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Squallide storie di politicanti agrigentini

La provincia di Agrigento è tra le più remote e povere retrovie della Nazione. Serbatoio di voti del conservatorismo più ipocrita. Cassaforte di un ferreo potere clientelare allattato dalla povertà e dal feudalesimo politico. Fucina di politicanti troppo spesso dediti al malaffare. In un posto così deformato dalla prepotenza della borghesia, anche storie di "Alta mafia" non sorprendono nessuno e rimangono intrappolate nella normalità locale, non riuscendo a trovare la ribalta nazionale. Accade così che, nella sciatta indifferenza, si consumano storie che dissolvono ogni fiducia nella classe politica e dissipano ogni speranza.

Succede che Vincenzo Lo Giudice (UDC), per 13 anni deputato regionale - assessore al territorio - vice-presidente dell’Assemblea regionale siciliana e presidente della commissione regionale sanità, venga arrestato e successivamente condannato (in 1° grado) a 16 anni e 8 mesi di reclusione. Dalle motivazioni della stessa sentenza emerge che Armando Savarino (attuale sindaco di Ravanusa, ex direttore dell’ausl di Agrigento, padre dell’ex deputata regionale Giusy) temeva di essere ucciso proprio perché aveva ostacolato l’elezione di Lo Giudice alla Regione facendo candidare la figlia. Il Savarino sarebbe stato poi salvato dalla mediazione di un boss mafioso di Canicattì.
Quì lo Stato non esiste. Nessuno ricorre ai Carabinieri. Le controversie, anche quelle politiche, le risolve la mafia. Stiamo parlando della classe dirigente del nostro paese. Degli "eletti" dal popolo. Delle èlite. Di chi dovrebbe contrastare la criminalità. I protagonisti della vicenda sono colletti "bianchissimi" della borghesia siciliana: deputati e assessori regionali, direttori sanitari, sindaci. Storie che agghiacciano il sangue e contaminano la linea di confine tra Stato e anti-Stato. A questo punto chi è il vero nemico?

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