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Trame irachene nella crisi siriana

A prima vista l'evolversi della crisi in Siria dipana i suoi effetti anche nel vicino Iraq. Baghdad diventa così uno spettatore tutt'altro che disinteressato rispetto alla piega degli eventi. Ma ad uno sguardo più attento scopriamo che il rapporto di complementarità tra i due Paesi è esattamente rovesciato.

Il primo ministro Nouri al-Maliki e i partiti sciiti temono l'ascesa dei militanti sunniti in caso di sconfitta di Assad, così offrono sostegno diplomatico al regime affinché la situazione possa normalizzarsi e dunque risolversi in favore del presidente siriano. Allo stesso tempo, stanno favorendo l'afflusso di miliziani al fianco delle forze governative. Anni fa era la Siria ad inviare combattenti in Iraq contro l'invasore americano, soprattutto a beneficio dell'esercito del Mahdi di Moqtada al-Sadr. Oggi le parti sono invertite e sempre più iracheni sono coinvolti in Siria.

Le notizie di militanti iracheni impegnati dalla parte di Assad sono iniziate a circolare dopo che alcune bombe sono esplose in diverse località siriane. La sequenza parte con un un doppio attentato suicida a Damasco il 23 dicembre 2011, che ha ucciso 44 persone. Il 6 gennaio un altro ordigno è esploso in una zona residenziale della capitale mietendo altre 26 vittime. Il 10 febbraio un'esplosione in Aleppo ha fatto altri 28 morti.

Funzionari degli Stati Uniti si dicono convinti che dietro gli attentati ci sia la firma di al-Qaida in Iraq. Cosa indirettamente confermata da Ayman al-Zawahiri, che in un video di pochi giorni dopo ha incitato gli islamisti di tutto il mondo ad andare in Siria per rovesciare il presidente Assad. Nello stesso giorno, perfino il viceministro iracheno Adnan al-Assadi si è lasciato sfuggire che diversi jihadisti locali erano andati in Siria per partecipare alla lotta contro il regime di Assad - come confermato dagli Stati Uniti. Meno di 24 ore dopo, al-Assadi si è rimangiato tutto smentendo tale eventualità, così come quella di un contrabbando di armi in corso dall'Iraq alla Siria. Ma già nel dicembre 2011, la polizia di Ninive aveva segnalato un traffico di armi ed esplosivi tra la provincia e la Siria. Altri rapporti testimoniano analoghi traffici da altre località del Paese (qui qui).

Anche le tribù locali sostengono attivamente l'opposizione siriana. Ci sono state diverse manifestazioni in Anbar, a sostegno dell'opposizione siriana, come quella di Falluja del 16 febbraio e quella di Hit il 2 marzo. I residenti di al-Qaim, cittadina irachena vicina al confine, ammettono di aiutare i siriani per "restituire il favore" ricevuto ai tempi dell'occupazione americana. Fuori dal coro troviamo un gruppo di al-Anbar che si fa chiamare Libero Esercito Iracheno, formato da musulmani sunniti, il cui compito è monitorare il confine per porre fine a qualunque aiuto da parte di Baghdad a Damasco.

Riassumendo, oggi gli insorti iracheni utilizzano le stesse reti di comunicazione e trasporto percorse – in senso inverso – negli anni dal 2003 al 2008. Ne consegue che la crescente violenza in Siria è in parte frutto di un disegno tracciato dall'interno del vicino Iraq. Tutti a Baghdad sono interessati al corso degli eventi a Damasco: il primo ministro al-Maliki, al-Qaida, i trafficanti di armi, i sadristi. Ciascuno di loro ha qualcosa da guadagnare o proteggere. E finché l'instabilità permane, sempre più iracheni saranno incoraggiati a gettarsi nella mischia, alimentando così una spirale di violenza sempre più fuori controllo.

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