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Teatri occupati: l’altra protesta, per l’arte e la cultura

Il movimento dei forconi, la protesta degli autotrasportatori, lo sciopero dei benzinai, i tassisti che insorgono. In questi giorni l'Italia è scossa da una corrente di dissenso che si manifesta in modo prepotente, creando disagi e qualche perplessità. Ma ci sono altre voci che vogliamo ascoltare, che non dimentichiamo, voci che da tanto portano avanti una protesta per certi versi antitetica e sicuramente altrettanto importante, direi fondamentale.

Mi riferisco ai tanti giovani, lavoratrici e lavoratori dello spettacolo, artisti, tecnici e operatori, stabili e precari che conducono un'instancabile protesta in nome dell'arte e della cultura.

Hanno occupato il Teatro Valle di Roma il 14 giugno dello scorso anno, perché “non trovando più nei referenti politici di destra e di sinistra alcuna legittimità come interlocutori, hanno dato voce all’esigenza di ripensare dal basso nuovi modelli di politiche culturali nel paese".

Le ragioni che hanno spinto alla protesta sono molteplici: a seguito del Decreto Legge n. 78 del 31 maggio 2010 recante "Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica", che ha sancito la soppressione dell'ETI (Ente Teatrale italiano), è ormai alto il rischio che il teatro venga affidato a privati che potrebbero snaturare lo spirito con cui questo spazio è stato concepito. Non sono chiari infatti i criteri di selezione per un prossimo eventuale bando pubblico né tanto meno esiste un progetto artistico trasparente o garanzie di copertura economica per chi lavora nel mondo dell'arte.

Queste ragioni hanno spinto gli attivisti del teatro Valle alla stesura di uno statuto ad elaborazione collettiva e pubblica che permettesse la costituzione di una "Fondazione teatro Valle bene-comune". 

 Il 13 e 14 gennaio scorso è stata avviata una campagna di raccolta fondi: 10 euro per diventare soci della fondazione e tanti volti noti alla serata inaugurale (Valerio Mastandrea, Daniele Dilvestri, Rocco Papaleo e Giovanna Marini tra gli altri). 

Il progetto di stesura dello statuto è interessante: on line è presente l'ultima bozza risalente al 20 dicembre 2011 che è possibile commentare punto per punto semplicemente evidenziando la parte di testo per la quale si desidera contribuire e inserendo nella casella il proprio commento accompagnato dal proprio nome e dal proprio indirizzo mail.

Perché teatro Valle bene-comune? Perché, come recita lo statuto in bozza "Il bene comune non è dato, si manifesta attraverso l’agire condiviso, è il frutto di relazioni sociali tra pari e fonte inesauribile di innovazioni e creatività. Il bene comune nasce dal basso e dalla partecipazione attiva e diretta della cittadinanza. Il bene comune si autorganizza per definizione e difende la propria autonomia sia dall’interesse proprietario privato sia dalle istituzioni pubbliche che governano con logiche privatistiche e autoritarie i beni pubblici". 

Perciò viene proclamato che "i beni comuni – ivi compreso il Valle - vanno posti fuori commercio perché appartengono a tutti, ossia all’umanità nella sua interezza e sono radicalmente incompatibili con l’interesse privato al profitto e alla rendita".

Tra i vari traguardi che con questo statuto si auspica ottenere spicca quello di istituire "borse di studio e premi a favore di giovani lavoratori dello spettacolo e della conoscenza italiani e stranieri nelle discipline di sua competenza, anche per scongiurarne la dispersione e favorirne l’ingresso nel mondo del lavoro a difesa dei beni comuni della conoscenza critica e indipendente".


Domenica 29 gennaio si è tenuto un incontro presso il Museo Madre di Napoli, a rischio costante di chiusura, in collaborazione con La Balena, collettivo dei lavoratori dello spettacolo e della cultura, per aprire un dibattito sulle "nuove visioni per una politica culturale condivisa e autonoma da interessi di parte" dove sono intervenuti, tra gli altri, alcuni rappresentanti dell'ex Cinema Palazzo (attualmente Sala Vittorio Arrigoni) di Roma e del teatro Coppola di Catania.

L'obiettivo dell'incontro, che si è tenuto occupando una zona del Museo a seguito di revoca dell'ultimo momento dell'autorizzazione da parte del cda della fondazione, era quello di aprire un dibattito sulle "nuove visioni per una politica culturale condivisa e autonoma da interessi di parte”, partendo dalle esperienze dei teatri occupati e dall'occupazione simbolica dei cantieri della Zisa a Palermo, il cui obiettivo primario è quello di riaprire spazi come la sala cinematografico Vittorio De seta, perché "realizzati e allestiti con un impiego massiccio di risorse pubbliche e scandalosamente inutilizzati".

La storia dell'ex cinema Palazzo è emblematica: costruito nel 1939, prima teatro di qualità, poi, per diversi anni, importante cinema di quartiere. Nel 1987 il cinema è stato trasformato in un'imponente sala da biliardo, fino ad essere declassato a sala da bingo nel 2001. In fine, l'abbandono: dal 2003 fino a tutto il 2010, l'ex cinema Palazzo ha versato in uno stato totale di degrado. 

Poi, la decisione finale: la società Camene spa ha stipulato un contratto di locazione commerciale per la creazione di una "sala polifunzionale innovativa" dotata di macchine per il gioco un tempo illegale, oggi autorizzate dal Ministero delle finanze. 

I giovani del quartiere San Lorenzo sono insorti, non volendo destinare i locali di quello che vorrebbero diventasse un centro culturale libero e amministrato dal basso, ad un progetto che renderebbe l'ex cinema del tutto simile a un casinò.

Sul sito del collettivo leggiamo alcune delle ragioni della protesta: "Non sempre ciò che è legale è giusto. Il decreto sulla liberalizzazione del gioco non pone il problema sull’utilizzo dei giochi e i danni che esso comporta. E soprattutto sul giro d’affari incontrollato che c’è dietro il gioco Legale". 

Gli occupanti inoltre avanzano dubbi sull'affidabilità della società Camene spa, nata nel 2010, attualmente inattiva e comprendente 5 società tra s.p.a e s.r.l registrate tra Latina e Viterbo, il cui magro bilancio di partenza (365 mila euro dichiarati) sembra non garantire l’effettivo sostegno dei costi che il progetto comporta.

Gli occupati soprattutto contestano l'uso di quello spazio sito in piazza dei Sanniti, rifacendosi all'art.10 della delibera 36 del 2006, il quale sancisce che quando un locale ricade nel tessuto urbano T4, ossia in una zona di rilevanza storica, non è possibile avviare le seguenti attività:

– sale per videogiochi, biliardi e altri giochi leciti, magazzini
– carrozzerie e autofficine
– commercio all’ingrosso con o senza deposito
– coop di consumo e spacci interni esercenti attività di vendita prospicienti la strada
– attività di somministrazione nei circoli 

La situazione del teatro Coppola di Catania non è totalmente dissimile da quella dell’ex cinema Palazzo:

“Primo Teatro Comunale della Città di Catania, inaugurato nel 1821 e quasi completamente distrutto dai bombardamenti americani l'8 luglio 1943. Questo spazio, utilizzato per anni dal Teatro Massimo Vincenzo Bellini come laboratorio scenografico, sarebbe dovuto diventare sala prova per l'orchestra dell'ente lirico, ma il progetto (avviato nel 2005) è stato sospeso e il cantiere abbandonato”. 

Il teatro Coppola, che solidarizza con il movimento di agitazione “cittadini per il museo Riso” indetto dopo le notizie reiterate su una possibile chiusura del museo Riso di Palermo, a seguito dei molteplici tentavi dell'amministrazione comunale di riproporre vecchi progetti di riqualificazione mai iniziati, è stato in fine occupato (o « liberato » come sottolineano i giovani attivisti) il 16 dicembre scorso, con l'intento di rendere nuovamente agibile lo spazio grazie all’azione diretta da parte dei cittadini e dare così l'avvio a laboratori e corsi di formazione artistica..

In occasione del primo mese di occupazione Giovanni Tomaselli, de L'arsenale, ossia la Federazione siciliana delle arti e della musica, ha realizzato un video che vi riproponiamo. 

Queste sono solo alcune delle realtà di autogestione di spazi culturali presenti sul territorio italiano.

Ricordiamo l’iniziativa dei ragazzi del S.a.l.e. di Venezia, che occupano dal 2007 lo spazio in disuso dei magazzini del sale per farne un luogo di incontri, mostre, laboratori, spettacoli, pubblicazioni, seminari, occupazioni e azioni dirette; il progetto ancora in atto al Teatro del Lido di Ostia, un tempo adibito a magazzino e poi, dal 1997, restituito alla città come “teatro pubblico autogestito, intendendo autogestione come diritto inalienabile di chiunque prenda parte alle attività del teatro di indirizzare, stabilire e gestire le attività di un centro di cultura che nel territorio ha le sue radici”. Autogestione dunque quale “strumento per far sì che i cittadini possano essere realmente protagonisti dei propri percorsi di accrescimento culturale” stabilendo in sede assembleare le linee programmatiche da seguire “in modo che questo spazio di cultura e socialità appartenga al quartiere in maniera diretta”.

Ricordiamo inoltre la storia dell’Angelo Mai, iniziata nel 2004 con l’occupazione di un ex convitto abbandonato nel centro di Roma, esperienza bruscamente interrotta nel 2006, dopo uno sgombero forzato che costrinse i ragazzi dell’organizzazione ad una peregrinazione di tre anni, alla ricerca di un nuovo luogo dove fare cultura. Ricerca che termina alla fine dell’ottobre 2009, quando l’Angelo MAI riapre ALTROVE, e cioè a viale Caracalla 55a dove finalmente è possibile creare musica, arte, teatro.

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