Stellantis sotto attacco da Calenda
Un Carlo Calenda così duro lo avevamo visto poche volte, anche se sul tema Stellatis
pare ormai aver intrapreso una sorta di battaglia personale contro i vertici del nuovo
colosso nato dalla fusione tra Peugeot e il gruppo Fiat.
Quello che lui pensa su questo tipo di accordo è ormai ben chiaro a tutti. Secondo l’esponente di Azione in realtà è più che di fusione si tratterebbe di una vera e propria cessione dello storico marchio italiano al gruppo francese. Intervenuto ieri alla festa dell'Unità di Reggio Emilia calenda è stato ancora una volta durissimo con i vertici aziendali del gruppo
automobilistico e anche con chi secondo lui, per puri interesse, non dice nulla ( come
Repubblica, La Stampa e Cgil di Landini): “ Stellantis è l'ignominia nazionale, perché
dopo quello che è stato fatto e che gli è stato dato, ogni giorno escono dati sulla
produzione che sono sconcertanti.
Basti pensare alla Maserati: prima che la Ferrari prendesse Ferrari aveva i cani dentro gli impianti di Modena. E' stata presa ed è stata rilanciata, venendo portata in America. La Maserati praticamente non c'è più, i centri di ricerca sono tutti in Francia, i fornitori saranno sostituiti con fornitori che sono fuori dall'Italia. Questa battaglia non può essere lasciata alla Meloni, deve essere una grande battaglia nazionale. E chi se ne frega se si sono comprati Repubblica.
Non possono essersi comprati il silenzio della sinistra italiana comprandosi Repubblica,
perché questa roba è immorale ingiusta. Diciamoci la verità la parola Elkann non
esce fuori neanche sotto il torchio e invece bisogna dirlo". Stellantis, per chi ancora
non lo sapesse, è l’azienda nata nel gennaio del 2021 dalla fusione di PSA, l’azienda
francese meglio conosciuta come Peugeot Citroën, e FCA, l’azienda italo-americana
nata a sua volta dalla fusione di FIAT e Chrysler. Stellantis ha come azionista di
riferimento la holding finanziaria Exor, che è di proprietà della famiglia Agnelli-
Elkann e controlla anche il gruppo editoriale Gedi, editore tra gli altri dei quotidiani
Repubblica e Stampa. \ADa quando FCA si è fusa con PSA gli investimenti del nuovo
gruppo Stellantis in Italia sono gradualmente diminuiti, e secondo Calenda Landini e
la CGIL non starebbero facendo abbastanza per opporsi a questa tendenza. Calenda
sostiene che Landini mantenga un atteggiamento morbido per non inimicarsi
Repubblica, che è storicamente il principale giornale italiano di orientamento
progressista. Nell’intervista del 23 gennaio Calenda aveva accusato di questo sia
Landini che la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein, che non
spingerebbero sulla questione Stellantis per avere una copertura benevola da parte
del giornale. ma al di là di queste polemiche sul presunto silenzio che alcuni media
riserverebbe ad un gruppo, che ha ricevuto per decenni miliardi di aiuti pubblici e
che adesso sembra sempre più voler disinvestire in Italia a tutto vantaggio non solo
della Francia ma anche di paesi, come per esempio il Marocco, dove i costi di
produzione sono sensibilmente ridotti. E solo pochi giorni fa, l’ennesima presa di
posizione del ministro del made in Italy Adolfo Urso contro i vertici aziendali del
gruppo per la loro discutibile decisione di bloccare il progetto di realizzare una
gigafactory per le batterie a Termoli. Il ministro in questi mesi ha avuto una
interlocuzione costante con i vertici dell’azienda, ricevendo però risposte spesso
contraddittorie. La realtà dei fatti sembra sempre piu mostrare come Stellantis abbia
ormai il chiaro intento di ridurre la sua presenza nel nostro paese, di fronte al
silenzio assordante del presidente Elkan e dei media e sindacati. “Il governo ha fatto
la sua parte, l’azienda no. Se non ci risponde positivamente e velocemente sulla
Gigafactory di Termoli, dirotteremo altrove le risorse del PNRR. Stellantis ci aveva
chiesto due cose: superare le restrizioni della normativa Euro 7 e avviare un piano di
incentivi. Noi le abbiamo fatte entrambe mentre loro no”. Ha detto Urso al meeting
di Cl di Rimini tre giorni fa. Lo stesso Urso poi ha attaccato Stellantis anche sulla
produzione auto, aprendo ancora all’arrivo di un nuovo marchio, con i brand cinesi
sempre alla finestra e in trattativa con l’Esecutivo: “Un’unica casa automobilistica
non può fornire a un Paese come l’Italia tanti modelli da soddisfare tutte le esigenze
dei consumatori. Un’unica Casa non può fare più di quello che noi speriamo che
faccia: raggiungere il milione di veicoli (prodotti, ndr). Per sostenere la filiera del
automotive serve almeno un altro produttore. Perché si deve arrivare ad almeno un
milione e mezzo di veicoli”. E su questo punto stranamente alcuni giornali (sempre
gli stessi) criticano il ministro, lasciando più di un dubbio in merito alla loro reale
indipendenza dai loro legittimi proprietari. Invece nessuna critica su quelli che sono
i freddi numeri sulla produzione del gruppo nel nostro paese, che sono davvero
impietosi. Lo scorso anno la produzione in Italia di Stellantis si è fermata a 521.842
auto (su un volume complessivo di 752.122 veicoli aggiungendo i commerciali) su un
totale di 541 mila vetture prodotte in patria. Non va meglio nel 2024, secondo i dati
preliminari Anfia, con la produzione domestica delle autovetture in calo del 31,3%
nel mese di marzo e del 21,1% nel trimestre. Ed è per questo motivo che il ministro
Urso da mesi è in trattative con alcuni gruppi cinesi ( Dong Feng in testa) per portare
la produzione di veicoli elettrici in Italia, per evitare che possa diventare un paese per
produzione di nicchia, come quelle di Ferrari e Lamborghini. Il ministro e questo
bisogna riconoscerglielo, sta cercando di non fare gli stessi errori fatti da politiche
industriali fallimentari da questo punto di vista dagli anni 90 in poi, quando si
persero varie occasioni, come quella della realizzazione di un grande stabilimento
della Toyota ( poi andata in Francia) o quello della fusione tra Ford e Alfa Romeo (
svenduta da prodi scriteriatamente alla Fiat) o ancora quella del gruppo Volkswagen
che ha preferito Spagna, Ungheria Belgio e repubblica Ceca. Il risultato è che i
dipendenti nell’auto in Italia sono passati dai circa 120.000 del 2000 ai poco più di
40.000 di oggi. Questi sono numeri di un declino che certo non si può dire iniziato,
come detto, dopo la fusione tra il gruppo torinese e Peugeot, ma che appare ora
impietoso e a cui non ci si dovrebbe rassegnare, come in effetti sta molto
proditoriamente cercando di fare il ministro Urso, malgrado le critiche da parte dei
soliti media, che casualmente sono di proprietà proprio di chi è causa di questa triste
situazione.
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