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Terapie riparative: una forma raffinata di perversione

Sono passate più di tre decadi dal momento in cui la comunità scientifica internazionale ha messo fine a teorizzazioni ed indicazioni diagnostiche (gravate dal pregiudizio) che tratteggiavano l'omosessualità come una forma di psicopatologia ed invocavano, indirettamente e talvolta non, una cura.
Nel 1920 è stato lo stesso Freud, celebre neurologo e psicoanalista austriaco a scrivere: "L'impresa di trasformare un omosessuale in un eterosessuale
non offre prospettive di successo molto migliori dall'impresa opposta".
 
Senza per forza scomodare Freud, e al di là del senso comune e dei salotti televisivi, una vasta schiera di studiosi del comportamento sessuale, psicologico e affettivo umano hanno mostrato, attraverso studi culturali e scientifici, che l'omosessualità non è una patologia, ma una variante della sessualità, dell'affettività e del desiderio sessuale umano.

Le terapie riparative giustificano la loro esistenza sulla base di teorie (false perché non dimostrate attraverso studi clinici e riconoscimenti della comunità scientifica internazionale) sullo sviluppo sessuo-affettivo e relazionale infantile, e sono chiaramente una forma di pregiudizio anti-omosessuale.

 
Gli psicologi della riparazione sostengono che l'omosessualità sia l'esito di un trauma dovuto alla presenza di genitori disfunzionali, che avrebbero determinato una distorsione e ribaltamento delle componenti maschili e femminili della personalità dell'individuo: una carenza di mascolinità nell'uomo, e una carenza di femminilità nella femmina.
 
Nel 2002 Shidlo e Schoeder hanno condotto uno studio su circa 200 soggetti omosessuali che si sono sottoposti a terapia riparativa. In particolare lo studio in questione si è posto l'obiettivo di analizzare le motivazioni che spingevano queste persone ad intraprendere una terapia con la richiesta terapeutica di convertire il proprio orientamento sessuale da omosessuale in eterosessuale.
 
Il senso di colpa e la paura della dannazione, i sentimenti di ansia e angoscia per sentirsi rifiutati dal proprio gruppo di appartenenza (famiglia, gruppo di amici ecc..) e la salvaguardia del matrimonio sono tra le principali motivazioni che hanno spinto queste persone ad iniziare un percorso riparativo, che nell'87% dei casi è stato dichiarato un fallimento a causa dell'intensificazione della sintomatologia depressiva ed ansiosa e la comparsa, nel 70% dei casi di nuovi sintomi, quali comportamenti compulsivi, autolesivi, ed ideazione o tentativi di suicidio. Un vero e proprio peggioramento, al di la della perdita di tempo e dei soldi spesi inutilmente.
 
Le terapie riparative garantiscono - ad una raffinata schiera di omofobi - di mantenere e di poter credere che la sessualità umana sia in bianco e nero (eterosessuale sano ed omosessuale dis-ordinato). Nei soggetti dello studio pubblicato nella rivita Professional Psychologyla comparsa di nuove sintomatologie a conclusione delle presunte terapie riparative è dovuto ad un capovolgimento del ruolo del terapeuta, che abbandona la convinzione che l'omosessualità sia una condizione assolutamente normale e naturale e si allinea agli stereotipi e pregiudizi sociali contro l'omosessualità che rinforzano l'odio e il dispresso di Sè, spesso provati dagli stessi pazienti omosessuali (a seguito dell'interiorizzazione di stereotipi e pregiudizi che il contesto sociale utilizza per definire la loro identità).
 
Un adeguato intervento clinico mira ad aiutare il paziente o la paziente omosessuale a liberarsi il più possibile dai conflitti che interferiscono con la sua capacità di vivere una vita gratificante in conciliazione con la propria identità ed orientamento sessuale.

Le terapie riparative non sono altro che una forma di perversione che propone una struttura rigida e una visione della sessualità umana innaturale. La sessualità è un sentiero emozionale, relazionale, affettivo che una visione in bianco e nero non può riconoscere. Le terapie riparative non riparano nulla, non funzionano, non correggono, non curano, ma sono strumenti perversi che aiutano a mantenere la convinzione delirante di un mondo in bianco e nero, dove spesso l'avversione verso il proprio orientamento sessuale viene alimentata su una dimensione valoriale di matrice religiosa.

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