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Thailandia, rischia 30 anni di carcere per “lesa maestà”

 

Somyot Prueksakasemsuk, giornalista, sindacalista e difensore dei diritti umani della Thailandia, è in carcere da 17 mesi ma rischia di passarne molti di più, fino a 30 anni, a causa del famigerato articolo 112 del codice penale, che proibisce ogni azione o parola che “diffama, insulta o minaccia il re, la regina, gli eredi al trono o il reggente”. La pena varia da tre a 15 anni, che vanno moltiplicati per ogni atto di “lesa maestà”.

I giudici thailandesi fanno largo uso di questo articolo, un attacco alla libertà d’espressione sancita da accordi internazionali che il paese asiatico ha sottoscritto ed è vincolato a rispettare. L’anno scorso, fece scalpore la storia di un pensionato di 61 anni ammalato di cancro, condannato a 20 anni di carcere (cinque anni per ognuno dei quattro sms inviati) e poi morto dietro le sbarre.

Somyot Prueksakasemsuk è stato arrestato nell’aprile 2011 a causa di due articoli giudicati offensivi verso la monarchia. Cinque giorni prima dell’arresto, aveva lanciato una petizione online per chiedere una revisione parlamentare della legislazione sulla “lesa maestà”.

Per 11 volte, la magistratura thailandese ha respinto le richieste di concessione della libertà provvisoria. Da ultimo, il 18 settembre, i giudici hanno cancellato un’udienza fissata per il giorno dopo, senza fornire spiegazioni e senza fissare un’altra data.

Le organizzazioni della società civile thailandese, i familiari delle persone condannate per “lesa maestà” e i comitati delle Nazioni Unite che si occupano di diritti umani chiedono da tempo una modifica o l’annullamento dell’articolo 112 e della legge sui crimini informatici del 2007, che punisce la “lesa maestà” online.

Quattro imputati di “lesa maestà” in attesa del processo, tra cui lo stesso Somyot Prueksakasemsuk hanno chiesto alla Corte costituzionale di pronunciarsi sulla compatibilità o meno di questa legislazione con gli articoli della Costituzione che garantiscono la libertà d’espressione e di stampa.

Un gruppo di organizzazioni internazionali per i diritti umani (l’Organizzazione mondiale contro la tortura, la Federazione internazionale per i diritti umani, la Campagna abiti puliti, Amnesty International, Freedom House e Civil Rights Defenders) hanno chiesto alle autorità thailandesi il rilascio immediato di Somyot Prueksakasemsuk.

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