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That’s the spirit! … ovvero l’America ancora una volta in cattedra!

Con il passaggio della legge sulla riforma della Sanità pubblica statunitense, è stato fatto un grande passo storico nella gloriosa storia democratica di questa grande democrazia, che nel bene e nel male ha sempre dimostrato di sapersi mettere in discussione e fare passi indietro quando è stato necessario farli per il bene della nazione e, cosa molto più importante, per il bene di quelli che sono più poveri, bistrattati, messi ai margini, e che per lungo tempo, spesso, non hanno avuto voce in capitolo.

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando i padri pellegrini fondarono nel 1620 a Plymouth nell’attuale Massachusetts il primo nucleo di quello che sarebbe stato il fulcro storico-ideologico della nazione americana.

 

È chiaro che dalla Repubblica di Platone, passando per la Costituzione degli Ateniesi di Aristotele, attraverso la Città del Sole di Fra’ Tommaso Campanella, per giunger all’Utopia di Sir Thomas More, arrivando infine a De Tocqueville, in molti hanno provato a teorizzare o a delineare la società perfetta, ma questa è stata sempre lungi dall’essere realizzata.

In poche parole, la società perfetta non è mai esistita finora - eccetto forse in qualche angolo di foresta sperduta nel Borneo o nell’Amazzonia - né esisterà mai forse!

Ma ho sempre ammirato quelle società che osano mettersi in discussione, fare ammenda di errori, mettere alla berlina i propri rappresentanti, se indegni della carica che ricoprono, come il caso del presidente Nixon con il Watergate case ha già insegnato.

Cose come l’abolizione della schiavitù, le leggi antitrust di fine ‘800, il portentoso Social Security Actl’abolizione della vergognosissima segragazione razziale - che vigeva ancora negli Stati del sud degli USA fino agli anni ’60 - l’elezione a presidente di un uomo di colore hanno segnato il passo in tutta la storia non solo della nazione, ma anche di tutta la storia dell’umanità.

Visti i fatti qui citati è inevitabile scadere nella retorica, ma mi si conceda di dire, che pur sembrando questa un’apologia dell’America - la quale nelle politiche mondiali attuali ha colpe storiche gravissime e compromettenti - non è nient’altro che la spassionata presa di posizione verso un atteggiamento che ha del portentoso.

Pensate, fino a circa 50 anni fa le persone di colore negli Stati del sud come l’Alabama o la Louisiana non potevano avere gli stessi diritti, come sposarsi con chi volevano, avere medesimi servizi dei bianchi, come sedere sulle stesse seggiole sui tram o usare le stesse toilettes, ora invece, una persona di colore siede sul seggio più importante di questo globo, essendo de facto e per delega del suo popolo la persona più influente e potente degli USA - ed anche del mondo.

Niente male! Davvero!

Fino a meno di 170 anni fa circa le navi negriere facevano ancora quasi impunemente la spola fra le coste del continente americano e la Costa degli Schiavi, ed ora Barack Obama, un nero, è il Presidente degli Stati uniti d’America.

Non è tanto il fatto in se stesso che impressiona, ma la capacità straordinaria di un popolo capace di attuare e metabolizzare siffatti cambiamenti in poco tempo. Immaginatevi voi un immigrato di colore della seconda generazione delle banlieue parigine sedere sull’alto scanno dell’Eliseo! O un figlio di extracomunitari eletto alla carica di Presidente del Consiglio in Italia!

Già con questo ennesimo cambiamento l’America ha dato una lezione a tutti, ma lo ha fatto anche pochi giorni fa varando la legge, conosciuta come Health Care Reform Bill, che è stata una legge cercata - ma mai arrivata ad un’approvazione - da tutti i presidenti democratici da Theodor Roosvelt (ex repubblicano al quel tempo progressista) dal 1912 in poi.

Era il grande neo della società americana, che vedeva la più illustre democrazia della terra lasciar letteralmente morire quei poveri sfortunati malati che non erano capaci di pagarsi l’assicurazione sanitaria perché troppo alta, senza cure. Per noi certamente tale cosa era ed è impensabile, ma come ho detto, la società perfetta non è mai quasi esistita, se non nel mito.

Questo però dimostra la capacità di un paese di attuare cambiamenti epocali che coinvolgono la vita di 32 milioni di persone direttamente e di tutta la nazione in altri modi.

Dal punto di vista umano è una prova che la società può riacquistare, quando vuole, la sua antica connotazione di societas”, ossia di alleanza a scopo di supporto reciproco tra individui, che poi sia ancora da dimostrare la resilienza economica della società americana dovuta a questo evento, questo appare chiaro.

Tuttavia lasciatemi dire che gli Stati Uniti d’America sono per l’ennesima volta saliti sul più alto scanno della humana civitas per fare scuola di cambiamento. In questo caso devo dire che l’On. Veltroni aveva visto bene nell’appropriarsi legittimamente di uno slogan come “Yes we can!” che, mentre per noi è rimasto lettera morta, perché siamo ancora troppo “piccoli” per capirne il vero significato, per quelli che ci hanno creduto veramente ha segnato l’inizio di un cambiamento, non solo storico, ma anche sociale e strutturale.

Approderà mai sulle coste dell’Italia la nave del vero cambiamento ?

Thank you Mr. President Obama for this last lecture of yours!

 

 

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