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Taranto continua ad inquinare

Taranto non può andare avanti così. I politici devono dirci cosa vogliono fare, ora e non dopo le elezioni.

Taranto continua ad inquinare.

Il più grande stabilimento industriale del paese - tale è ormai l’acciaieria pugliese dopo il secco ridimensionamento di Mirafiori - ormai rappresenta un buco nero per la politica nazionale.

Il contenzioso con la magistratura, oltre a confermare come un vuoto politco non faccia altro cher produrre mostri, dimostra come i decisori pubblici nazionali non sono in grado di affrontare con forza e trasparenza nemmeno il problema più drammatico.

A Taranto, infatti, sta andando in scena un dramma moderno: il lavoro si dimostra incompatibile con la vita civile. Il lavoro industriale, fordisticamente organizzato, intensivamente sfruttato e indiscriminatamente collocato, appare sempre più come un’insopportabile sfregio per le pretese di vita che ormai sono maturate in occidente e che si stanno estendendo in ogni parte del pianeta.

Lavoro perché voglio vivere, e non viceversa.

Questo l’assioma che si sta radicando anche in un’area, come appunto la città pugliese, dove la disoccupazione sta raggiungendo livelli da continente africano.

Eppure, anche in quei quartieri dove la disoccupazione giovanile supera la drammatica soglia del 65%, la pretesa di vita, di una vita confortevole e sicura, tende a prevalere.

È questo il nodo attorno a cui si sta ballando.

Ballano i ministri, che con affanno cercano di prendere tempo, accreditando transizione inesistenti. Ballano i magistrati, che si arroccano in una lettura rigida e non declinabile socialmente del diritto, che usano come una clava la coincidenza, davvero occasionale, di dare voce e sfogo ad una domanda sociale di salute. Ballano i partiti, timorosi, soprattutto in questa congiuntura elettorale, di perdere consensi. Balla un’intera cultura sociale, quella appunto della priorità del lavoro che si trova, forse per la prima volta in termini così esasperati, separata ed ostile all’opinione pubblica.

Da questa impasse bisogna uscire. Il governatore della Puglia Vendola, ed il candidato Premier Bersani ci devono dire come pensano di risolvere questo intrico.

Ora non dopo.

A questo punto la mattassa è davvero complicata da ordinare.

Il tempo non consente deroghe ma la natura del problema non ammette scorciatoie.

Noi crediamo che la Puglia debba aprire una rapida riflessione sul suo modello di sviluppo. Non si tratta di nuovi paroloni, si tratta di capire come la gente vuole e può vivere: attendendo ancora insediamenti industriali indiscriminati e occasionali o sviluppando le sinergie di un territorio ricchissimo e di una collocazione geografica vitale? Noi pensiamo che in poco tempo si debba mettere in cantiere un progetto alternativo all’acciaieria, che sconti un’inevitabile, quanto progressiva, delocalizzazione.

In compenso bisogna strappare al governo nazionale e all’Europa, che continua a finanziaria stolidamente le agricolture crasse del nord della Germania e dell’Olanda, un piano di riconversione basarto su opere civili, come i collegamenti ferroviari trasversali, in opere di servizi digitali, come un piano di connettività regionale e in un progetto basato sulla totale autonomie energetica della regione, grazie all’uso razionale e non penalizzato del fotovoltaico.

L’obiettivo è quello di creare a Taranto una zona di alta connettività (100 mega a tutti) e con un abbattimento dei costi energetici del 40%.

Un ambiente che richiami le grandi isole dello sviluppo globale dalla California alla Cina. Tutti gli ingredienti sono sul territorio: potenzialità degli impianti fotovoltaici ancora a mezzo servizio, disponibilità di interventi civili già cantierabili e possibilità, grazie ad una combinzzione di satellite, radiofrequenze e fibra di elaborare in 18 mesi un piano regolatore della connettività.

Il deserto potrebbe tornare e rifiorire.

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