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Tra D-ire e F-are

 A metà degli anni Novanta, in una delle prefabbricate prove di dottorato italiche, a proposito della "Meccanosfera" con la quale si chiude il Mille Piani di Deleuze e Guattari, argomentai di una Psicosfera, vale a dire di un’interpretazione della realtà che, unitamente a quello di carattere più materiale e tangibile, tenga altresì in debita attenta considerazione il livello astratto delle questioni.


Su quel tipo di approccio ’misto’ cominciò a svilupparsi l’idea di una disciplina trasversale che leggesse il senso comune delle altre, che ne potesse tirare in qualche modo delle somme, stabilire dei nessi concettuali ed individuarne un filo conduttore; né più e né meno di quanto accade in verità fra tutte le modalità del dire e gli oggetti di cui il dire stesso argomenta. Il dire è sempre un interpretare finito che ritaglia una parte dell’Infinito e che non può non ’produrre’ in tal senso una cosiddetta ’tensione dialettica’ che si sviluppa nello spazio e nel tempo. 

Come insegnavano le antiche tradizioni filosofiche e come oggi ha riscoperto la moderna fisica subatomica, il dire e le ’sue’ scienze descrivono una cosa, ma quella stessa cosa della quale si dà in qualche modo conoscenza, continua a sfuggire quel ed ogni ulteriore dire finito. Non a caso, tutte le filosofie hanno continuato ad interrogarsi sulla stessa questione ’essenziale’: la dialettica fra finito ed Infinito.

Il D-ire è in tal senso il cammino interpretativo del linguaggio che, separandole, parla delle cose le quali continuano sempre a sfuggirgli. Anche la hegeliana distinzione fra l’intelletto separatore e la presunta ragione ’unificante’, non riesce a fermare la moderna ’assoluta’ perdita del senso. Il che non significa che non vi sia di ’quel senso’ una versione che si vuole e si impone come dominante. 

Di ’quel senso’ e del modo di de-tenerlo, si occupa la Psicosinergetica che, delle differenti discipline cerca la detta presunta ’ragione’ unificante in continuo D-venire, considerando che, oltre al problema dell’indagine sulla cosa e della sua provvisoria de-finizione, al dire si pone al contempo quello della complessa relazione fra le diverse cose.

Le Sens est la recherche du Sens è appunto lo ’slogan’ della Psicosinergetica.

Un ’fronte’ del pensiero ’critico’ ritiene che la forzatura in Uno di quella che Gabriel Tarde chiamava l’ "opposizione universale", insieme alla sua traslazione dal cosiddetto "piano d’immanenza" alla dimensione del cosiddetto trascendente, costituisca la ’matrice’ forte del pensiero conservatore. 

Al di là di come in ’materia’ ci si schieri, risulta di un certo interesse comprendere come viene gestita questa ’palla’ da parte dei nostri onorevoli de-legati e dall’entourage mediatico della ’loro’ in-form-azione.
Un vecchio testo di sociologia della comunicazione si intitolava, non a caso, La strategia del consenso.
Tutto sta a vedere quali sono il ’con’ ed il senso di quel certo D-ire.

  
Nell’insieme dei miei interventi che possiamo definire di carattere ‘teo-retico’ ho cercato di mostrare il senso del ‘dio-che-lega’ (ivi compreso quello bossiano) e dell’implicita fede che ne caratterizza il di-venire storico ed ho altresì D-mostrato quale sia la sua forma più essenziale: quella della relazione triadica fra i cosiddetti opposti. Su questa base concettuale nel 2006 presentavo alla Fiera del Libro la short-arT D’IO ed il mio ‘vangelo’ del terzo Millennio.

 

In CortocircuitOne. Storia di un’astrazione fatale sostengo appunto che al massimo può darsi D-mostrazione, vale a dire che che qualunque forma del dire qualsiasi cosa non può andare al di là della sua rappresentazione ‘tr-in-A’. Anche quando A dice se stesso, lo deve fare sdoppiandosi e relazionandosi con la sua autorappresentazione e ciò che ne deriva è una relazione fra due della quale si dà al contempo una qualche in-ter-p-ret-azione (altro termine che nella lingua italiana è carico di un’eccezionale potenziale evocativo).

 

Lo stesso Emanuele Severino, che identifica l’Io al Tutto “in un là che è anche il più vicino dei qui” (ricordando in tal modo l’Io assoluto dell’attualismo gentiliano), mentre equipara Io e Tutto, ne deve riconoscere lo sviluppo nella storia dell’apparire. L’Io ed il Tutto, ancorché il loro divenire inteso in termini non nichilistici ponga il centro a ‘garanzia’ dell’eternità di entrambi, stanno in una relazione che si determina nella storia dell’apparire. 

 

Il centro è tradizionalmente il ‘luogo’ di convergenza dei due, il terzium che per Hegel ‘produce’ la cosiddetta sintesi dialettica, mentre per Derrida, pur essendo dato, non produce alcuna sintesi. Per entrambi i filosofi il centro risulta tuttavia l’immobile motore delle cose, ancorché propriamente il centro si ‘trovi’ ad infinitum e di fatto non si trovi mai.


Dove si trova dunque il centro del quale ci dice Casini ("Io centro") ora che non parrebbe più coincidere con quello celeste berlusconiano? E questa nuova visione del centro con quale altra sfumatura di colore si accompagna adesso? Forse con un rosa carne in omaggio ai segreti che in essa cercava l’ultimo Foucault? 
 

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