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Terremoto Abruzzo: una giornata al campo

Sono passati circa settanta giorni, dalla notte del terremoto in Abruzzo.

L’interesse, come prevedibile, si è affievolito, ma gli effetti restano. I terremotati abruzzesi hanno paura di tornare alle loro case, preferiscono vivere nelle tendopoli. Immaginate queste ampie aree di erba, oramai gialla e secca, costellate da tende blu. Il sole che picchia dalla mattina alla sera. L’aria irrespirabile e nulla da fare. Eppure questo paesaggio è preferibile al tornare alla propria casa, anche se completamente agibile. Quello che spaventa è il ricordo di quella notte. La fuga, la sensazione di impotenza. Quello che scrivo non sono supposizioni ma sono le sensazioni, le parole delle persone che ho incontrato al campo di Civitatomassa, piccolo borgo arroccato negli appennini a 10 min da L’aquila.

Il bus mi lascia alla periferia de L’aquila. Qui i palazzi sono tutti intatti. Ci sono hotel, case basse, nulla di visibilmente distrutto. Tiro un sospiro di sollievo, e mi avvio alla tendopoli di questa piccola frazione di Scoppito.

E’ una tendopoli piccola, in partenza raccoglieva circa 250 sfollati. Ora alcuni hanno abbandonato il loro posto in tenda. In realtà la maggior parte degli abitanti di questo campo ha la casa agibile, ma la paura di quei giorni è ancora troppo viva. E’ una paura talmente irrazionale da non poter essere capita da chi non ha vissuto quei momenti, tanto radicata da far preferire una brandina in una tenda afosa alla propria camera da letto.

Oramai le tende sono la loro casa, anche se ad oggi sono usate esclusivamente come “zona notte”. Sono abbastanza ampie tanto da contenere un massimo di 8 brandine e lasciare un corridoio in mezzo di oltre un metro. Per fortuna sono state equipaggiate di un piccolo condizionatore - chi è stato in campeggio conosce l’invivibilità delle tende dopo le 7 del mattino- Ma nonostante il piccolo refrigerio concesso è abitudine svegliarsi completamente madidi di sudore. Il resto della giornata si svolge all’aperto, o al massimo nel tendone principale che ha svolto funzione di scuola fino alla settimana scorsa, ma funge soprattutto da refettorio e da area di intrattenimento.

Immaginate gruppi di bambini di qualunque età senza televisione, videogiochi, computer, che devono occupare in qualche modo la giornata. E qui si inseriscono le attività delle scuole estive e degli scout. I gruppi scout si alternano settimanalmente, oltre a una mano pratica e logistica, hanno l’arduo compito di intrattenere grandi e piccini. Per fortuna c’è il sole e i giochi d’acqua sono sempre ben accolti dai bambini.
L’ora del pranzo permette di vedere tutta la comunità al completo. Una squadra di carabinieri si occupa della cucina. Sono affascinata dalla struttura così perfetta e complessa della cucina da campo e mi viene prontamente specificato che è costosissima. Non esistevano queste cucine negli anni ’80? - chiedo. Mi rispondono: Non esisteva nemmeno la Protezione civile...

Infatti, è nata proprio a seguito del devastante sisma che ha colpito la mia Irpinia. Esperienza che non ho vissuto in prima persona, ma di cui ho visto gli effetti, sulle cose e sulle persone.

E’ inevitabile pensare alla mia famiglia nella stessa situazione che ora mi trovo davanti, a quanto più disorganizzato e difficile doveva essere stato il soccorso.
A pranzo ne approfitto per chiacchierare con degli adulti, tornati al campo dai loro impegni. L’argomento è tutt’altro che frivolo: Futuro.

Proprio questa mattina è stato comunicato che chi abbandona il campo, perde il diritto al vitto.

Ora, la maggior parte degli abitanti della tendopoli di Civitatomassa ha casa agibile, tuttavia sono senza lavoro. I dipendenti sono stati cassaintegrati, ma negli ultimi due mesi non è arrivato ancora un soldo. Come può una famiglia mantenersi e andare avanti senza entrate?

Se così è, meglio rimanere alla tendopoli finchè non cominciano ad arrivare soldi.
E quelli che sono lavoratori autonomi? Quelli che hanno perso la loro attività?
Lo stato offriva a chi restava nella propria casa dopo il sisma solo cento Euro al mese. E invece quelli che stavano negli hotel costavano allo stato oltre quaranta Euro al giorno.

Per fortuna, chi aveva la seconda casa costiera, per paura che gli venisse tolta ha deciso di abitarla, lasciando spazio a chi aveva davvero bisogno.

Il paradosso è stato ascoltare parlare di mutuo, per case oramai inabitate. Lo stato ha concesso la sospensione fino a dicembre, nella speranza che entro dicembre siano tutti reintegrati nei loro posti di lavoro. Ma è davvero possibile? Nelle piccole realtà montane abruzzesi, sono pochi i lavoratori dipendenti. Sono per lo più commercianti con piccole attività che ora si ritrovano nella migliore delle ipotesi ad avere un negozio in un paese deserto, e nella peggiore ad aver perso anche il negozio.



La conversazione si è interrotta nel momento in cui, due dei miei interlocutori si sono alzati dicendo: “Devo andare a metter su un po’ di pietre per la nuova casetta”.
Così ritorno dai bambini e vengo reclutata dagli scout per aiutarli nell’allestimento di un’attività, era una vita che non lavoravo coi bambini e avevo dimenticato quanto fosse paradossalmente rilassante.

In lontananza vedo delle case, vengo così scortata fino al paese. E’ un borgo antico, le case in pietre grosse, la chiesetta pericolante e la piazza nuova costruita di recente sul pizzo della collina. E’ deserto. Qualche tegola pericolante, altre rotte sul ciglio della strada, porte chiuse, finestre oscurate.

Poi all’improvviso due donne con una carrozzina. Ci sorridono e continuano la loro passeggiata.

Tutto sommato i bambini stanno bene, è come un lungo, infinito campo estivo. Giocano, si divertono, corrono, urlano, scherzano: hanno inscenato anche un terremoto mentre ero seduta a pranzo, muovendo le panche e i tavoli. Scherzo mal riuscito, ma che mi ha lasciato basita.

Alcuni di loro devono sostenere questa settimana l’esame di terza media, tutto orale. Niente scritti.

Le nonne siedono all’ombra delle tende o dei pochi alberi, in cerca di fresco. Cuciono o leggono sonnecchiando cullate dal vento.

La giornata volge al termine, sono contenta di vedere che c’è tanta voglia di divertirsi e attivarsi per il futuro. Non ho visto nessuno lamentarsi della propria situazione e questo mi tranquillizza. Probabilmente io non sarei così serena a passare le mie giornate nella tendopoli.

Arriva Luisa, una ragazza della mia età che si è offerta di accompagnarmi al bus per tornare a casa.

Ha appena sostenuto un esame, in tenda ovviamente. La sua facoltà è completamente distrutta. Mi dice che non vuole passare dentro L’aquila e farà la strada più lunga. Tuttavia lo spettacolo lungo la strada non è meno triste. Luisa comincia ad indicarmi case, o meglio cumuli di macerie che una volta erano case. Il mio cervello non riesce a ricostruire l’immagine di un edificio guardando quell’ammasso informe di pietre.”Ma davvero era una casa quella?”- chiedo. E’ come se sotto quel tetto in pezzi non avesse mai abitato nessuno. Sono molte le case completamente crollate. “Lì – mi dice- e’ morto il proprietario della pompa di benzina, che adesso è chiusa”.

Io resto muta e ferma per tutto il tragitto, finchè non si susseguono una serie di palazzoni, alti quattro o cinque piani, completamente intatti, ma con il primo piano totalmente sventrato. Vedo la libreria, il divano, il tavolo il bagno tutto coperto di calcinacci. Nessuna parete esterna è salva.

Poi una casa senza tetto, e un’altra con solo la facciata davanti intatta.

Continuo a pensare alla mia città. Sono cresciuta con le macerie di un asilo davanti la finestra. Asilo che è stato finalmente ricostruito solo quest’anno dopo 29 anni.

Tuttavia mi fanno costatare che da quando c’è stato il terremoto la costruzione delle case è diventata velocissima. Sono tantissimi i cantieri attivi e nel giro di due mesi sono stati tirati su molti edifici. Mi auguro davvero che non dovranno aspettare 29 anni per la costruzione di una nuova casa.


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