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Spagna e Italia, modi alternativi di fare deficit

La Spagna ha chiuso il 2016 con una crescita reale del 3,2%, pari a quella del 2015, il biennio che ha segnato la maggiore crescita economica del paese dal 2007. Nel 2016, anche qui per il secondo anno consecutivo, il rapporto tra debito pubblico e Pil del paese iberico è diminuito. Una cosa che al governo italiano, con tutte le sue chiacchiere, distintivo, narrazione e vittimismo, pare proprio non riuscire.

Nei numeri, il debito pubblico spagnolo nel 2016 è aumentato in valore assoluto del 3% ma il Pil nominale ha fatto meglio, crescendo del 3,9%. Il rapporto debito-Pil, quindi, è passato dal 99,8% al 98,9%. Nel 2014 era al 100,4%. La buona notizia per gli spagnoli è quindi che, se l’attuale passo di crescita ed il livello di tassi d’interesse dovessero restare su questi livelli, il rapporto d’indebitamento pubblico del paese è destinato a proseguire la propria discesa. E poiché questo rapporto è l’unica cosa che conta, per valutare la sostenibilità del debito, ecco che improvvisamente anche un rapporto deficit-Pil che non torni sotto la fatidica soglia di Maastricht del 3% non è poi così drammatico. Che accade, invece, in Italia? Accade che, pur con un deficit-Pil sotto il 3%, e malgrado una posizione fiscale espansiva, testimoniata dall’aumento del deficit-Pil corretto per la fase del ciclo economico, il nostro avanzo primario non riesce a compensare il fatto che la crescita nominale è inferiore al costo del debito.

Vi state perdendo? Proviamo con questa formulazione: l’espansione fiscale spagnola contribuisce a produrre crescita “virtuosa”, cioè una crescita che di fatto “si ripaga” contribuendo a ridurre il rapporto d’indebitamento. L’espansione fiscale italiana fallisce in questo obiettivo, lasciando il campo al solito piagnisteo sulla Germania, gli ottusi burocrati di Bruxelles e “la Spagna che fa tanto deficit, che se solo lo avessimo noi, signora mia”, Renzi dixit. Invece no, non funziona così. Il keynesismo ragionieristico e vittimista italiano si mostra in tutto il suo splendido fallimento, soprattutto intellettuale.

Quanti tra voi, facendo mostra di non aver colto il punto, insistessero con la tesi “si ma la Spagna cresce perché fa deficit, maestraaa!”, considerino che la Spagna sta in realtà compiendo un piccolo miracolo: quello di avere i consumi che contribuiscono in modo vitale alla crescita complessiva pur in presenza di un processo di deleveraging privato, cioè di riduzione del debito privato, sia in rapporto al Pil che (udite, udite) in valore assoluto. A dicembre 2016, infatti, il credito totale erogato dal settore bancario a famiglie ed imprese è stato pari al 114,2% del Pil, con un calo del 3,6% sullo stesso mese del 2015. Siamo all’ottavo anno consecutivo di riduzione del rapporto d’indebitamento privato: al picco del dicembre 2008, questo rapporto era del 167,5%. Un calo di quasi 32 punti percentuali in otto anni. Uno simile sforzo di deleveraging negli ultimi anni è stato ottenuto, controintuitivamente, con una lieve flessione del tasso di risparmio, che in simili contesti ci si aspetterebbe invece registrare un’impennata.

Tra le altre cose, la competitività spagnola ha contribuito a surplus delle partite correnti piuttosto stabili negli ultimi cinque anni, intorno a 1,5% del Pil, mentre la ripresa dell’occupazione è avvenuta in un contesto di costi reali del lavoro in flessione ininterrotta da anni, senza bisogno di sussidi farlocchi di decontribuzione temporanea, destinati a finirci in faccia l’anno prossimo, come un elastico incattivito. Altra eclatante differenza rispetto a noi: la Spagna sta vivendo una forte ripresa degli investimenti. Nel 2015, l’incidenza su Pil degli investimenti fissi lordi spagnoli era al 19,7%, quella italiana di solo il 16,6%. Siete sempre convinti che tutto si riconduca al solito mantra fallito “ah beh, se potessi avere altri due punti percentuali di flessibilità, sai quante mance e che boom economico?”

Non è che la Spagna sia un paese modello e felice, sia chiaro. Non è in corso alcun miracolo economico ma resta il dato di fondo: il loro deficit è “servito” in qualche modo a puntellare una ripresa robusta, ed a contribuire alla flessione del rapporto debito-Pil. Politicamente, quest’ultimo è un enorme risultato, che consente a Madrid di guardare al futuro con più serenità, anche nel rapporto con i mercati, oltre che di trascinare i piedi con maggiore efficacia rispetto alle richieste “austere” di Bruxelles. Per non cadere nella fallacia dei modelli univariati, che è una forma alternativa di correlazione spuria, giova premettere il caveat che oltre al deficit c’è altro ad essere risultato più efficace nello stimolo alla crescita. Forse servirebbe guardare al mercato del lavoro, forse alla ripulitura del sistema bancario spagnolo, forse anche ad altri aspetti del sistema paese.

Quello che è certo è che la “via italiana” alla ripresa, qualunque essa sia, al netto della pestilenziale retorica che fa di noi il caso umano d’Europa, è fallita miseramente. Questo e non altro sarà il segno distintivo della legislatura Renzi. Ma l’importante è baloccarsi con l’illusione ottica del “boom” di occupazione italiana. Frutto, in larghissima misura, della legge Fornero.

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