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Soldati: professionisti dimenticati

Nel libro “Soldati” di Fabio Mini (Einaudi, 2008), che è stato Capo di stato maggiore del Comando Nato (forze del Sud Europa) e al vertice della Kfor in Kosovo (forza militare di pacificazione), si descrive l’attuale situazione del mestiere del soldato con le relative problematiche legate alla sicurezza dei cittadini e delle famigerate operazioni umanitarie.

Infatti l’apparato di 186.668 soldati italiani non serve più a difendere le frontiere e non si sa nemmeno da chi possa venire la vera minaccia. Non esistono più problemi nazionali e almeno in Europa le forze armate andrebbero integrate. Fabio Mini, dall’interno della macchina militare ci svela i retroscena e gli aneddoti dei nuovi professionisti della sicurezza: il soldato che non è più soltanto un guerriero, un tecnico o una spia dell’intelligence. Spesso è un precario fra molti mercenari, mandato a uccidere e morire da generali e ammiragli alle prese con bilanci e poltrone. E la dilagante burocratizzazione politicizzata fa aumentare i rischi relativi alla sicurezza dei milioni di cittadini italiani, europei ed occidentali.

Comunque mi sembra giusto citare un aneddoto molto “crudo” di vita militare raccontato da questo testimone d’eccezione: “La capacità di sopportazione e l’abilità di sopravvivenza dei soldati superano ogni immaginazione. Di questo ne hanno sempre approfittato i politici disattenti e anche i comandanti fanatici o soltanto ambiziosi. Nel deserto del Mojave, in California, nel 1980 partecipai a una missione di recupero di una squadra di marines lasciati, per sbaglio o arroganza, in pieno deserto per sette giorni con un litro d’acqua a testa. Li ritrovammo completamente disidratati ma vivi, in buche profonde quasi tre metri. Invece di pattugliare il deserto, come il loro comandante aveva ordinato, e di rimetterci la pelle, come lui avrebbe voluto, cercarono tra le sassaie un pezzo di terreno più morbido e si misero immediatamente a scavare. Più in fondo andavano e più potevano trovare refrigerio di giorno, ripararsi dal rigore del freddo notturno e sfruttare le differenze di temperatura per far condensare l’umidità e berla a gocce”.

Vorrei terminare con la risposta di Fabio Mini, alla domanda di una giornalista e madre israeliana che aveva perso un figlio soldato in guerra, che le chiedeva perché gli uomini e i militari non sembrano mai stanchi di combattere . “Per il commercio di nuove armi… Per brama di potere… Anche, ma non solo. Potrei lanciarmi in una dissertazione sulla natura umana rivolta al male o al bene… L’anelito alla libertà, la guerra all’ingiustizia, la guerra per la stessa pace, ma di fronte a chi ha perso un figlio soldato anche le ragioni più nobili rischiano di esaltare indirettamente la guerra, di cadere nella retorica e di offendere. La verità del nostro tempo è che combattiamo perché tolleriamo un sistema che tende all’ineguaglianza e all’insicurezza, perché chi ha la forza non ha il cervello e chi ha il cervello non ha la forza di sviluppare altri mezzi e strumenti di regolazione della sicurezza mondiale. Combattiamo perché non abbiamo voglia e fantasia di pensare in modo diverso, perché siamo pervasi dalla paura di perdere ciò che abbiamo e non spinti dal desiderio di ottenere ciò che di migliore offre la vita. Poi, se non bastasse, combattiamo male perché sono cambiati i parametri della guerra, e perché ancora ragioniamo in termini di vittoria e sconfitta… Perché usiamo armi e strategie sbagliate e via via, con l’aumentare dell’arroganza politica e della forza militare, diventiamo più impotenti e stupidi”.

Combattiamo perché una pulsione calda e profonda ci chiede di vincere, dominare e conquistare, e noi dobbiamo lottare e a volte uccidere o morire per contraccambiare il suo amore.

P.S. Erodoto affermava che la guerra è la madre di tutte le cose, e in un certo senso questo avviene ancora oggi, poiché internet e molte altre tecnologie di oggi sono il risultato degli ingenti investimenti monetari nei laboratori di ricerca militari (internet doveva servire alle comunicazioni militari in caso di guerra nucleare).

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