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 Home page > Attualità > Società > Silvio e Barack

Silvio e Barack

Vuole che le scriva una giustificazione? Come si chiama la bambina?”
“Kennedy!”

“Allora: all’insegnante di Kennedy. Per favore, scusate l’assenza di Kennedy… Oggi lei è con me. Barack Obama”
.

L’uomo, tale John Corpus, ammette il suo stupore. Il Presidente degli Stati Uniti ha appena firmato una giustificazione per sua figlia, rea d’aver saltato scuola per poter vedere mr. President. E’ incredulo, di quello sgomento non tanto entusiatico, quanto spiazzante, di quelli che monta quando manca qualcosa. O, in caso, quando ce n’è una di troppo. E questo è. La ricerca asfittica e ossessiva dell’Obama europeo, e, per coscrizione, quello italiano, ha fatto base per elucubrazioni varie di politica internazionale. Intravvedendone uno lì, in Cambogia, l’altro in Sardegna, questo promettente in Bretagna, ma mai quello giusto. Sicuri, dico, che se ne debba cercare il modello idealtipico, lo stampino comune di grossolana matrice strutturalista? Un popolo-un Obama? E dunque, non vi sciocchi: siete sicuri che sia l’esemplare icastico di una nuova stirpe, o, al contrario, la riproposizione hawaiiano-americana di un modello preconizzato in tempi neanche recenti e in posti neppure vicini?

Passo indietro. Settimana scorsa. Silvio Berlusconi, in patetica posa pantomimica, finge di doversi assentare, scusandosi. Ha – dirà – da battezzare la curiosa e suggerita – da lui stesso, par di capire – unione tra Noemi e “com’è che si chiama, quell’avvocato lì? Ma no.. quello inglese.. Come? Ah.. Mills..Mills..Noemi e l’avvocato Mills!



Risa estatiche innanzi al proscenio, finzione teatrale e retorica su du esso. Il messaggio è chiaro: Mills mi è estraneo. Sappiamo: non è la prima e non sarà l’ultima delle sue. Ha un modus, il premier, che lo proietta al di là dell messaggio in sè, una carica di messaggi paralinguistici gli si muove affianco ad ogno gesto, ogni ammicco, spesso resi spropositati e macchiettistici, nient’atro che una vorace presa di coscienza del suo appeal, che accresce con l’accrescere dell’attesa spasmodica del “L’ha detto/L’ha fatto“.

Suggerisce Belpoliti (ne “Il corpo del capo”, suggerisco), si tratta di uomo capace di danzare, farsi dama e pin-up. Perchè, dico io? Perchè è corpo da vendere, nè più nè meno dei suoi aspirapolveri in gioventù (così dice la leggenda): al massimo. E niente vende di più di un corpo. Come fare? Amplificando, fisicità, parole, gesti, medium. E il medium, è noto, è suo. La tv che gli fa i muscoli nella maggiorparte dei casi, la tv che lo svilisce a vignetta nelle rare oasi oppositive.
Ripeto, non suoni shock il paragone. Semmai, una chiave di lettura – ammetto – nuova, infondata o peregrina quanto si vuole, ma considerabile. Obama nuovo Berlusconi?

L’esaltazione della figura, dinamica e snella, non è stata mai nascosta, ostentata spesso dal corteggiamento ai media operata dal suo fare: la corsa in shorts, i tiri a canestro, il torso nudo, il rifiuto per il più presidenziale ed accademico gioco del golf. Barack Obama, ricordiamo, era uso salire sul palco – spinto dalle note di Springsteen – ballando. Ha fatto del nuovo medium, internet, un uso pressocchè monopolistico (non certo monopolio da oligarchia mafio-economica, ma assenza di conncorrenti in loco), libero di approntare su di esso la spropositata mole di conformismo indotto che in dosi massicce adotta volentieri anche il caudillo di Arcore: noi siamo/saremo così, questa è e/o sarà la nostra società, cosa aspetti? A quale altro presidente americano paragonereste Obama? A quale altro capo di governo straniero assimilare la carica iperbolica dei suoi meta-messaggi? La figura è perennemente rassicurante, il sorriso dai contorni simili, dal Nebraska al brianteo. Il cipiglio del fare è nerboruto, risoluto e drastico, l’amplificazione dei simboli lanciata e espansa strabordando dalle rotte canoniche (messaggio al popolo tramite YouTube a Washington come spot-pre-natalizio su Mediaset o raccolta delle foto di famiglia su Libero - il più caricaturale dei suoi mezzi, non a caso - per papino). E altre. Silvio Berlusconi ha dato vita alla figura mediatizzata (e immediatizzata) del meta-presidente (non fosse altro che per le sue cariche professional-finanziarie a scatole cinesi, che danno così corpo al funesto e noto conflitto d’interessi, e, non trascurabile, il peso dato alle figure professionali con le quali ha usato apposizionare la sua carica: presidente-operaio, presidente-imprenditore, presidente-costruttore ecc..), della quale il presidente nero ha tratto linfa per il suo vitalismo ottimistico (il presidente-blogger, il presidente-giovane, il presidente-oratore, altro comunque dal vitalismo dionisiaco che pervade cortigiano e corti sarde). Sia chiaro, nulla inficia una considerazione tale: i giudizi sulle persone, distanti anni luce per politica e prassi, rimangono. E forse una discreta comunanza per la tensione al dinamico e mediato, le congruenze sopracitate, faranno sì chè Obama, nel colloquio privato col caudillo, possa scavalcar transenne, andare dritto al punto. Spiegargli tante cose che altrove non hanno detto o saputo dire col suo stesso linguaggio. Lui può. Forse solo lui. Obama, il Berlusconi americano.
U’

Allegati: 10 cose da ricordare a Obama che incontrerà Berlusconi il 15 giugno

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