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Arrestati in Israele per missione "Benvenuti in Palestina": la testimonianza dei fratelli Evangelista

Si volevano recare in Palestina per prendere parte ad un progetto che prevedeva la costruzione di una scuola per bambini palestinesi: i fratelli Joshua e Valerio Evangelista erano stati arrestati all'aeroporto di Ben Gurion pochi giorni fa non appena avevano pronunciato la parola "Betlemme", luogo dove appunto volevano dirigersi. 

Fanno parte del gruppo filo-palestinese "Flytillia", aderente alla campagna "Benvenuti in Palestina", alla quale avevano intenzione di partecipare più di 1500 giovani europei, australiani e nordamericani, desiderosi di raggiungere Betlemme per prendere parte al progetto proprio in occasione del primo anniversario dalla morte di Vittorio Arrigoni, l'appena trascorso 15 aprile.

La maggior parte dei ragazzi era stata bloccata negli aeroporti di partenza prima ancora di poter intraprendere il viaggio. Cinque ragazzi erano stati invece bloccati a Tel Aviv: Stefania Russo, Marie Moise e i fratelli Evangelista sono riusciti a rimpatriare già l'altro ieri mentre il 25enne Marco Varasio, che era stato trasferito lo stesso 15 aprile nel carcere di Ghivon a Ramla, dovrebbe rimpatriare a breve.

Le autorità israeliane avevano anche preparato una sorta di lettera di benvenuto indirizzata ai giovani attivisti che consigliava loro di interessarsi ad altro, ad altre cause a parer loro ben più importanti, come la violenza del regime siriano nei confronti del suo popolo, oppure di protestare contro la repressione del regime iraniano nei confronti dei dissidenti o ancora di preoccuparsi della violenza di Hamas a Gaza.

Il 16 Josuha e Valerio hanno diffuso su internet un video nel quale raccontano la loro esperienza di dodici ore in un carcere israeliano: "A noi interessa farvi capire che ad un certo punto tutti i diritti concordati dal diritto internazionale sono stati sospesi".

"Ci siamo ritrovati davanti 40 poliziotti che ci fissavano, ci deridevano e ci guardavano con disprezzo" - racconta Joshua.

Quando i ragazzi hanno chiesto spiegazioni sulle motivazioni che avevano portato all'arresto e poi all'espulsione dal territorio israeliano, la reazione è stata violenta: "Ci hanno portato a strattoni verso un aereo, volevano imbarcarci per Kiev. Ci hanno buttato dentro l'aero [...] Noi ovviamente ci siamo ribellati perché non sapevamo niente, non sapevamo niente nemmeno delle nostre cose, delle nostre valigie" - continua Joshua.

I due ragazzi hanno quindi chiesto di parlare con il comandante dell'aereo per sapere se lui fosse d'accordo a trasportarli fino a Kiev e il pilota, evidentemente intimorito all'idea di ospitare due individui dipinti come "pericolosi", appena espulsi dallo Stato, si rifiuta di accoglierli a bordo.

A questo punto i due fratelli sono stati portati in un centro di detenzione e sono riusciti finalmente a parlare per telefono con il Console italiano Nicola Orlando: "Non sottolineerò mai abbastanza quanto [Orlando] è stato fondamentale per la nostra vicenda" - dice Joshua.

I due fratelli vengono poi separati: Joshua è rinchiuso in una cella da solo, Valerio si ritrova invece con un detenuto russo. Niente bagno nelle celle e nessuna possibilità di capire cosa li aspettasse. I ragazzi raccontano le ore di attesa con precisione e lucidità.

Quando finalmente arriva il console la sitazione cambia radicalmente: ai ragazzi viene lasciata libertà di movimento e servito del buon cibo; si scopre così che "tutto [era stato fatto] in maniera illegale, perché quello è un centro di detenzione amministrativa, questo vuol dire che avevamo il diritto a tenere il telefono, avevamo il diritto a muoverci da una stanza all'altra, avevamo il diritto di stare insieme".

La loro testimonianza, come precisano in fine gli Evangelista, costretti ad accettare un'espulsione che li obbligherà a non poter rimettere piede in Israele per dieci anni, è tesa semplicemente a sottolineare la gravità del comportamento della polizia israeliana.

Questo il video completo della loro testimonianza

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