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Thyssen ed Eternit: giustizia che funziona?

Le recenti decisioni sui casi Thyssen ed Eternit sono state definite come storiche e portate ad esempio di una Giustizia che funziona. Questo genere di “trionfalismo” lascia l’amaro in bocca: in un Paese civile il riconoscimento dei diritti dovrebbe essere la regola. Ma soprattutto le sentenze, per quanto importanti, non sono indice di superamento di quei mali della Giustizia che hanno, invece, radici profonde.

La sentenza Eternit – indipendentemente dall’esito e da eventuali riforme o conferme nei gradi di giudizio successivi – avrebbe già dovuto trovare posto negli archivi del Tribunale da almeno qualche decennio. Anzi! L’intervento degli Organi Amministrativi di Controllo e Prevenzione (prima ancora di quello della Magistratura) avrebbe dovuto realizzarsi quando ancora era possibile evitare  ulteriori morti. Almeno se dobbiamo riconoscere un senso alla parola “prevenzione”.

La sentenza Thyssen non è una decisione così clamorosa. I Giudici hanno analizzato e considerato una serie di “fatti” e li hanno ricondotti, con la tecnica giuridica a loro riservata dai codici, ad una norma che punisce una certa condotta.

Con questo non si vuole affatto “minimizzare” un lavoro che è stato complesso, difficile e svolto certamente in condizioni precarie. Alle spalle di pronunce come quelle citate – e di altre che non hanno ricevuto pari eco mediatica – vi è l’impegno duro e faticoso dei Magistrati, degli Avvocati e di tutti coloro che, a vario titolo, hanno operato. Ciascuna delle storie che abita il palcoscenico del processo ha dei personaggi “nascosti” che soffrono, piangono, urlano, sorridono di fronte ad una speranza o stringono il dolore dell’anima davanti ad una delusione.

Il Dott. Guariniello ha affermato – in un intervista a Rai News del 13 febbraio – La sentenza non può ridare i morti ai parenti , ma essi possono ora ottenere il giusto risarcimento. Analoghe considerazioni erano state espresse dal Magistrato in occasione del processo Thyssen con la precisazione che una decisione non sancisce affatto una “vittoria”.

La dignità e la compostezza delle reazioni non sono certo ragione di stupore per l’ambiente giudiziario torinese. La magistratura e l’avvocatura del capoluogo piemontese è testimone una lunga storia di autonomia, indipendenza e correttezza nei ruoli e nella professionalità. Certamente con problemi antichi e contingenti, errori e conseguenze negative per il grave deficit culturale che, ad onor del vero, investe l’intero tessuto sociale.

Un rammarico deriva dalla scarsa considerazione che i giornali ed i media hanno avuto per il ruolo dell’avvocatura. Non si tratta di una “colpa”, ma dell’atteggiamento culturale che caratterizza nel nostro Paese la “narrazione” della cronaca giudiziaria. Gli avvocati – e non l’avvocatura – acquistano visibilità solo in occasione di processi di cronaca nera: quelli pruriginosi. La cui eco sovrasta, in negativo, il concetto di informazione e lascia squallide rappresentazioni di una realtà usurata dall’invadenza di attori affamati, spesso, di sola notorietà.

Gli avvocati della difesa e delle parti civili – sia nella vicenda Thyssen che in quella Eternit – hanno contribuito, con un lavoro altrettanto duro, difficile e faticoso di quello dei Magistrati, alla pronuncia. Così come saranno parte, nei successivi gradi di giudizio, dell’esito (di conferma o di riforma) del giudizio. Una sentenza è tanto più giusta e corretta quanto più vigorosa e convincente è stata l’opera di tutte le parti, perché la Sintesi alla quale è chiamato il Giudice non è altro che il risultato della Tesi e dell’Antitesi che Pubblico Ministero, difesa e parte civile hanno rappresentato.

In questo va riconosciuto il ruolo rociale dell’avvocato che di recente è stato ribadito dalla Corte di Giustizia Europea.

Invece nel nostro Paese è cresciuta una cultura del tifo nel processo con uno scambio di ruoli tra le parti francamente deprecabile. SI costruiscono i cattivi ed i buoni, gli antipatici ed i simpatici, i titolari del bene e del male; e così l’Avvocato è spesso il “cavilloso” che ottiene ingiustizia per il mostro o il Pubblico Ministero il persecutore ( generalmente accusato di partigianeria ). O al contrario l’Avvocato diviene il difensore del debole o il Pubblico Ministero il paladino delle vittime. 

Ma al di là di simili questioni è necessario chiarire che queste eccellenze non sono affatto sufficienti a dare speranza al sistema giustizia. Tanto meno segnano la strada di una “rinascita” .

I mali della Giustizia trovano loro precise allocazioni.

Innanzitutto, l’incapacità della politica di attuare riforme capaci di alleggerire il processo e le sue regole. Accanto a sistemi processuali bizantini nella loro struttura, vi sono anche singole disposizioni che non reggono all’evoluzione della società. L’elenco sarebbe eccessivamente lungo, ma viene da domandarsi la ragione per la quale il Parlamento, che pure raccoglie da sempre una pletora di magistrati, avvocati e tecnici, non sia mai riuscito a partorire una riforma, degna di questo nome, dei nostri quattro codici fondamentali. Civile, penale, procedura civile e procedura penale. Certamente deve essere esclusa l’incapacità tecnica, almeno per i componenti delle Commissioni a tal fine formate ed i cui progetti non hanno mai visto la luce dell’approvazione. A proposito di sprechi di denaro pubblico.

Per rimanere in tema alcune leggi sono state fatte: come quella che impone periodicamente la rotazione forzata dei magistrati. Proprio in forza di una di queste norme il Dott. Guariniello sarà, probabilmente costretto a buttare nei rifiuti il “know how” e le competenze acquisite.

Ma nemmeno la Magistratura è esente da specifiche responsabilità. L’ANM ascrive le disfunzioni della Giustizia alle strutture, alle risorse ed agli organici. E questo con frequenza orami quasi giornaliera.

Nel 2005 il Consiglio d’Europa ha per la prima volta, con una analitica ricerca comparativa, raccolto statistiche omogenee su alcuni aspetti dei sistemi giudiziari di 40 paesi europei. Il risultato che ne emerge tuttavia non smentisce quello che già si poteva dedurre dai frammentari e poco omogenei dati provenienti da fonti eterogenee: la spesa pubblica per giustizia in Italia non è affatto bassa, se confrontata con quella degli altri paesi europei, che pure hanno performance in termini di lunghezza dei processi molto migliori.

Svezia, Germania e Olanda che – secondo i dati della Commissione Europea – svolgono i processi civili in meno di metà tempo di quanto necessario in Italia per cause di analogo contenuto, impegnano risorse pubbliche assai prossime a quelle italiane (44 euro per abitante in Svezia, 53 in Germania, 41 in Olanda e 46 in Italia). Ciò dovendo altresì considerare che i magistrati italiani percepiscono uno stipendio del 30% superiore a quello dei colleghi francesi e in percentuale minore anche rispetto a quello dei tedeschi e spagnoli. E fruiscono di un periodo di ferie maggiore di ogni altro magistrato o lavoratore europeo ( 45 giorni più 6 per festività soppresse ).

Lo stesso merito nell’avanzamento della carriera costituisce poco più che un illusione: le funzioni apicali vengono comunque riconosciute a tutti i Magistrati. A ciò si affianca l’elevatissimo numero di incarichi extragiudiziari (pubblicati con riferimento semestrale nel sito del CSM) che sottraggono non poche ore all’impegno professionale.

Il Tribunale di Bolzano costituisce un esempio di corretta gestione degli Uffici Giudiziari con un risparmio, rispetto alla media nazionale di oltre il 50%. Non è un caso che il Presidente si sia autodefinito “Amministratore”, con ciò sottolineando l’importanza che la gestione e l’organizzazione della struttura venga rimessa ad un manager e non ad un Magistrato.

Forse sarebbe stato auspicabile una minore resistenza dell’ANM all’ingresso nei Tribunali di manager professionisti.

Non può certo definirsi completa questa analisi (occorrerebbe ben altro spazio). E’ invece sicuro che in Italia la volontà di intervenire con responsabilità e competenza sui problemi, compreso quello della Giustizia, trova sempre un invalicabile muro di gomma.


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