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Tasse: la Francia verso la "trappola italiana"

Siamo indiscutibilmente ad un tornante della storia: il presidente francese, François Hollandeha riconosciuto (immaginiamo con la solennità che in Francia caratterizza anche le giravolte della politica), che gli aumenti di imposte effettuati dal suo governo e da quello di Nicolas Sarkozy, dal 2011 ad oggi, sono eccessivi. E quindi, si cambia? No, ma a volte bisogna sapersi accontentare degli enunciati di principio. Ma l’occasione è propizia per spiegare perché la Francia sta per cadere in una classica “trappola italiana”, nella diatriba tra taglio di spese ed aumento di imposte.

Troppe tasse, si diceva: dal 2011 per 60 miliardi, pari al 3% del reddito nazionale. Persino il compagno Pierre Moscovici, di recente, ha riconosciuto che i francesi “sono stufi di tasse”, quindi l’affare deve essere serio. Il problema è che la Francia (come praticamente tutti i paesi dell’Eurozona) sta affrontando un deterioramento dei conti pubblici che porta a mancare i target fiscali. Ad esempio, l’attesa per un deficit-Pil al 3,7% sul fine anno, che già rappresenta uno sforamento sugli obiettivi ed ha richiesto un negoziato con Bruxelles per ottenere l’allentamento del percorso temporale di aggiustamento, è ora diventato 4,1%.

Ciò malgrado, visto che ormai tutti sostengono che la ripresa “è dentro di noi” (ma è sbagliata), il governo di Parigi ritiene che, da qui a qualche mese, la ripresa produrrà il classico “tesoretto” che servirà per dimezzare le nuove tasse previste per far quadrare i conti nel 2014, da 6 a 3 miliardi di euro, che andranno a sommarsi a tagli di spesa per 15 miliardi. E già l’aggettivo “storico” per questa eventualità si spreca, dalle parti del Matignon.

I minori aumenti di imposte dovrebbero consentire di evitare un aumento delle accise sul gasolio, chiesto dai Verdi, e di schivare anche la psichedelica tassazione dei “dispositivi internet” per finanziare l’industria cinematografica francese. Ma le “buone” notizie finiscono qui, visto che dal prossimo primo gennaio e per due anni entrerà in vigore la super aliquota Irpef del 75%, che tuttavia sarà pagata dalle imprese sulle retribuzioni eccedenti il milione di euro (per una analisi della follia della misura,vedi qui). Poi, dal prossimo primo gennaio l’Iva passerà comunque dal 19,6 al 20% e, per chiudere in bellezza, ci sarà l’immancabile aumento dei contributi pensionistici.

Anche così, nel 2014 le famiglie francesi pagheranno maggiori imposte per 12 miliardi di euro, che serviranno in parte a finanziare tagli del costo del lavoro a beneficio delle imprese. Come zuccherino, Hollande ha promesso di rimuovere una misura di purissima disperazione fiscale introdotta tempo addietro, e che noi italiani conosciamo sin troppo bene: il fiscal drag, cioè la mancata indicizzazione delle aliquote d’imposta al costo della vita, che permette quindi di derubare due volte i contribuenti con l’inflazione: a livello reale e a quello nominale, in sistemi fiscali progressivi.

Quale è il problema, quindi? Presto detto: il buco fiscale francese è in crescita, quindi serviranno maggiori tagli di spesa e/o maggiori aumenti di imposta. Ora, anche ipotizzando che la manovra correttiva avvenga esclusivamente dal lato dei tagli (considerato che in Francia la spesa pubblica è pari al 57% del Pil), se questi tagli di spesa andranno a colmare buchi e non a finanziare riduzioni d’imposta l’effetto di breve-medio termine sull’economia sarà comunque recessivo. Questo è il concetto che gli alesiniani d’Europa e d’Amerika proprio non riescono a farsi entrare in testa. Confidiamo che prima o poi accada, ma non vorremmo peccare di ottimismo.

 

Foto:Remy Noyon/Flickr

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