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Sotto l’Italia, la banca crepa

 

Settimana da dimenticare, per le banche italiane quotate. Già afflitte da un male tutt’altro oscuro, hanno visto un’accelerazione delle vendite dopo il credit watch negativo di Moody’s, che segue quello di pochi giorni addietro, sul merito di credito sovrano del nostro paese, in un imbarazzato silenzio di quegli stessi demagoghi ed analfabeti sindacal-politici che avevano starnazzato di lesa maestà dopo l’analoga decisione presa da Standard & Poor’s, settimane addietro. Anche se la picchiata di ieri è attribuibile ai soliti hedge fund ed alla loro proverbiale grazia nel ruotare i portafogli fregandosene della liquidità dei mercati. Grande risultato, per chi gioca abitualmente con algoritmi e silicio.

Il quadro, per le banche italiane, resta comunque per nulla confortante, e non da oggi. Senza drammatizzazioni, diciamo che serviranno ricapitalizzazioni (che sono più o meno in atto), e grande lavoro per raddrizzare la barca. Noi restiamo con robusti dubbi circa la possibilità che tale lavoro possa effettivamente essere portato a termine con successo da una casta di oligarchi sempre più isolati dalla realtà, ed intenti a difendere con le unghie e con i denti i propri privilegi feudali mentre spiegano ai dipendenti che occorre essere flessibili ed inclini ai sacrifici, proprio nel momento in cui il multiplo tra remunerazioni dei dirigenti apicali e quelle della truppa è ai massimi storici e già qualche avvocaticchio dall’eloquio fluente si lamenta che non è possibile incidere oltre sui package dei top manager senza intaccare l’efficienza del sistema. Del loro “sistema”, s’intende.

Amenità a parte, per chi legge questo sito la difficile situazione attuale delle banche italiane è tutto fuorché una sorpresa. Vi abbiamo detto che le nostre banche stanno venendo vieppiù colpite dalla “malattia italiana“, l’assenza di crescita, che impedisce ad un tessuto produttivo fatto soprattutto di piccole imprese di conseguire flussi di cassa sufficienti per servire il debito. Da qui tensioni finanziarie degli affidati, richieste di accesso a moratorie che in un numero elevato di casi si limitano a rinviare la resa dei conti. Sempre da qui crescita di sofferenze a livello di sistema, erosione del patrimonio delle banche e necessità di ricapitalizzare, anche se qualcuno continua a gettare fumo negli occhi dell’opinione pubblica, con la imprescindibile collaborazione di alcuni pennivendoli a libro paga, dando la colpa di tutto a Basilea III e minacciando a causa di ciò di tagliare il credito; altri ancora stanno appendendosi ai vetri con fervida fantasia su avviamenti e Deferred Tax Asset, cercando di indurre il regolatore a perorare la propria causa presso gli organismi internazionali. Nulla di male, per carità: anche le banche tedesche, piene di titoli ibridi che Basile III vuole cestinare, stanno facendo lo stesso. La differenza, tra loro e noi, è che loro possono almeno sperare di chiudere i buchi in tempi ragionevoli, grazie ad una crescita finora robusta e sana.

Ma soprattutto, le nostre banche stanno lottando con una formidabile forza avversa: il bacio della morte di Berlusconi e Tremonti, che le hanno definite “sanissime” proprio perché “non parlano inglese”, e neppure greco. Peccato che le nostre banche parlino italiano, e lo parlino decisamente troppo, però. Alla fine, la vera maledizione potrebbe essere questa.

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