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Siamo tutti complici del macellaio Assad

Nessun caccia si alza in cielo. Sarkozy fa jogging in Costa Azzurra, Obama deve evitare il fallimento degli Stati Uniti. E in Siria, dove il petrolio è scarso e manco di qualità, è in atto una carneficina. Il macellaio Assad sta ammazzando migliaia di civili tra l’indifferenza di tutto il mondo. Lasciate che continui il massacro, ma sia chiaro: siamo tutti complici del macellaio. Che ha trucidato anche la nostra coscienza.

Bashar come Hafez, ventinove anni dopo. Cambiano i tiranni, cambiano i tempi, rimangono le città da radere al suolo e le migliaia di vittime da macellare senza batter ciglio. L’alba di una domenica di fine luglio, vigilia di Ramadan, viene disturbata dai rumorosi tank governativi che irrompono dai quartieri periferici e si dirigono verso il centro di Hama, città martire che già nel 1982 conobbe il pugno degli Assad. Centinaia di morti, case distrutte, disordine che regna incontrastato. Un regime che sta avvinghiando da mesi un intero Paese, che lo sta stritolando nella vergognosa indifferenza internazionale.

Non si alzano voci, non partono i caccia della Nato verso Damasco. Sarkozy è intento a fare jogging in una delle tenute presidenziali in Costa Azzurra, Obama è impegnato ad evitare il fallimento degli Stati Uniti. Quelle che sentiamo sono solo frasi di rito, imbarazzanti e ripetitive dichiarazioni da ufficio stampa che altro non fanno che far crescere l’ira e lo sgomento. Perché in Libia, per una guerra civile, l’Occidente intero ha sganciato bombe in quantità industriale, e in Siria no? La domanda è retorica, la risposta la sappiamo già tutti.

Tutti pensano che il petrolio di Gheddafi sia più buono delle scarse riserve siriane, ma nessuno lo dice. Nessuno può dirlo. No. Damasco e Tripoli non sono troppo lontane, il loro riferimento più prossimo è comunque sempre il Mediterraneo. Eppure sembrano due mondi diversi, due realtà che nulla hanno a che fare. E diversi, diversissimi, sono i comportamenti e gli atteggiamenti dei “grandi” uomini di Stato europei e nordamericani, burocrati che non provano neppure il senso del ridicolo per come stanno affrontando la questione siriana rispetto a quella libica.

Sì, perché ci spiegano che da un lato c’è un dittatore sanguinario, di un uomo che spara contro ribelli pacifisti, che cinge d’assedio città già diventate martiri. Dall’altro, invece, c’è un brillante laureato in medicina a Londra, uomo di cultura che, sciagurato lui, non è adatto al governo. Eh già, perché Bashar mica voleva il “trono” paterno! È tutta colpa di un incidente che si è portato via prematuramente il fratello, delfino designato. Ed ecco, quindi, una intollerabile e vomitevole scusante, un giustificazionismo implicito che porta la Germania a minacciare addirittura “sanzioni più forti contro Damasco”, mentre un inorridito Ministro degli Esteri francese (che non ci ha pensato due volte a bombardare la Libia) auspica “che l’Onu si esprima con forza e sicurezza come già fatto da Ban Ki Moon”. Capirai…

Insomma, c’è massacro e massacro, ci sono vittime di serie A e vittime di serie B. D’altronde, c’è chi confina con l’insignificante Tunisia e chi, invece, amoreggia con Hezbollah libanesi e ayatollah iraniani. Meglio stare alla larga da certi posti, si rischia di non uscirne più vivi.

E così, mentre il Mondo da mesi e mesi tenta in ogni modo di cacciare il Gheddafi con cui si sono fatti affari fino all’altro ieri, in Siria si continua a morire sotto i colpi di cannone di Bashar El Assad. Senza che nessuno faccia nulla. Realpolitik? No, solo complicità pilatesca.

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