolano gli obiettivi di Trump, è ciò che rischia di distruggere il sistema di pesi e contrappesi di cui gli Stati Uniti vanno fieri da un quarto di millennio. Un Trumperor, presidente imperiale, è certamente nelle corde del personaggio.

Resta da capire quale potrà essere la reazione dei centri di potere economico se Trump decidesse che la transizione deve essere percorsa sino in fondo, disinteressandosi del dolore che infligge all’economia. Scenario che, in linea teorica, appare (appariva) improbabile perché si è sempre detto che Trump vuole piacere e compiacere, e una borsa che sprofonda nei gorghi della “transizione” non pare essere tra le cose che egli mette in conto. Ma, se così non fosse, se ci fossimo tutti ingannati su ciò che Trump vuole e rappresenta realmente, il risveglio potrebbe essere durissimo, per il pianeta.

A quel punto, le oligarchie finanziarie statunitensi potrebbero decidere che è giunto il tempo di agire per evitare il peggio. Regicidio e guerra civile? Calma, non andiamo troppo in là, questo è solo un esercizio teorico e di stile.

Come che sia, e in attesa di nuovi eventi, l’unica certezza è l’incertezza. Di certo c’è che il concetto di friendshoring, cioè di scambio tra paesi legati da presunte affinità culturali, è finito rapidamente nella pattumiera della storia. Un mondo, e soprattutto un emisfero occidentale, che si trovi a dover gestire quello che nel frattempo potrebbe diventare il più grande stato canaglia del pianeta, fondato sull’illusione che la forza basti e avanzi, è un luogo assai ostile.


  • Aggiornamento – I nuovi eventi sono arrivati molto rapidamente: la presidente messicana, Claudia Sheinbaum, ha annunciato un accordo con Trump che prevede che il Messico invii altre diecimila unità della Guardia Nazionale al confine settentrionale, che gli USA si impegnino a lavorare per impedire il traffico di armi pesanti verso il Messico, che i due paesi lavorino assieme su temi di sicurezza e commercio, e che di conseguenza le tariffe sono sospese per un mese. L’importanza della memoria storica: qualcosa di analogo era già accaduto nel 2019. Poche ore dopo, accordo dello stesso tipo col premier uscente canadese Justin Trudeau. La giostra si ferma, pronta a ripartire, come ho scritto qui sopra.

(Immagine generata con Grok)

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità